Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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lunedì 24 gennaio 2011

Un libro su Ferramonti

Il Quotidiano della Calabria
Domenica 23 gennaio 2011

Il Giorno della Memoria
Lezione a Ferramonti
L’anticipazione di un libro nato da un progetto nelle scuole calabresi
Carlo Spartaco Capogreco


Diventa un libro a tutti gli effetti il primo studio analitico sulla “riscoperta di Ferramonti”. È il risultato del progetto europeo realizzato dall'Associazione fra ex consiglieri regionali della Calabria, inserito nel programma "Memoria Europea Attiva". Il volume sarà presentato, per la prima volta, il 27 gennaio prossimo all'Università della Calabria (all'University Club), nell'ambito del XXIII Memoria-meeting organizzato dalla Fondazione internazionale Ferramonti di Tarsia per l'amicizia tra i popoli. Nel realizzare il Progetto “Ferramonti: dal Sud Europa per non dimenticare un campo del duce”, l'Associazione tra ex Consiglieri della Regione Calabria e gli istituti scolastici coinvolti si sono proposti l'obiettivo di analizzare criticamente la storia del campo di Ferramonti (a molti ancora oggi sconosciuta) e il percorso di riscoperta (sia della vicenda storica che del sito geografico) avviato da diversi attori sociali nella seconda metà degli anni Ottanta del Novecento. Ma il progetto - pur incentrato, evidentemente, sul tema indicato nel suo titolo - è stato inteso anche come strumento ed occasione di portata più larga ed aperta. Si è cercato, infatti - è spiegato nella nota di prefazione - di offrire ai giovani una conoscenza storica più ampia possibile sulle persecuzioni nazifasciste (degli ebrei e non solo); di accrescere in loro la consapevolezza civile e il senso dell'appartenenza comunitaria; di renderli inclini ad un ragionamento critico e problematico, capace anche - se necessario - di sottrarsi alle mode momentanee e all'uso spregiudicato e strumentale della storia e della memoria. La sezione B della pubblicazione è stata redatta da Teresa Grande, la sezione C da Donatella Muià (sulla base delle risposte date ai questionari dai docenti e dagli studenti coinvolti nel progetto) e la sezione D da Nadia Capogreco. La sezioneA ripropone, con qualche integrazione, il testo della relazione storica su Ferramonti che è la lezione che Carlo Spartaco Capogreco ha tenuto a Lamezia Terme il 18 marzo scorso nell'ambito di questo progetto. Ne pubblichiamo un estratto.

Durante la Seconda guerra mondiale, il governo fascista utilizzò lo strumento dell'internamento per allontanare dalle abituali residenze varie categorie di civili (sia italiani che stranieri), a vario titolo considerate “pericolose” per la sicurezza nazionale o per quella del regime.
Cosicché, oltre ai “sudditi nemici” (che, in caso di guerra, venivano tradizionalmente sottoposti ad internamento anche dagli stati non dittatoriali), furono allora internati i dissidenti politici (o quanti erano sospettati di esserlo), gli “allogeni” della Venezia Giulia (cioè gli appartenenti alle minoranze slovena e croata presenti in Italia, che per anni il fascismo cercò rozzamente di “italianizzare”) e gli ebrei stranieri o apolidi.
Gli ebrei italiani, alla stregua degli altri loro concittadini, venivano internati soltanto se militanti in partiti antifascisti o se ritenuti socialmente o politicamente “pericolosi”. Va ricordato, infatti, che le leggi razziste e antisemite fasciste degli anni 1938-39 e seguenti, pur essendo duramente discriminatorie sul piano dei diritti civili, non prevedevano per gli ebrei vessazioni fisiche né l'apertura di campi di concentramento per il loro internamento.
Fino all'8 settembre '43, data dell'annuncio dell'armistizio con le potenze alleate, operarono nella Penisola quarantotto campi (detti ufficialmente “di concentramento”) di competenza del ministero dell'Interno. Quasi tutti vennero ubicati nel Centro-Sud della penisola e, tra essi, quello di Ferramonti fu uno dei pochi ad essere realizzato ex novo e con struttura a baraccamenti.
Ferramonti, inoltre, tra la data dell'ingresso in guerra dell'Italia (10 giugno 1940) e quella dell'armistizio con gli Alleati (8 settembre 1943), fu il principale luogo d'internamento per ebrei stranieri e apolidi, in buona parte emigranti e profughi giunti dall'Europa centrorientale negli anni precedenti.
La vita nei campi d'internamento di pertinenza del ministero dell'Interno fu abbastanza simile a quella vigente, da prima della guerra, nelle isole di confino. Ben peggiori, invece, furono le condizioni di vita nei campi italiani destinati agli internati “slavi” (aperti dal regime fascista in seguito all'occupazione della Jugoslavia dell'aprile 1941 e gestiti dalle nostre autorità militari).
Alla metà di maggio del 1940 il governo italiano decise che, al momento dell'entrata in guerra, tutti gli ebrei stranieri presenti nella Penisola venissero internati.
Successivamente Mussolini stabilì che gli ebrei stranieri fossero internati in campi loro riservati, e fece sapere all'unione delle comunità ebraiche che inizialmente gli uomini sarebbero stati internati in campi di concentramento mentre donne e bambini sarebbero stati inviati al domicilio obbligato in piccoli comuni, per essere poi tutti “accentrati” nel campo di Ferramonti «dove dovranno restare anche a guerra ultimata per essere trasferiti di là nei paesi disposti a riceverli».
Il 15 giugno 1940, infine, il ministero dell'Interno dispose l'arresto degli «ebrei stranieri appartenenti a Stati che fanno politica razziale», ordinando l'internamento in «appositi campi di concentramento già in allestimento» di quelli tedeschi, ex cecoslovacchi, polacchi e apolidi e l'espulsione di quelli rumeni, ungheresi e slovacchi.

