Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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lunedì 23 aprile 2012

Pesach Shenì 5772

Il 14 (e il 15) Iyar, esattamente un mese dopo Pesach, si ricorda anche Pesach Shenì (la Seconda Pasqua), istituita per dare la possibilità di celebrare la festa anche a chi non lo aveva potuto fare nel mese di Nisan, per motivi di impurità rituale o per causa di forza meggiore.
Quest'anno la ricorrenza è il 6 (e 7) maggio.

Tutti coloro che nel periodo di Pesach si trovavano lontani dal Bet Hamikdash, l'antico Tempio di Gerusalemme, o erano impuri (avevano avuto contatti con cadaveri, ecc.) non potevano fare il Korban Pesach (sacrificio di Pesach) nel giorno prestabilito dalla Torah; per dare a questa gente una seconda possibilità si è stabilito che potevano celebrarlo un mese dopo, cioè il 14 di Yiar. Questo giorno prese il nome di Pèsach Shenì (secondo Pesach).
Oggi, non esistendo più il Bet Hamikdash, si ricorda questo giorno mangiando un pezzo di Matzà (pane azzimo).

sito della Comunità ebraica di Milano
[…] tale giorno è ancora oggi contrassegnato da qualche manifestazione di gioia poiché è considerato un giorno sacro; vi è chi usa mangiare in esso un po’ di matzà - pane azzimo, ed è bene mangiare matzà anche la sera del 15. In quel giorno non si dice la Techinnà - le suppliche.

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
Da Moked, sito dell'Ucei
[…]  Secondo i maestri, la ‘Avodat Hashem, il culto al Signore, rappresenta l’essenza del mese di Iyar. Infatti, la Torà sottolinea che sono le stesse persone, impossibilitate a presentare il Korban Pesach al tempo stabilito, che chiedono a Mosè di avere un’ulteriore possibilità per poter adempiere alla mitzwà: “perché dovremmo essere da meno degli altri e non offrire il sacrificio di Pesach in mezzo ai figli d’Israele, nel tempo stabilito?” (Numeri 9:7). Per il fatto che quegli uomini abbiano voluto fortemente mettere in pratica la mitzwà del Korban Pesach, il Signore ha stabilito l’istituzione di Pesach Shenì trasferendo così il valore della Gheullà - redenzione anche nel mese di Iyar. L’istituzione del primo Pesach rappresenta la Gheullà che è stata promossa le’ela - dall’alto; l’istituzione del secondo Pesach rappresenta invece la Gheullà richiesta letatà - dal basso. Pesach Shenì ci insegna che in noi c’è una possibile forte volontà di eseguire le mitzwoth, a dimostrazione del fatto che Israele ha saputo introiettare dentro di se il senso della Gheullà e che la ricerca costantemente. Auguriamoci che per il merito di coloro che hanno permesso l’istituzione di questa festa, in tutte le nostre Comunità si possa sviluppare nuovamente, come allora, la stessa capacità di voler fortemente osservare le mitwoth - in quanto “sono la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni” - anche quando potrebbe sembrare di avere il “privilegio” dell’esenzione.

Pesach Shenì
Nulla è mai perduto
Quando noi diciamo, secondo l’insegnamento di Pèsach Shenì, che “nulla è mai perduto,” fondiamo ciò sulla base del legame essenziale che lega l’Ebreo a D-O, legame che non tiene conto del livello basso che l’individuo può aver raggiunto e consente sempre una possibilità di riparazione.

Come è noto, secondo la Chassidùt, l’insegnamento che deriva dalla festa di Pèsach Shenì (il ‘Secondo Pèsach’), è che “Nulla è mai perduto. La situazione può sempre essere corretta”. A dispetto di quanto una persona possa trovarsi in condizione di ‘impurità’ o di ‘lontananza’, essa può sempre correggere il proprio stato. In origine, questa festa fu istituita per quegli uomini che, essendosi dovuti occupare di importanti incarichi spirituali, come quello di trasportare la bara di Yossèf, o di seppellire i figli di Aharòn il Sacerdote, si erano resi impuri, perdendo così l’opportunità di offrire il loro Sacrificio Pasquale, per il quale era richiesto uno stato di purità. La loro impurità, tuttavia, non comportava un difetto, ma era dovuta semplicemente ad un adempimento della volontà Divina. Pur non essendoci quindi alcuna mancanza nel loro servizio, essi ebbero ugualmente il desiderio di raggiungere l’ulteriore elevazione spirituale che sarebbe derivata loro dall’offerta del Sacrificio Pasquale. Per questo essi chiesero: “Perché noi dovremmo esserne privati?” E la loro richiesta fu accolta in Cielo, cosicchè D-O aggiunse una nuova mizvà che permetteva, da allora a tutte le generazioni future, di offrire il Sacrificio Pasquale nel Secondo Pèsach. Come mai quelle persone non fecero subito la loro richiesta a Moshè, non appena seppero di doversi rendere impure? È noto che, fintanto che un individuo è occupato in una mizvà, egli è libero dall’obbligo delle altre mizvòt. Tutte le mizvòt, infatti, sono intercorrelate, così che ogni mizvà include tutte le altre e quando si è impegnati nell’adempimento di una mizvà è come si stesse adempiendo a tutte le altre. Quando però quegli uomini considerarono il loro futuro e capirono che avrebbero potuto raggiungere un livello spirituale più elevato, iniziarono a vedere la loro condizione presente come mancante. Per questo, quando alla vigilia di Pèsach essi videro che ognuno portava il proprio sacrificio, essi si rivolsero a Moshè, con la loro richiesta.

