Pubblico da Moked, il portale dell’ebraismo italiano, questo breve, ma denso, intervento della filosofa Donatella Di Cesare sull’ebraismo nel Meridione, ed in Calabria in particolare.
È un articolo un po’ vecchio, che avevo già pubblicato, ma ritengo utile pubblicarlo di nuovo perché oggi, alla luce delle ultime novità, ci “parla” ancora di più.
Viene anche citato il piccolo volume di Tonino Nocera, che ringrazio di avermene inviato una copia, del quale parlerò presto più ampiamente.
A chiusura dell’articolo aggiungo qualche mia osservazione personale.
di Donatella Di Cesare
Tra le dolorose separazioni che restano c’è, per l’ebraismo italiano, quella tra il centro e il nord, da un canto, e il vuoto che dall’altro si apre a sud di Napoli. Questa linea di demarcazione viene ormai considerata con una certa ovvietà, una rinuncia condiscendente e accomodante. Il sud, quello degli ebrei espulsi nel 1511, o degli ebrei rimasti e convertiti, dei marrani, sembra un po’ consegnato al suo destino. Non diversamente da quanto ha fatto e fa la politica “nazionale”.
D’altronde, se il capitolo dei marrani si chiuderebbe tra il Cinquecento e il Seicento, perché occuparcene? E poi i colpevoli sono loro. Torna infatti, e viene ripetuta, l’accusa antica rivolta ai marrani: quella dell’ipocrisia e della finzione. La loro “dualità” peserebbe insomma ancora. Per non parlare poi del fatto che si tratterebbe di quantità irrisorie.
Eppure basterebbe pensare al caso della Calabria. Non solo alla grande tradizione qabbalistica, a Chaim Vitale calabrese. Ma a tutto quello che è rimasto dopo. In un libretto di poche pagine, intitolato “Gocce” (Giuntina 2009), Nocera ha raccolto alcune testimonianze.
Spicca quella su Benedetto Musolino, il “sionista calabrese”, protagonista del Risorgimento italiano ma anche rivoluzionario europeo, che nel 1851 scrisse: “Gerusalemme ed il Popolo Ebreo. Progetto da rassegnarsi al Governo di Sua Maestà Britannica” in cui auspicava - ben prima di Herzl - la fondazione di uno Stato ebraico e la rinascita della lingua ebraica.
Certo, ormai è tardi. Mentre subito dopo la Shoà i primi rabbini tedeschi si precipitavano a Mallorca per salvare quello che restava dei marrani (e lì oggi fiorisce una comunità), l’Italia meridionale si svuotava con la grande emigrazione. Sono rimasti nei paesi sulle colline - da Caulonia a Gerace, da Siderno a Grotteria - i quartieri chiamati “judeca”. Pietre di sinagoghe distrutte o inglobate in chiese o altri edifici, ma anche e soprattutto scintille ebraiche in quei discendenti di marrani, e marrani a loro volta, più consapevolmente di quanto non si creda.
Chissà che questa data, un anniversario che richiama paradossalmente l’altro, l’unità nazionale che rinvia al gherush che divise il meridione dagli ebrei, non sia l’inizio di una nuova presenza ebraica nel sud.
Sì, è vero probabilmente l’ebraismo ufficiale italiano ha aspettato troppo tempo per guardare nuovamente a sud, ma non diciamo che “ormai è tardi”, meglio dire “siamo in ritardo”.
Purtroppo è vero che anche questo anniversario, in cui si sarebbe potuto/dovuto ricordare (accanto all’unificazione italiana) il tragico gerush (la dispersione) dell’ebraismo meridionale nel 1511 non è stato degnamente celebrato, come avrebbe meritato e come sarebbe stato opportuno; però possiamo essere ben contenti che proprio al suo scadere ci sia stato un evento significativo come quello dello shabbaton di Belvedere, che potrà forse segnare il primo passo per la rinascita di una kehillah calabrese.
C’è bisogno dell’impegno e della collaborazione di tutti, perché non sia “ormai tardi” e si possa recuperare almeno in parte il tempo perso.
Nessun commento:
Posta un commento