L’entrata in funzione
Il 4 giugno 1940, su richiesta urgente del Ministero dell'Interno, il Comune di Tarsia deliberò la concessione di un primo lotto di terreno del demanio di Ferramonti destinato ad ospitare un “campo di concentramento per internati civili di guerra” (questa la denominazione ufficiale della struttura).
Il campo di Ferramonti (inizialmente chiamato della “Media Valle Crati”) entrò in funzione il 20 giugno in una landa malarica, sita a 35 km da Cosenza, che le testimonianze dell'epoca e persino un rapporto della Direzione di Sanità definivano malsana e inospitale.
A realizzare la struttura e ad avere poi il monopolio sulla sua gestione fu l'imprenditorefaccendiere fascista Eugenio Parrini (impegnato da tempo nella bonifica della zona) che costruì diversi altri campi d'internamento italiani, traendo da ciò benefici economici non indifferenti.
Al momento dell'entrata in funzione, il campo disponeva unicamente di due capannoni in via di completamento e di alcuni preesistenti edifici in muratura appartenenti al cantiere di bonifica della ditta Parrini, nei quali venne alloggiata la direzione.
Le nuove costruzioni (grandi baracche realizzate in un materiale legnoso chiamato carpilite, con fondamenta di calcestruzzo) erano di due tipi: quelle con locali ripartiti per nuclei famigliari o gruppi di tre/dieci persone; quelle con grandi stanzoni per dormitori comuni maschili o femminili.
La direzione della struttura fu affidata al commissario di pubblica sicurezza Paolo Salvatore (1899-1980) - un avellinese che aveva già operato al confino di Ponza - cui sarebbero seguiti nel tempo Leopoldo Pelosio e Mario Fraticelli.
Su uno spiazzo polveroso, che al primo scroscio di pioggia si tramutava in acquitrino, sorgevano le baracche a forma di “u”, costruite spesso con l'aiuto degli stessi ebrei assunti anche per carenza di mano d'opera locale. Gli internati, al loro arrivo, venivano sottoposti alle formalità burocratiche, quindi erano assegnati alle baracche. Poi veniva consegnata loro la dotazione prevista: due cavalletti e un'asse da usare come giaciglio, un materasso, un guanciale, due coperte, due lenzuola e un asciugamano.
Lo staff del campo era composto da un segretario, un dattilografo, due motociclisti con una “Guzzi 500” e un autista con una “Alfa 1750”.
Un mese dopo l'apertura, gli “ospiti” di Ferramonti (per la gran parte ebrei rastrellati nelle grandi città dell'Italia settentrionale in concomitanza con l'ingresso della nazione in guerra) ammontavano ad un centinaio di unità.
Successivamente, nel settembre 1940, con un trasporto di 302 persone proveniente dalla Libia (comprendente, per la prima volta, anche donne e bambini), la cifra degli internati ammontò a 700 unità.
Il campo, delimitato ora dal filo spinato, cominciò così a configurarsi come una comunità chiusa: per alcuni aspetti paragonabile ai ghetti dell'Europa orientale, per altri ai kibbutz della Palestina.gli abitanti dei paesi posti sulle colline della Valle del Crati (Tarsia, Bisignano, Santa Sofia d'Epiro, ecc.) i quali, il più delle volte, non avevano mai avuto occasione di incontrare un ebreo, guardavano inizialmente con sospetto i nuovi arrivati.
Tuttavia, appena potevano stabilire con loro qualche contatto (in casi ben motivati, gli internati potevano lasciare il campo, scortati da agenti, per effettuare particolari acquisti o visite mediche), la diffidenza e i timori iniziali si dissolvevano con facilità: più che individui “diabolici e pericolosi”, come li dipingeva la propaganda del regime, ai calabresi gli ebrei di Ferramonti apparivano come degli inermi perseguitati.