Un’occasione per tutti
Secondo la definizione dell’halachà, Pèsach Shenì è una festa a sè stante, e non semplicemente un’occasione per compensare l’impossibilità che si era creata di presentare il primo Sacrificio Pasquale. Esso viene ad aggiungere quindi una nuova dimensione nella Torà, e non solo per coloro che erano in uno stato di impurità, ma per tutto il popolo Ebraico. Anche a chi ha portato il proprio Sacrificio Pasquale, secondo tutte le regole, il Secondo Pèsach offre l’opportunità di un’ulteriore elevazione spirituale. Pèsach Shenì contiene quindi due insegnamenti, che coprono due diversi opposti. Da un lato ci fa comprendere che, per quanto basso sia il livello al quale una persona può trovarsi, essa può sempre elevarsi. D’altro canto, Pèsach Shenì ci insegna che anche chi compie il proprio servizio nel modo migliore e più completo, può aspirare ad una ulteriore elevazione, a raggiungere un livello superiore, per il quale egli dovrà compiere un “balzo” (secondo la modalità di elevazione che la festa stessa di Pèsach (‘salto’) ci insegna). 

Un legame essenziale
Questi concetti trovano una loro espressione nella parashà Bechukkotai, che apre con il verso: “Se voi procederete nei Miei statuti.” Il termine Ebraico che definisce ‘statuti’ ci riporta al concetto di ‘scolpito’ (‘Chok’). La Chassidùt ci spiega la differenza che passa fra le lettere che sono scritte con l’inchiostro sulla pergamena e quelle che sono scolpite nella pietra. Nel primo caso si tratta di due entità differenti, che possono essere separate l’una dall’altra. Nel secondo, invece, le lettere scolpite nella pietra sono parte della pietra stessa, un’entità unica e inscindibile. Vi è un parallelo di questo concetto nel servizio Divino dell’Ebreo. Le lettere scolpite nelle Tavole rappresentano il legame essenziale che unisce l’Ebreo al suo Creatore. Questo legame non può mai essere spezzato, poiché, nell’essenza, D-O e l’Ebreo sono un’unica entità. Quando noi diciamo quindi, secondo l’insegnamento di Pèsach Shenì, che “nulla è mai perduto,” fondiamo ciò sulla base di questo legame essenziale che lega l’Ebreo a D-O, legame che non tiene conto del livello basso che l’individuo può aver raggiunto e consente sempre una possibilità di riparazione. D’altro lato, dato che questo legame essenziale unisce l’Ebreo a D-O, Che è illimitato, esso consente ad ogni Ebreo, a qualsiasi livello egli si trovi, di elevarsi nel suo servizio Divino.
(Shabàt parashà Behar, 15 Iyàr 5749)
 
Il secondo Pesach. C’è sempre una seconda possibilità
Di Rav Yanki Tauber, per gentile concessione di Chabad.org

Introduzione
Un anno dopo l'esodo dall'Egitto, il Sign-re istruì il popolo d'Israele di portare l'offerta Pasquale il pomeriggio del 14 di Nissan e di mangiarlo quella sera dopo averla arrostita, insieme a matzà ed erbe amare. Tuttavia c'erano delle persone che erano ritualmente impure per aver avuto contatto con corpi deceduti e che quindi non potevano preparare l'offerta Pasquale in quel giorno. Essi chiesero a Moshè ed Aharòn: "perchè dovremmo essere deprivati e non avere la possibilità di portare l'offerta di D-o nel suo tempo, tra i figli di Israele?" Numeri 9.
Come risposta alla loro richiesta, il Sign-re stabilì il 14 di Iyar come il Secondo Pesach, Pesach Shenì, in questa data per chiunque non avesse potuto portare l'offerta un mese prima. Questo giorno rappresenta la seconda chance offerta dalla teshuvà, il ritorno e pentimento sincero. Nelle parole di Rabbi Yosef Yitzchak di Lubavitch: "Il Secondo Pesach significa che non esiste un caso perso".
L'usanza del giorno consiste nel mangiare matzà, se possibile shemurà.

