Venerdì 4
Iyar (26 aprile) è Yom haAtzmaut, il Giorno dell’Indipendenza, in cui si
festeggia la riconquistata libertà degli ebrei in Terra d’Israele.
Anche il
nostro Meridione ebbe un piccolo ruolo in questo storico evento: a Napoli
stabilì il suo quartier generale Ada Sereni subito dopo la guerra per organizzare
l’aliyah degli ebrei sfuggiti allo sterminio nazista; la Puglia ebbe un ruolo
particolare, sia fornendo il suo numero di olim (gli ebrei di San Nicandro, che
quasi tutti scelsero di partire per Israele), sia con i suoi campi
dove si raccoglievano gli esuli in
partenza (particolarmente celebre quello di Santa Maria al Bagno, dove si
trovano ancora disegni e frasi di speranza che sono stati oggetto di una
recente campagna di recupero), e Bari fu uno dei principali porti d’imbarco, nonché di partenza di armamenti.
Anche in
Basilicata presso Metaponto soggiornarono per un certo tempo molti ebrei in
attesa di partire, e le navi del nascente stato sfiorarono più volte le coste
calabresi, e una nave in avaria fu condotta al porto di Reggio.
Anusim
calabresi e siciliani, nati minatori andarono a lavorare nelle miniere belghe,
e da qui, dopo la conversione ad opera di Rav Elio Toaff, fecero aliyah e
continuarono il loro lavoro nel Negev.
Della
Calabria voglio ancora ricordare che è la terra di Benedetto Musolino, un “sionista”
precursore di Herzl, e di Mario La Cava, che scrisse una serie di articoli, poi
divenuti libro, su Israele da poco indipendente.
Dal web
Il punto d’incontro tra il tempo delle lacrime e quello
della gioia
Scialom
Bahbout, Rabbino Capo di Napoli
Da cinquant’anni - un periodo che indica ormai
stabilità - l’anno ebraico si è arricchito di Yom Ha’atzmaùt, il giorno
dell’Indipendenza, che viene festeggiato sia in Israele che nella Diaspora. È
questo un fatto anomalo, come se gli americani di origine italiana, oltre a
festeggiare il 4 Luglio, volessero celebrare anche il 25 aprile, un giorno che
ha certo segnato una svolta, ma solo per gli italiani che vivevano in Italia
durante il Fascismo o che vi hanno fatto ritorno dopo essere andati in esilio.
Questa dicotomia dell’ebreo che afferma di essere interamente italiano, ma
anche completamente ebreo, ha dato adito in passato all’accusa della doppia - e
quindi poco affidabile - lealtà ebraica.
La diversità del modo con cui gli ebrei hanno
vissuto e vivono gli eventi - ovunque essi si trovino - impone una domanda: Yom
Ha’atzmaùt è una festa "nazionale" o "religiosa"? Anche se
questi ultimi due aggettivi danno una descrizione limitata e una visione
riduttiva dell’esperienza ebraica, non si può negare che nel mondo moderno, e
in quello occidentale in particolare in cui la "fede" nazionale è
così labile, festeggiare, e per di più "religiosamente", una festa
"nazionale" di un altro Stato è una contraddizione.
Qual è quindi il significato che l’ebreo oggi e le
generazioni future dovranno dare a questa giornata? In altre parole, Yom
Ha’atzmaùt non ha niente a che fare con le altre feste dell’anno ebraico,
oppure si alimenta della medesima linfa e contiene qualcosa che lo lega
intimamente ad esse.
Qualcosa possiamo imparare dalla storia di Israele,
dove non sono mancate polemiche tra i Maestri circa l’opportunità di istituire
nuove feste, come nel caso di Purìm e Chanukkà. Nonostante siano trascorsi
cinquant’anni, il processo di accettazione di Yom Ha’atzmaùt non è ancora
ultimato, anzi in certi ambienti "ortodossi" esso non è mai iniziato.
