Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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martedì 15 novembre 2011

Gli ebrei in Calabria dal XIII al XVI sec.

Estratti da un testo internet sulla storia degli ebrei in Calabria.
In blu alcune mie annotazioni.


Placido Antonio Carè
© Copyright 2005 LAMBDA EDITRICE
Via I Rione Margherita, 3 0963-81726
89844 Nicotera (VV)

Gli Ebrei partecipano agli eventi storici, che maturano nel nostro territorio, però senza prendere parte né alle vicende militari, né a quelle politiche di esso; infatti, da minoranza anomala vivono nelle comunità, che li ospitano, in parallelo, avendo con esse relazioni esclusivamente di natura economica e finanziaria. Per questi motivi non abbiamo potuto estrapolare le loro vicende dai vari accadimenti storici, che in alcuni momenti li videro vittime ed in altri soggetti detestati e contemporaneamente lusingati, accarezzati, richiesti dalle università (da intendersi non come scuole, ma come città, comuni), le quali erano consapevoli di non poter fare a meno di loro.
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Sicuramente perché gli Ebrei non sono arrivati in Italia e in Europa con la forza di eserciti bene agguerriti, così come avevano fatto i Longobardi, i Franchi, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni e più tardi tutti gli altri, le loro vicende sono state tramandate in forma episodica e, pertanto, non adeguata a documentare con continuità e in modo congruo la complessità delle relazioni del popolo ebreo con i Calabresi. Troppo spesso, infatti, i loro contributi culturali e sociali sono stati taciuti dagli storiografi coevi e, di conseguenza, ignorati dai più. Però sono presenti nella nostra tradizione popolare, ricordati, perché da sempre, in era cristiani, vengono associati al Golgota e all’odiosa usura.
Anche per queste ragioni crediamo che uno studio sul ruolo degli Ebrei in Calabria sia quanto mai opportuno e necessario, perché esso ci aiuterà a capire il ruolo che questa minoranza religiosa, vissuta in mezzo agli ospitali Calabresi, esercitò sulla nostra Terra e sull’intera Europa. Questi studi, inoltre, ci aiuteranno a rimuovere il pregiudizio, che si è sedimentato nella nostra cultura, dopo che, per secoli, siamo stati educati al pregiudizio dell’Ebreo errante, metafora del responsabile della crocifissione di Gesù Cristo.
A prova di questo, ci piace riportare una filastrocca, che si recitava alcuni anni fa, quando anche la cattura di lucertole, di rane e di altri animaletti era occasione di gioco per i ragazzi, i quali trasformatisi in piccoli aguzzini, mentre le povere vittime stavano per morire, tutti insieme, per scusarsi del male fatto, recitavano in coro:

No’ fu’ jéu e máncu Ddéu,
cá fu l’ánima d’u judéu.
La traduzione è molto facile.