Una Seconda Opportunità
“Non è mai troppo tardi. C’è sempre una seconda opportunità”. Questo il messaggio di Pesach Shenì, il secondo Pesach, secondo il sesto Rebbe di Lubavitch, Rabbi Yosef Yitzchak Schneerson (1880-1950). Pesach Shenì è il secondo Pesach menzionato nella Torà, che fornisce un’opportunità a chi non ha portato il sacrificio Pasquale nel momento giusto, di farlo ora.
Sicuramente tutti possono identificarsi con l’affermazione che “c’è sempre una seconda chance”. Esso da sollievo alle nostre anime afflitte, e si inserisce bene in un blocchetto di detti inspirational di fine anno…ma come si inserisce nella vita di tutti i giorni? Ho svolto un piccolo sondaggio nel vicinato.
“Ebbene” disse Sarah L, una vicina, “ieri sera mentre tornavo a casa dal lavoro ho perso il treno delle 18:22 e ho passato 35 minuti in stazione, leggendo un giornale vecchio di due giorni; se fossi arrivata a casa in tempo, avrei usato quel tempo per raccontare una storia a mia figlia. Spero di prendere il treno in tempo oggi, ma il treno di ieri non tornerà mai più…”
“Insomma” disse Jeffrey H., un avvocato di successo che si occupa di divorzi, “vent’anni fa ho conosciuto una ragazza meravigliosa che desideravo sposare. A un certo punto stavo per chiederle la fatidica domanda, e sapevo che avrebbe risposto di si. Ma il momento passò senza che io chiedessi la domanda. Non ho nessun rimpianto - oggi sono felicemente sposato - ma quel momento particolare non tornerà più, almeno non in questa vita.”
Forrest G. un magnate della finanza che conosco disse, “quando ero al liceo avevo un amico che mi chiese se pensavo che era il caso che si dedicasse a una carriera politica. Non era il tipo di persona che vorrei come capo di stato o come comandante supremo di una superpotenza. Tuttavia non volevo ferire i suoi sentimenti, perciò dissi, ‘ma si vai, provaci’. Puoi immaginare il caos che quest’uomo ha fatto durante gli otto anni che ha governato…ecco una decisione che è troppo tardi cambiare…”
A cosa ci riferiamo quando parliamo di una seconda chance? Intendiamo la capacità di entrare in una capsula, di essere trasportati in un tempo precedente, di mettere da parte il nostro io sbagliato e di fare tutto nel modo giusto questa volta? Ma se in questo sta la chiave del da farsi, che cosa si ha guadagnato? Si avrebbe potuto farlo nel modo giusto la prima volta!
Tuttavia, l’opinione della Torà sulla teshuvà, il ritorno, non è solamente il disfare o l’aggiustare un errore del passato. Piuttosto, si tratta del trasformare il passato. Significa toccare il passato per cambiare il significato e le conseguenze di ciò che è accaduto, affinché il risultato finale sia migliore di ciò che sarebbe stato se non fosse mai accaduto.
Sarah L: “Onestamente, anche se non avessi perso il treno avrei letto la storia a mia figlia quanto più velocemente possibile. Stavo pensando ad altre cose quel giorno. Ma il fatto che ho perso il treno e quindi non ho potuto mantenere la promessa a mia figlia mi ha indotto a riflettere quanto mia figlia abbia bisogno di me - non soltanto la mia presenza fisica, ma la mia attenzione e la mia consapevolezza. Stanotte, ho intenzione di sedermi sul suo letto e parlare con lei per davvero - una cosa che non facciamo da troppo tempo…”
Jeffrey H.: “Non c’è nulla al mondo più importante per me del mio matrimonio. Credo con certezza che la donna che ho sposato sia la mia anima gemella pre-destinata, colei che è la persona giusta per me. Più ci penso, più vedo ‘la mancata opportunità’ del mio passato come una sfida a sentire e superare quel livello di bramosia e speranza nel nostro rapporto. Mi dico: se sono riuscito a sentire così profondamente in quel frangente che è poi risultato essere non duraturo, dovrei sentire altrettanto per la realtà! Quando ragiono in questo modo mi innamoro nuovamente di mia moglie ogni giorno della mia vita”.
Il mio amico magnate, anziché andare in pensione, come aveva inizialmente intenzione di fare all’età di 65 anni, lavora giorno e notte per aggiustare gli errori del vecchio compagno di classe.

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