Ora, comunque si voglia guardare all’evento della
nascita del terzo Stato d’Israele, è innegabile che si tratta di un fatto di
per sé rivoluzionario, prodotto forse dall’unica rivoluzione veramente riuscita
nel nostro secolo, quella sionista. Quali saranno gli strumenti che faranno sì
che la festa potrà veramente perpetuarsi nelle generazioni? Come per il
passato, mi sembra che lo strumento sarà sempre quello di riempirla di
contenuti riconducibili alla Halakhà e alla Aggadà.
Per quanto riguarda i primi si dovrà rispondere
alle molte domande che impone l’istituzione di una festa: Chi ha il potere di
istituirla? Quali sono le norme che la caratterizzeranno? Si devono dire, come
per Chanukkà e Purìm, le benedizioni che si pronunciano per le cose nuove
(Shehecheyànu, "che ci ha fatto vivere"), per i miracoli accaduti
(she’asà nissìm, che ha operato miracoli), se di miracolo si può parlare. E
ancora, è opportuno dire l’Hallèl come a Chanukkà per un "miracolo"
accaduto in terra d’Israele, apportare le modifiche alla preghiera (per esempio
"’Al hanissìm, per i miracoli), scegliere un brano appropriato per la
lettura pubblica della Torà o dei Profeti (haftarà), interrompere il periodo di
"lutto" dell’òmer e via discorrendo? Ma - e questo mi sembra ancora
più rilevante - utilizzeremo fino in fondo la possibilità di applicare
modernamente la Torà e in particolare le "Norme sui governanti" del
Maimonide? L’introduzione di Yom Ha’atzmaùt come festa comporta quindi da una
parte dei cambiamenti nella sfera del Beth Hakeneseth, ma d’altra dei
cambiamenti in quella che è la vita pubblica e politica che trova la sua
espressione nella Keneseth.
Per quanto riguarda l’elaborazione aggadica, non
mancano certamente gli agganci per "dimostrare" come l’avvento di
questa giornata non sia un fatto casuale. Intanto, si arriva a una scoperta
sorprendente applicando il sistema mnemotecnico dell’Atbash (l’alfabeto ebraico
al contrario). I Maestri avevano individuato un sistema semplice per poter
individuare il giorno della settimana in cui cadono le feste una volta noto il
giorno in cui cadeva Pésach: il giorno in cui cade il primo giorno (alef) di
Pésach, corrisponde al giorno della settimana in cui cade Tishà beav (tav), il
secondo (bet) quello in cui cade Shavu’òt, etc. In questo schema mancava una qualche
corrispondenza tra il settimo giorno (zain) e la ‘ain. Con l’introduzione di
Yom Ha’atzmaùt anche il settimo giorno di Pésach ha un suo partner, appunto
‘Atzmauth che inizia con la ‘ain.
Ma v’è molto di più. Le feste date dalla Torà
(Pésach, Shavu’òt e Sukkòt) sono un’espressione di quella che secondo la
mistica ebraica è chiamato "il risveglio dall’alto" (hit’arutà
dele’ela); mentre Chanukkà e Purim sono un’espressione del "risveglio dal
basso" (Hit’arutà diltatà). Come è scritto nel libro dei Maccabei,
Chanukkà fu istituita in corrispondenza di Sukkòt ("fecero otto giorni di
festa come a Sukkòt", Purìm completa Shavu’òt, perchè è scritto che
"gli ebrei accettarono a Purim volontariamente la Torà che erano stati
costretti ad accettare a Shavu’òt"); per completare il quadro, mancava una
festa che corrispondesse a Pésach. In effetti "la festa della
liberazione" e "la festa dell’indipendenza" sono tra loro
simili.
La differenza sta proprio nel fatto che la seconda
è una conseguenza del "risveglio dal basso" e richiede una
partecipazione attiva del popolo. Le tre idee fondamentali di creazione,
rivelazione e redenzione trovano così la loro applicazione non solo nella Torà
che Dio ha dato al popolo d’Israele, ma mi si permetta l’immagine, nella "Torà"
che il popolo ha dato a Dio. Yom Ha‘atzmaùt si inserisce così armonicamente
nell’anno ebraico e nel mondo delle grandi idee della Torà.