La Diaspora degli Ebrei, cioè la prima e vera dispersione di essi, ebbe inizio il 132 d.C., dopo che i Romani sottomisero, mettendo in atto una sanguinosa repressione, che provocò seicentomila vittime, la Palestina (la diaspora ebbe inizio ben prima).
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Gli Ebrei arrivano in Calabria portati da Enrico VI e a Nicotera da suo figlio, Federico II (l’arrivo degli ebrei in Calabria è ben più antico, risale ai primi secoli dell’era volgare).
Scrive Oreste Dito: “Catanzaro, favorita dalla stessa posizione, in facile comunicazione coll’Ionio e col Tirreno, era il centro di maggiore importanza industriale e di maggiore traffico degli Ebrei dell’uno e dell’altro litorale. Altri stanziamenti erano a Nicastro, Monteleone, Tropea, Nicotera, Seminara, nelle due piane di S Eufemia e di Palmi. Nella zona montuosa dell’estremo lembo di Calabria, sono ricordati centri giudaici ad Arena, a Galatro vicino al Mètramo, e a Tritanti, frazione del comune di Maropati”[i]. Le maestranze ebree erano specializzate nell’arte della tintoria; utilizzavano sostanze coloranti portate dall’India, per cui il nome di indaco, e nell’industria della seta. Essi con la loro operosità e la loro intraprendenza contribuirono alla trasformazione economica della Calabria.
D’Amato, attento studioso di Catanzaro, la sua città, ha scritto ‘’Questi [gli Ebrei], industriosi per loro natura e dediti alle mercantie et ad ogni genere di negotij, volentieri venivano ammessi nelle città più famose: onde designarono i Catanzaresi chiamarne qualche parte, acciò, aprendo fondachi di mercantia, gli togliessero l’incomodo di mendicare da lontano i panni et altre cose al vestir necessarie; e per più facilmente condurceli gli offrirono una perpetua franchigia. In tal guisa allettati, ne vennero in buon numero, e perchè vollero havere nella città luogo e parte, gli assegnarono un quartiere in mezzo ad essa. (...) Giunti aprirono botteghe di ricchissime mercantie, e, mescolando con i loro negotij i drappi medesimi di seta, che ivi lavoravano, cagionarono un grande utile â cittadini et aprendo la strada al concorso di tutta la provincia per via dei loro negotij, partorivano alla città molti comodi, oltre il danaro che in abbondanza vi entrava.”
Apprendiamo così che in una Calabria di contadini gli Ebrei costituirono il primo nucleo importante di industriosi imprenditori, di carattere esclusivamente urbano, perché era loro vietato per legge diventare proprietari terrieri. Inoltre bisogna aggiungere che la vita dei Calabresi sia durante la dominazione normanna, che nel corso del il regno svevo, si svolgeva prevalentemente nei centri urbani.
A Nicotera gli Ebrei vissero e lavorarono nel quartiere la Giudecca e sicuramente così come accadeva per i loro correligionari di Reggio, di Catanzaro e di Tropea erano obbligati a pagare un tributo, ricordato con il nome di mortafa o markofa, presso gli Arabi era definita ghezía, che consentiva loro di godere della libertà di culto. Questa tassa si aggiungeva inesorabilmente alle altre che gli Ebrei, come tutti i cittadini, pagavano.
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Federico II, nel Parlamento generale di Messina, nel 1221 aveva esteso al proprio regno le disposizioni adottate nel quarto Concilio lateranense, nel corso del quale erano state stabilite le assise “contra judeos, ut in differenzia vestium et gestorum a christianis discernantur”.
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Una volta emancipatosi dalla tutela del Papa, nel Liber Agustalis, promulgato a Melfi nel 1231, sancì:
1) Gli Ebrei sono parificati agli altri cittadini, anche nel diritto di ottenere giustizia e difesa giudiziaria, sebbene in caso di assassinio di un Ebreo o di un Saraceno la cittadinanza dovrà pagare una multa di cinquanta agustali; di cento se sarà stato uccciso un cristiano.
2) Gli Ebrei possono prestare denaro, ma con il limite del 10 % di interesse.
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Contemporaneamente sottrasse al controllo dei Vescovi tutte le Giudecche, avocando a favore dell’erario regio i proventi, che derivavano dall’attività di tintoria, in cui gli Ebrei erano abilissimi. Inoltre, poiché le persecuzioni contro gli Ebrei e contro i Saraceni erano molto diffuse, li pose sotto la propria tutela. Il sovrano avviava così una politica di economia monopolistica, che gli permetteva di controllare tutte le attività economiche del regno: dall’estrazione dei metalli, del sale, ecc. all’estrazione della pece.
