A Belvedere Marittimo ho vissuto il mio primo sabato ebraico. Ed è stato davvero bello.
Appena arrivati, venerdì pomeriggio, a poche ore dall’inizio dello shabbat, dopo la prima conoscenza reciproca, la prima cura è stata proprio questa: come vivere lo shabbat?
Non si possono accendere e spegnere luci e fuochi, quindi organizzarsi per le luci in camera, in modo da non andare a sbattere da qualche parte, potersi lavare con una luce sufficiente, ma poter dormire senza luce che disturbasse… e per fortuna ho smesso da tempo di fumare!
Quindi niente uso del cellulare, niente computer: come farò? Normalmente non passo che poche ore senza pc, e vivo in simbiosi con il mio iPhone. E la sveglia? Come fare per non arrivare tardi alla tefillah (la preghiera)?
Questo del fuoco (e dell’elettricità) è stato tutto sommato il “problema” più vistoso, essendo in una situazione “protetta” come quella dell’albergo: l’onere di pensare ai pasti è toccato tutto allo chef e al personale dell’albergo (veramente bravi, a sopportare lo stress di questa situazione per loro del tutto nuova, aggravata dalla presenza di celiaci e vegetariani! Un grazie e i migliori complimenti).
Per il resto, il divieto di non usare soldi e quello di portare non sono stati un problema, vivendo in albergo, ma sicuramente ci ha fatto pensare a quanto lo shabbat, in una situazione di vita normale, imponga la costante attenzione a vivere alla costante presenza del Santo, nella pratica delle sue mitzvot.
Purtroppo mi sono perso la Kabbalat Shabbat (l’accoglienza del sabato) con il rito dell’accensione delle candele dello shabbat: perso tempo in chiacchiere e voglia di conoscenze!
Però siamo stati tutti presenti a tutta la preghiera del venerdì sera: meraviglioso il canto del Lechà Dodì, “Vieni, mio sposo!”
Mattina da paura: nel programma era prevista la tefillah dalle 9 alle 12! Tre ore di preghiera in una lingua sconosciuta, con gesti di significato ignoto… Invece è stato tutto molto più semplice di quanto temessi e più bello di quanto sperassi, grazie alla guida di Gadi, che ci ha condotti passo dopo passo nella preghiera.
Il momento (il lungo momento) che personalmente è stato più entusiasmante è stato la lettura della Torah: sono stato chiamato a portare uno dei due sefarim (essendo anche Rosh Chodesh, primo giorno del mese, sono stati portati e letti due rotoli della Torah). Davvero non mi aspettavo una cosa del genere, e credo di essermi comportato in modo piuttosto buffo: mi veniva da ridere di gioia e piangere di emozione; ad un certo punto stavo quasi per stramazzare a terra, non immaginavo fosse così pesante! Ed in effetti è stato un grande KAVOD, peso e gloria, onere e onore. È stato dolce e forte essere abbracciati alla Parola.
Lo shabbat è trascorso in pace e gioia attraverso i pasti festivi e le spiegazioni della parasha, fino a scrutare il cielo per vedere le tre stelle e giungere insieme alla havdalah (la separazione dal tempo “ordinario”), con l’accensione delle luci che ci illuminano e ci riscaldano, e il dolce profumo del cedro della nostra terra.
A latere dello shabbat, mi è nata una riflessione sulle mitzvot in generale (tra le quali lo shabbat è una delle più forti). Spesso si sente parlare dell’ebraismo come di una religione formalistica, legalistica, un’arido culto fatto di rispetto delle regole, in cui la lettera dell’osservanza distrugge lo spirito della fede.
Nulla di più sbagliato. È nel Talmud che si dice che lo shabbat è stato donato all’uomo e non l’uomo allo shabbat, e credo che lo stesso si possa dire delle mitzvot.
È verissimo che nell’ebraismo ci sono molte regole da osservare, ma chi è l’uomo che può essere così presuntuoso da ritenere di non aver bisogno di regole? Le mitzvot sono delle luci messe sul nostro cammino per guidarci nel cammino quotidiano insieme al Santo B”H, perché ogni momento della giornata, ogni atto, anche il più banale, sia svolto nella Sua memoria e in armonia al Suo volere.
Svegliarsi e andare a letto, vestirsi, mangiare, soddisfare tutti i bisogni, tutto si svolge nella lode a Lui e secondo la Sua Parola.
Nell’ebraismo non esiste la separazione tra il sacro e il profano: ogni gesto, ogni parola ogni atto, ogni pensiero è guidato dall’aderenza alla Torah: si è alla presenza del Santo B”H non solo in sinagoga, ma in casa propria e per strada; Lo si adora non solo nella preghiera e negli orari dedicati a questa, ma lungo il corso di tutta la giornata e di tutta la vita.
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