Uno degli elementi basilari del pensiero della
Torà, infatti, resta quello secondo cui non è tanto importante la teoria o l’interpretazione,
quanto l’azione. La libertà - come ogni altra grande idea - non può quindi
essere un’affermazione astratta, ma qualcosa che viene accompagnato da atti
concreti da compiere, sia individualmente che nell’ambito della società. Ogni
cinquant’anni, nel Giubileo, accadevano due fatti importanti strettamente
collegati tra loro: da una parte, la liberazione degli schiavi
"recidivi" , cioè di quelli che non avevano voluto approfittare delle
varie occasioni che la legge dava loro per tornare in libertà, dall’altra il
ritorno della terra al padrone originario che l’aveva venduta, dopo averla
ricevuta al tempo della conquista di Èretz Israèl da parte di Giosuè. Se con la
festa di Pésach l’ebreo raggiunge la libertà dalla schiavitù, solo l’ingresso
in Èretz Israèl e il possesso dei mezzi di produzione sono la garanzia
dell’indipendenza.
Per capire appieno l’importanza di questa festa
dobbiamo però fare ancora un passo. La vita ebraica si è svolta tra due poli:
quello della Diaspora (Golà = ghìmel, vav, làmed, he) e quello della Redenzione
(Gheullà = ghìmel, àlef, vav, làmed, he). La differenza tra le due parole sta
solo nell’aggiunta di una àlef, che diventa quindi simbolo della Redenzione:
noi sappiamo quanto sia preziosa e importante questa lettera con cui non inizia
la Torà, ma i dieci comandamenti. Àlef, che è la prima lettera di El-okìm
(Dio), perchè l’unità sta fuori dal mondo della dualità, la bet con cui
comincia la Torà.
La àlef è anche quella lettera che ha trasformato
le ‘Atzamòt (le ossa secche della visione di Ezechiele), in ‘Atzmaùt".
Quando "la speranza era persa" (avdà tkvatenu) - così dicevano le
ossa secche di Ezechiele - lo Spirito ha soffiato nelle ossa e queste ossa sono
tornate a rivivere, trasformando la golà
in gheullà e le ‘atzamòt in ‘atzmaùt.
Un processo che necessita ancora di molta strada,
perché secondo la definizione che noi troviamo nella preghiera per "la
pace dello Stato", Yom ‘Atzmaùt è "l’inizio della fioritura della
nostra redenzione". E, come per ogni inizio, bene ha fatto rav Maimon, tra
i firmatari della carta d’indipendenza, a pronunciare la benedizione per le
cose nuove.
Così fin dall’inizio della fondazione Yom
Ha’atzmaùt ha assunto un significato in cui è difficile distinguere il momento
"laico" da quello "religioso". La partecipazione degli
ebrei della Diaspora non può essere ricondotta alla volontà di esprimere uno
spirito nazionalistico di mera identificazione con lo Stato d’Israele, ma un
momento di sintesi religiosa, che come tale, viene intesa, magari solo sul piano
dell’inconscio anche dai "laici". Yom ‘Ha’atzmaùt rappresenta dunque
un punto di incontro del destino del popolo ebraico, dove la storia incrocia lo
spirito, l’immanente il trascendente, e il "tempo delle lacrime"
"il tempo delle risa".
Yom Haatzmaùth
Il 5 Iyàr 5708, 14 maggio 1948, Davìd Ben
Guriòn proclamava solennemente l’indipendenza dello Stato Ebraico, coronando
l’opera meravigliosa di Teodoro Herzl che per primo aveva detto "Im tirtzù
en zo aggadà" (se lo vorrete, non rimarrà un sogno).