[In seguito] gli Angioini si impossessarono del Regno e diedero l’avvio ad una nuova politica di intolleranza nei confronti sia dei Saraceni che degli Ebrei.
[Durante la guerra del Vespro le cronache ricordano]: “Risiedeva allora in Nicotera un ebreo nativo di Catania a nome Giacomo Francigena il quale, fattosi cristiano aveva preso il nome di Pietro da Monteleone, dalla terra in cui aveva fissato dimora. Costui con armi e cavalli favoriva Carlo di Angiò, da cui venne decorato del cingolo militare. Al contrario Rinaldo da Cirò trovandosi a Nicotera coi suoi seguaci fece ribellare a favore di Corradino Nicotera e Seminara, ed i beni di Pietro posti in questi territori furono occupati dai ribelli”[ii].
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In questo periodo gli Ebrei, che non si erano immischiati nelle varie contese, continuano a curare i loro affari, anche perché è di loro esclusiva pertinenza l’attività finanziaria, la quale giovava da una parte ai sovrani impegnati in estenuanti quanto inutili guerre e dall’altra ai vescovi, che sugli affari dei miscredenti riscuotevano le tasse.
Spesso gli storici hanno registrato la «donazione» di Ebrei fatta dai sovrani ai feudatari.
“Gli Ebrei erano presenti in Calabria un po’ dappertutto: a Rossano, a Corigliano, a Cosenza, a Reggio, a Bisignano, a Montalto, a Tropea, a Reggio, ecc.(...) [Essi] furono ben trattati dagli Angioini non meno che dagli Svevi; essi si dedicarono all’arte della tintoria e della seta, ma anche all’usura, alla medicina ed alle belle lettere. Le comunità degli Ebrei erano passate, durante la monarchia [aragonese] siciliana, alle dipendenze dei verscovi, i quali ne approfittarono per assoggettarli a gravame fiscale. Le persecuzioni dei vescovi, anziché incoraggiare le conversioni, contribuirono a dividere Ebrei e cristiani. (...) A Monteleone, i gabellotti della seta perquisiscono le case degli Ebrei, sequestrando la seta, non ostante i tributi pagati. (...) A Crotone e altrove i Giudei sono costretti a fuggire per sottrarsi a pesanti contribuzioni[iii].
Le persecuzioni degli Ebrei furono riprese in Europa quando Papa Gregorio IX, fra il 1231 e il 1235, sollevò i vescovi dal compito di perseguire le eresie e affidò i tribunali d’inquisizione ai frati domenicani. Nel 1427, estese le prerogative di inquisire ai Domenicani; attribuì a Fra Giovanni di Capistrano dell’Ordine dei Minori la facoltà di proibire l’esercizio dell’usura ai Giudei dimoranti nel regno e a quelli forestieri di praticare l’usura, e di costringerli a portare il segno Thau.
In favore degli Ebrei, tuttavia, ci furono anche numerose richieste fatte da numerose comunità. Nel 1447 [1] giugno l’Università di Tropea, tra le altre grazie e privilegi chiedeva ad Alfonso d’Aragona: “Item, che plaza a la dicta Maiesta far tractare li judei de questa terra in li pagamenti fiscali sì como li altri citatini et non esserono agravati in altro pagamento ultra lo pagamento della mortafa”[iv]. Il sovrano aderì alla richiesta.
Nel 1511 i Genovesi, che avevano da sempre sperato di sostituirsi [agli ebrei], chiesero ed ottennero dalla Corte di Madrid (non fu solo l’intervento genovese, ma una serie di cause, prima di tutto l’ideologia spagnola della Riconquista, per sintetizzare) un decreto di espulsione degli Ebrei.
“Gli Ebrei partirono recando seco le accresciute fortune, e il ricordo che la prima Bibbia Ebraica era stata stampata da una tipografia di Reggio Calabria. Dopo la loro partenza, la proficua speculazione della seta venne in mano dei Genovesi, e in piccola parte in mano dei Lucchesi[v]”. Da quel momento il Meridione fu oggetto di sfruttamento intensivo, e regredì ogni anno di più.
Le maestranze ebree erano riuscite a perfezionare la lavorazione della seta e la tintura dei tessuti, che, per la loro preziosità, erano ricercati in tutta Europa, e avevano impinguato con i loro tributi le casse esauste delle università calabresi. Essi avevano lasciato dietro di loro un grande rimpianto, per cui in data posteriore al 24 marzo 1492 l’università di Tropea reclamava a favore degli Ebrei.