Dal novembre 1941 altri civili stranieri si aggiunsero agli ebrei: “ex jugoslavi”, greci, cinesi, francesi. E nel 1943 giunse anche un piccolo gruppo di antifascisti italiani. La presenza ebraica, tuttavia, non sarebbe mai stata inferiore al 70% degli internati, i quali toccarono la punta massima di affollamento nell'agosto del 1943, raggiungendo le 2.016 unità.
L'afflusso numericamente più consistente si ebbe nei mesi di febbraio e marzo del 1942, quando arrivarono nel campo 494 giovani ebrei (prevalentemente cechi e slovacchi) che avevano tentato di raggiungere “Erez Israel”(così gli ebrei chiamavano all'epoca la Palestina, amministrata dalla gran Bretagna) a bordo del “Pentcho”, un fatiscente battello fluviale partito da Bratislava nel maggio del 1940 e naufragato in seguito nelle acque del mare Egeo.
Dal punto di vista numerico, gli altri trasporti significativi riguardarono: 1) un gruppo di ebrei proveniente da Lubiana (Slovenia) composto da 106 ebrei tedeschi, polacchi, austriaci e cecoslovacchi, arrivato a Ferramonti il 31 luglio 1941; un secondo “gruppo Lubiana”, di 50 persone, che giunse in Calabria nel settembre 1941; 3) un “gruppo Kavajë” (dal nome della cittadina albanese nella quale era stato internato inizialmente) composto da 187 ebrei, in buona parte originari di Belgrado e Sarajevo, che giunse a Ferramonti nell'ottobre 1941.
Per la sua straordinarietà, va anche menzionato l'arrivo di tre giovanissimi ebrei polacchi, giunti a Ferramonti dopo un'incredibile fuga da un campo di lavoro nazista avvenuta il 26 ottobre 1942.
Nella prima metà del '42, con vari trasporti di media entità, arrivarono a Ferramonti altri 164 ebrei stranieri: 48 provenienti da Isola del Gran Sasso, 58 da Notaresco, e 34 da Isernia e Alberobello (quattro campi italiani sgomberati dagli internati ebrei per far posto a civili “ex jugoslavi” e ad “allogeni” della Venezia Giulia).
Nella primavera del 1943 giunsero infine altri 300 “ebrei stranieri” precedentemente relegati in piccoli centri delle province di Aosta, Asti e Viterbo nella condizione di internamento libero.
Lo status dell'internamento civile non corrispondeva propriamente alla prigionia.
Tuttavia la condizione di segregazione a Ferramonti era resa palpabile dalla presenza del filo spinato della recinzione, dagli appelli quotidiani e dalle garitte di sorveglianza poste lungo il recinto esterno.
Gli internati - al pari dei confinati relegati dal regime fascista nelle “colonie” - poterono realizzare diverse iniziative autogestite.
In particolare, nel campo sorsero una biblioteca, un “tribunale”(cui era affidata la risoluzione delle piccole controversie), un ambulatorio medico, dei luoghi di culto, una scuola e persino una specie di parlamentino interno (l'assemblea dei “capi camerata”) cui il direttore faceva ufficiosamente riferimento con criterio consultivo.
Tali strutture concorsero a rendere più sopportabile la condizione di internamento che - essendo legata al permanere dello stato di guerra - si sarebbe potuta protrarre anche per un periodo di tempo assai lungo.
Salvo pochi casi di violenza contro gli internati messi in atto dalla Milizia, il comportamento delle autorità - a partire dal bonario maresciallo Gaetano Marrari (1891-1987), originario di Reggio Calabria -, fu tollerante, conformandosi generalmente alle normative previste dalla Convenzione di Ginevra del1929per il trattamento dei militari nemici divenuti prigionieri di guerra e prevedendo, per gli internati privi di mezzi di sostentamento (come avveniva per i confinati), un piccolo sussidio giornaliero in denaro.
Nei tre anni di funzionamento del campo, persero la vita a Ferramonti (per motivi accidentali o di salute) 37 internati, con un tasso annuo di mortalità - dell'ordine del cinque per mille - certo non superiore a quello registratosi all'epoca nei paesi del circondario.