"Padre nostro che sei nel cielo, rocca
di Israele, benedici lo Stato di Israele che rappresenta il risorgimento della
nostra libertà" Dopo tanti anni di esilio, dopo secoli di persecuzioni, di
lotte e di sacrifici, il sogno di Israele si avverava: aveva di nuovo la sua
terra, la terra promessa da Dio ai suoi padri.
Il seme del movimento sionista è gettato
quando gli ebrei partono da Gerusalemme per la Babilonia nel 586 a. E.V. Da allora i loro
pensieri e le loro preghiere terminano con le parole: "L’anno prossimo a
Gerusalemme!". E sono proprio le continue persecuzioni e lo stato di
avvilimento in cui vivono gli ebrei, a destare in molti grandi uomini il
pensiero della necessità di ridare una patria al popolo ebraico. Già molti
ebrei nell’800 si dirigono dalla Russia e dalla Romania in Palestina. Vi si
reca anche Elièzer Ben Yehùda che insiste sulla convinzione che l’ebraico deve
essere la lingua parlata dagli ebrei e rinnova così il vocabolario di questa
lingua.
Il fondatore del Sionismo Mondiale è Teodoro
Herzl che nel 1897 convoca il I congresso a Basilea, annunciando che la mira
del Sionismo è di dare agli ebrei una patria. Dopo la I Guerra Mondiale e vari
accordi col governo inglese, nel 1917 si arriva alla famosa "Dichiarazione
Balfour" con cui l’Inghilterra si dichiara favorevole alla nascita di un
nuovo Stato ebraico nell’allora Palestina. Aumenta così l’’alià in Èretz
Israèl, sorgono belle città tra cui Tel Avìv, le paludi vengono bonificate, i
campi coltivati. Viene creata l’Haganà, organo di difesa e nucleo del futuro
esercito israeliano.
I nostri pionieri, provenienti da tutte le
parti d’Europa creano nuove colonie che difendono valorosamente, anche a costo
della vita. Lo stesso fondatore dell’Haganà, Yosèf Trumpeldor, cade nel
difendere la colonia di Tel Chài, assalita dagli arabi. Dopo la II Guerra
Mondiale migliaia di superstiti dei campi di sterminio vedono, come unico posto
di salvezza, la lontana terra di Israele. L’Organizzazione Sionistica chiede
che venga riconosciuto definitivamente lo Stato di Israele. Gli ’olìm
continuano a recarsi in Israele nonostante i molti ostacoli, decisi a tutto pur
di riavere la patria. Gli arabi attaccano da ogni parte con grandi forze, ma
gli ebrei sono decisi a tutto; e la vittoria, con l’aiuto di Dio, non li abbandona.
Dopo 20 secoli, il 14 maggio 1948, 5 Iyàr 5708 risorge lo Stato di Israele.
Ovunque questo giorno è festeggiato con
gioia e canti da tutti gli ebrei. Il giorno 4 Iyàr è considerato Yom hazikkaròn
(giorno del ricordo), e si commemorano i nostri fratelli, morti eroicamente
nella difesa del nuovo Stato di Israele. Dobbiamo sempre ricordare che più di 6
milioni di ebrei sono morti nei campi di sterminio nazisti, dopo essere stati
deportati da tutti i paesi europei, invasi dalle truppe di Hitler. Anche dall’Italia,
governata da Mussolini, alleato della Germania, sono stati deportati molti dei
nostri fratelli che hanno perso la vita nei campi di sterminio.
Shalòm ‘al Israèl
In questo giorno rivolgiamo al Signore
questa preghiera:
"Padre nostro Che sei nel cielo, Rocca
di Israele e suo Redentore, benedici lo Stato di Israele che rappresenta il
risorgimento della nostra libertà. Stabilisci la pace nel paese e grande
felicità per i suoi abitanti".
Dichiarazione di Indipendenza dello
Stato di Israele
14 maggio 1948
Letta da David Ben Gurion
In ERETZ ISRAEL è nato il popolo ebraico,
qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha
vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata
nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri.
Dopo essere stato forzatamente esiliato
dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e
non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel
ripristino in essa della libertà politica.