“Perché in dicta università so venute certe casate de judei, quali habitano in quella, non senza evidente utilità, comodo et benefitio de dicta università et per li dohaneri di madama Cubella delo dolce so vexati ad pagare dohane et omne altro dirictu, spectante a dicta dohana, contro lo tenore del privilegio che have la prefata università, el quale apertamente parla, che li citadini incoli, et habitanti in quella gaudeno, et devano gaudere et essere franchi, como li propri nativi Citadini. Ali quali pagamenti quando per dicta Maiestà, non sence farra de quella debita previsione che se ce recerca, per non li possereno comportare serranno costricti pigliare altro cammino, non senza grande interesse dela predicta università però se supplica sa digne fare observare dicto privilegio et non permectere ad instantia de altro dicta università habea ad patere quisto danno et perdere questa oportunità che per la cita essere di poca abitatione, dicte casate, se deveriano con omne arte industrie et opera adlistare et tirare ad la habitatione de quella”[vi].
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Nel 1480 i cittadini di Cosenza si rivolsero al re supplicando “perchè li Judei usurari in lo vendere de li pigni damnificano immoderatissimamente li pignoratori, unde per la città preditta da Vostra Maestà fo impetrato uno capitulo che li pigni preditti finito anno se vendessero con intervenzione de dui citatini allo più offerente et licitatore, et quello se vendesse più de quello che devea avere lo judeo se dovesse restituire et donare allo patrone dello pigno. Noviter li Judei hanno impetrato che finito anno se vendano li pigni, et lucranosi tutto lo debito principale, la usura, et tutto quello superchiasse de lo valore di ditto pigno. Donde ne segue grandissima lesione et povertate alli ditti populi; piaza alla ditta vostra maiestà se degni comandare alli ditti Judei che non possano vendere ne extraere ditti pigni da fora la Citta di Cosenza ne ultro lo tenore de ditto capitulo impetrato da ditta Università non ostante la ditta provisione impetrata da ditti Judei”. Il sovrano accoglie la richiesta e la estende a tutto il Regno.
L’Università di Catanzaro si rivolse al re con questa petizione: “Li Giudei di Catanzaro han patito ogni incomodità con li altri cittadini nelle guerre per servitio di Vostra Maestà sopra li Giudei del regno per le usure, che esercitano, quelle usure li Giudei di Catanzaro non fecero mai, né fanno et fu ordinato per Vostra Maestà che li predetti non s’intendano a detti pagamenti et al presente non li osserva, e perciò supplicano la osservanza[vii]”. Il re dispose che la Camera della Summaria provvedesse con giustizia.
Il 25 febbraio del 1507, a distruzione e a saccheggio della giudecca avvenuta, l’università di Cosenza sottopose a Ferdinando il Cattolico il seguente Capitolo: “Item ditta Città e Casali fanno intendere alla prefata Cattolica Maiestà como dopo che fo destrutta la Judecca de ditta Città per la venuta del olim Re Carlo da Franza in questo regno, et in la magior parte dela provintia è tanta multiplicata la usura tra Christiani, che non solum è cosa odiosa appresso nostro signore Idio, et la dannatione dele anime Christiane, ma destruttione de tutto lo populo perchè prima se pagava cinque tornesi per ducato et manco al mese, et al presente se paga tra Christiani per la usura uno et due carlini et più lo mese per ducato, è cosa nefandissima, et quod peius si donano li pigni per interposita persona senza scriptura o notamento alcuno, et non si sa chi le recipe con grandissimo periculo de perdersi, però per beneficio universale de tutta la provintia si supplica la prefata Catolica Maiestà se degni providere che ditti banchi andino ad commorare in ditta et in quella fazano ditte loro faccende, che la ditta Città e Casali sonno parati assecurarli mediante li quali con pochissimo danno immo utiltà deli populi ad respetto de quello se paga de presenti, si satisferà al bisogno universale, et anco se degni providere che tale usure cessano fra Christiani, et quelli che le facessero siano puniti acremente secondo iustitia recerca e lo culto divino permette”[viii].
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[i] O. Dito, La storia calabrese e la dimora degli Ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, Cosenza, 1979, p. 5
[ii] D. Corso, Cronistoria civile e religiosa della città di Nicotera, Napoli, p. 24, Edizione a cura della Biblioteca Comunale ‘’R. Corso”, Nicotera
[iii] G. Brasacchio, Storia economica della Calabria, Vol. 2, Chiaravalle Centrale, 1977, pp. 326- 327, passim
[iv] O. Dito, op. cit., p. 213
[v] B. Chimiri Le relazioni politiche e commerciali fra la Liguria e la Calabria fin dai tempi della dominazione sveva. In Archivio storico della Calabria, Anno III, Oppido Mamertina (RC), 1992
[vi] O. Dito, op. cit., pp. 257-258
[vii] O. Dito, op. cit., p. 278-279
[viii] O Dito, op. cit., p 282

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