Dopo l’arresto di Mussolini
Nel luglio del 1943 - quando gli eserciti alleati erano già sbarcati in Sicilia e il regime aveva annunciato un inasprimento delle misure antiebraiche - a Roma il ministero dell'Interno stava ipotizzando di sgomberare gli ebrei internati a Ferramonti nella zona di Bolzano.
Ma fortunatamente questa ipotesi naufragò sul nascere in seguito all'arresto di Mussolini.
Il colpo di stato del 25 luglio 1943, che provocò la caduta del duce e del suo regime, suscitò anche a Ferramonti grandi speranze sulla rapida fine della guerra.
Poco dopo, invece, il campo fu interessato direttamente dal conflitto: il 27 agosto un aereo canadese che sorvolava la zona mitragliò Ferramonti cagionando la morte di quattro internati, il ferimento di altri undici e l'incendio di due baracche.
Il 14 settembre 1943 il campo di Ferramonti, semideserto, fu raggiunto dalle avanguardie dell'VIII Armata britannica, e gli internati vennero dichiarati liberi.
Non occorre molta fantasia per immaginare cosa sarebbe accaduto se le cose fossero andate diversamente, cioè se gli Alleati non fossero avanzati rapidamente dalla Sicilia e anche la Calabria fosse stata sottoposta all'occupazione tedesca e incorporata nella Repubblica sociale italiana.
Basta soltanto ricordare la sorte toccata a quegli ebrei che, non adattandosi alla vita del campo ed al clima insalubre del luogo, avevano chiesto ed ottenuto il trasferimento da Ferramonti a località del Centro-Nord dell'Italia: almeno 141 di loro vennero rastrellati dai nazifascisti e deportati nei lager tedeschi.
Dopo l'arrivo delle truppe alleate - smantellate le strutture burocratiche del campo fascista (il “primo campo”) - iniziò ad operare il “secondo campo” di Ferramonti, posto sotto il controllo anglo-americano. Gli Alleati vi distaccarono inizialmente il maggiore Ernest F. Witte della “Welfare Commission” della divisione per la Sanità Pubblica del governo di occupazione alleato (AMgoT); successivamente, il 18 novembre, nominarono comandante il capitano Louis Korn, che in America aveva diretto un campo per internati giapponesi.
Ferramonti (che al 1° ottobre 1943 contava 1854 persone, ben rappresentate presso gli Alleati dal musicista ex internato Lav Mirski) era ora un centro di raccolta per DP (displaced persons). E, a cavallo degli anni 1943 e 1944, diventò, oggettivamente, una delle più ferventi e numerose comunità ebraiche dell'Italia liberata. Da qui molti ex internati si spostarono verso Cosenza, la Sicilia e la Puglia, come pure verso il Nord Africa, la Palestina e gli Stati uniti d'America.
Il 26 maggio 1944, col primo trasporto d'emigrazione autorizzato dal governo mandatario britannico, 254 ex internati ebrei lasciarono Ferramonti per la Palestina con un viaggio alla cui organizzazione aveva preso parte attiva anche il leader sionista Enzo Sereni. 240 ebrei lasciarono Ferramonti diretti, invece, negli Stati Uniti d'America e, insieme ad altri 760 correligionari internati in altre zone dell'Italia centro-meridionale, s'imbarcarono dal porto di Napoli il 17 luglio 1944.
L'abbandono completo e definitivo dell'ex campo d'internamento fascista fu tuttavia condizionato dall'andamento complessivo delle vicende belliche in Europa. Il numero dei suoi ospiti diminuiva di mese in mese, mano a mano che venivano liberate le grandi città dell'Italia settentrionale.
Nell'aprile 1944 Ferramonti contava ancora 930 persone e in agosto 300. Nel maggio del 1945, quando si concluse la Seconda guerra mondiale, gli abitanti del campo erano poco più di 200; nel mese di dicembre, infine, anche il “secondo campo” Ferramonti fu definitivamente sgomberato.

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