Spinti da questo attaccamento storico e
tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e
stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in
massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la
loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in
crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante
della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti
gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale.
Nell'anno 5657 (1897), alla chiamata del
precursore della concezione d'uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto il
primo congresso sionista che proclamò il diritto del popolo ebraico alla
rinascita nazionale del suo paese. Questo diritto fu riconosciuto nella
dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della
Società delle Nazioni che, in particolare, dava sanzione internazionale al
legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel [Terra d'Israele] e al
diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale. La Shoà
[catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni
di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la
necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di
indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel che
spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la
posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni.
I sopravvissuti all'Olocausto nazista in
Europa, così come gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in
Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i pericoli e non
hanno smesso di rivendicare il loro diritto a una vita di dignità, libertà e
onesto lavoro nella patria del loro popolo. Durante la seconda guerra mondiale,
la comunità ebraica di questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta
dei popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della malvagità
nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo sforzo bellico, si guadagnò il
diritto di essere annoverata fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite. Il 29
novembre 1947, l'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione
di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L'Assemblea Generale chiedeva che gli
abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro
alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite
del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile.
Questo diritto è il diritto naturale del
popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio
Stato sovrano.
Quindi noi, membri del Consiglio del Popolo,
rappresentanti della Comunità Ebraica in Eretz Israele e del Movimento
Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su
Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della
risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la
fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato
d'Israele.
Decidiamo che, con effetto dal momento della
fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948,
fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette
secondo la Costituzione che sarà adottata dall'Assemblea costituente eletta non
più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come provvisorio
Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l'Amministrazione del Popolo,
sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele.
Lo Stato d'Israele sarà aperto per
l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo
del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà,
sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà
completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti
senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione,
di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi
di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni
Unite.
Lo Stato d'Israele sarà pronto a collaborare
con le agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l'applicazione della
risoluzione dell'Assemblea Generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per
realizzare l'unità economica di tutte le parti di Eretz Israel.
Facciamo appello alle Nazioni Unite affinché
assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato e accolgano lo
Stato ebraico nella famiglia delle nazioni.
Facciamo appello - nel mezzo dell'attacco
che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di
Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato
sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata
in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.
Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato
a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché
stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo
ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la
sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero.
Facciamo appello al popolo ebraico dovunque
nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz
Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la
assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la
redenzione di Israele.
Confidando nell'Onnipotente, noi firmiamo
questa Dichiarazione in questa sessione del Consiglio di Stato provvisorio, sul
suolo della patria, nella città' di Tel Aviv, oggi, vigilia di sabato 5 Iyar
5708, 14 maggio 1948.
L’inno nazionale d’Israele
HaTikva
Kol od ba-levav
penima
Nefesh Yehudi
homia
Ul'fa'atei
mizrakh kadima
Ayin le'Tzion
tzofiya
Od-lo avda
tikvateynu
Ha'tikvah bat
shnot alpayim
Lihyot am khofshi
be-artzeynu
Eretz Tziyon
v'Yrushalayim
La
speranza
Fintanto
che nell'intimo del cuore
freme
l'anima ebraica
e
l'occhio guarda a Sion,
là
nell'oriente lontano.
Non
è ancora perduta la nostra speranza
la
speranza, due volte millenaria
di
essere un popolo libero nella nostra terra
la
terra di Sion e Gerusalemme
Yom Haatzmaut
(indipendenza di Israele)
Lo stato di Israele fu proclamato il 5 Iyar
5708 (14 maggio 1948). La sua rinascita e' diventata un giorno di
commemorazione e di gioia nella maggior parte delle comunita' ebraiche. Le
comunita' liberali hanno proclamato Yom Haatzmaut come giorno di festa e lo
hanno introdotto nel calendario liturgico (cfr. Sidur sefat haneshamah pagg.
194-197).
La vigilia di Yom haatzmaut, si riserva un
momento di raccoglimento in memoria di coloro che lottarono per l’esistenza
dello stato di Israele. Questa giornata e' chiamata Yom Hazikaron (giorno del
ricordo).
La celebrazione di Yom Haatzmaut significa
che un’era nuova e' iniziata per il popolo ebraico. Essa rinforza l’unita' del
nostro popolo e accentua il rinnovamento spirituale e culturale che puo'
derivare dallo stretto rapporto tra Israele e l’insieme del mondo ebraico
contemporaneo. La rinascita di Israele dalle ceneri della Shoah e' segno di
speranza in un tempo di disperazione e di redenzione dopo la devastazione.
É una Mitzvah celebrare Yom Haatzmaut
partecipando agli uffizi comunitari e alle celebrazioni che caratterizzano
questo giorno.
Riaffermiamo cosi' i legami che uniscono gli
ebrei che vivono in Israele e quelli che ne vivono fuori. Un atto di Tzedakah
per una organizzazione attiva in Israele e' un altro modo per affermare il
proprio rapporto con lo stato di Israele. In questa occasione si puo' anche
organizzare un pasto delle feste, consumare prodotti israEliani e discutere di
questioni riguardanti lo stato di Israele.
Alcuni usi di Yom haAzmaut
a
cura di Rav Scialom Bahbout
1. La data. Se il 5 di Iyar cade di
venerdì o di sabato, Yom Azmauth si anticipa al Giovedì, per evitare di
profanare il sabato con le manifestazioni che caratterizzano questa giornata.
Y.A. può quindi cadere solo di lunedì, mercoledì e giovedì.
2. ‘Omer. Nonostante si sia nei
giorni dell’Omer, periodo in cui si fanno varie manifestazioni di lutto, alcuni
permettono di radersi e tagliare i capelli per Yom Azmauth.
3. Shehekheyanu. L’uso di dire la
benedizione per le cose e gli avvenimenti nuovi (che si dice anche Chanukkà e
Purim) è controverso, in quanto tra l’altro non è legato a nessuna azione
concreta (come l’accensione dei lumi o la lettura della meghillà). Pertanto,
anche chi ritiene si debba dire questa benedizione, consiglia di pronunciarla
accompagnadola con la consumazione di un nuovo frutto o di indossando un
vestito nuovo.
4. She’asà nissim. La benedizione per
i miracoli secondo alcuni va detta solo quando si passa per un luogo in cui si
sia verificato un "miracolo" connesso con le battaglie per
l’indipendenza di Israele.
5. Hallel (salmi 113 - 118). L’uso di
recitare l’Hallel è ampiamente discusso nella letteratura rabbinica. Alcuni
usano dirlo per intero con la benedizione, altri senza benedizione e altri
ancora incompleto ( e senza benedizione).
6. Lettura della Torà. Alcuni usano
leggere un brano speciale della Torà, anche quando Y.A non cade di Lunedì o
Giovedì (i brani più comunemente letti sono tratti dal Deuteronomio: 7: 12 - 8:
18 oppure 26: 1 - 19 oppure 30: 1 - 20).
7. Haftarà. Si legge lo stesso brano
letto l’ultimo giorno di Pesach (Isaia 10: 32 - 12) senza le benedizioni che di
norma si dicono prima e dopo la lettura. Alcuni usano dire anche le
benedizioni.
8. Se’udà e limmud. E’ bene fare un
pranzo speciale e accompagnarlo con lo studio di brani biblici e brani tratti
dal midrash e dallo Zohar che trattino delle mitzvoth legate alla terra
d’Israele e alla redenzione di Israele.
9. Tefillà. Vi sono varie aggiunte a
seconda degli usi (per esempio alcuni dicono uno speciale‘al hanissim,
l’aggiunta in cui si ringrazia il Signore per i miracoli che ci ha fatto da
inserire nella penultima benedizione della ‘Amidà e nella Birkath hamazon)
10. Tachannun. Non si dicono preghiere di supplica e non
si fa il viddùi (confessione).
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