Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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venerdì 2 ottobre 2015

Miriam Rebhun a Ferramonti



TORNANDO DA FERRAMONTI
di Miriam Rebhun
Non ero mai stata a Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Certamente ne conoscevo il nome, legato al grande campo di concentramento prontamente allestito nel 1940 dal governo fascista per internare ebrei, apolidi, antifascisti italiani e stranieri presenti sul territorio, ma non di più, perché, come molti, per anni e per ragioni familiari, ho focalizzato la mia attenzione e le mie ricerche sui ben più tristemente noti campi di sterminio tedeschi. Ora che ci sono stata, in occasione del convegno legato alla Mostra “La Brigata Ebraica in Italia, 1943-1945”, in una mezza giornata ed in quel poco che resta del campo, mi si è aperto un mondo, ho avuto sotto agli occhi un altro e particolarissimo serbatoio di Memoria che chiede di essere custodito, valorizzato ed approfondito.
Nella breve visita al Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia, ho avuto come guida la dott.ssa Simona Celiberti che, mentre illustrava la struttura, parlava con passione della conservazione e del futuro del sito. La stessa determinazione a fare del campo di Ferramonti un luogo di conoscenza e di approfondimento storico traspariva, durante il convegno, dagli i interventi dei rappresentanti delle Istituzioni, il Comune, rappresentato dal sindaco Roberto Amoruso, la Regione dall’on. Franco Sergio, il Ministero dal prof. Francesco Fusca, il mondo della scuola dalla dirigente Maria Virginia Veltri.
Roque Pugliese, referente per la Calabria della Comunità ebraica di Napoli, portando ai presenti il saluto del rabbino capo Umberto Piperno e della presidente Lydia Schapirer, con il suo breve ed incisivo intervento metteva in luce l’apporto dei volontari del Palestine Regiment che il 10 ottobre 1943 liberavano, primo in Europa, un campo di concentramento e Leone Paserman, già presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, e figlio di un internato, ricordava tutte le tappe che avevano portato alla formazione della Brigata Ebraica ed il consistente contributo alla vittoria dato dai giovani ebrei venuti dalla Palestina e da quelli presenti nelle truppe inglesi ed americane.
Ed io? Io sono andata a raccontare la storia di due ragazzi della Brigata, due volontari, mio padre ed il suo gemello, due berlinesi rifugiati in Palestina, che in quegli stessi terribili mesi contribuivano con tutte le loro forze alla vittoria delle forze alleate e, nello stesso tempo, si prodigavano per i profughi, per gli ebrei sopravvissuti e collaboravano alla ripresa delle Comunità ebraiche così duramente provate. Piccole storie di una grande Storia. Nomi, vicende, luoghi, amori, dolori che danno concretezza e colore ai dati storiografici. Anche per il campo di Ferramonti questo deve avvenire. Quante più storie degli internati si riusciranno a ricostruire, tanto più ci si potrà compenetrare in quella babele di lingue, in quel senso di sradicamento, in quell’incertezza dell’avvenire, in quell’istinto di conservazione, in quello sforzo di non perdere la dignità che sicuramente erano il pane quotidiano delle persone trasferite in questo remoto angolo dell’Italia.
Consultando l’elenco dei circa duemila internati, alla lettera R ho letto con emozione due nomi: Guglielmo e Markus Rebhun. Parenti? Omonimi? Non lo so, ma questo mi ha fatto sentire il campo di Ferramonti ancora più vicino ed anche mio. Scorrendo l’elenco si nota con sollievo che tra quanti si trovavano a Ferramonti non c’è stato nessun deportato, mentre con raccapriccio si leggono i nomi di tanti trasferiti al centro e al nord che da lì sono stati deportati nei campi di sterminio. Le vite degli internati erano soggette ai regolamenti, alle decisioni e agli atteggiamenti dei dirigenti, al tipo di accoglienza della
popolazione del luogo. Il mix di questi tre elementi hanno fatto di Ferramonti, a detta di molti internati, un campo piuttosto speciale. Rileggere queste testimonianze, raccoglierne delle nuove anche dalla seconda e terza generazione, oltre che a conoscere meglio il passato, può farci comprendere quanto sia dura , anche in situazioni completamente diverse, la condizione dei profughi attuali che rischiano la vita per fuggire da guerre e povertà . Anche il loro futuro dipende dalle leggi, dai regolamenti, dalla sensibilità di chi li mette in atto, dall’atteggiamento accogliente o respingente della popolazione. Temi, questi, con cui noi tutti oggi ci dobbiamo confrontare.

DUE DELLA BRIGATA
di Daniele Coppin
Gli eventi storici determinano le scelte ed il destino degli individui le cui storie personali possono contribuire a comprendere meglio la portata di cambiamenti epocali. Il libro “Due della Brigata”, di Miriam Rebhun, racconta le vicende che hanno portato due giovani gemelli della borghesia ebraica tedesca prima all’aliyah e poi all’arruolamento nella Brigata Ebraica, facendo immergere il lettore nell’atmosfera di quel periodo del XX compreso tra l’avvento del Nazismo in Germania e la nascita dello Stato di Israele. I timori, i dubbi, i contrasti, le gioie sempre troppo brevi di Heinz e Gughy, i gemelli Rebhun, vengono raccontati con delicatezza e, nel contempo, ma senza mai edulcorazioni. La prima parte è incentrata sulla scelta dei due fratelli di lasciare l’Europa per la nuova vita in Eretz Ysrael. Dapprima la decisione di lasciare la famiglia e affrontare la sfida di andare a vivere nel luogo agognato da generazioni ma così diverso da quello in cui i due gemelli erano cresciuti, con tutte le difficoltà di adattamento ad un ambiente naturale e ad
un contesto umano e sociale tanto diversi da quelli della tradizione ebraica europea; poi l’angoscia per la drammatica situazione degli Ebrei europei perseguitati; infine la decisione di arruolarsi nella Brigata Ebraica, aggiungendo un nuovo importante tassello al processo di autodeterminazione del popolo ebraico attraverso la lotta armata al nazifascismo. La seconda parte si svolge tra l’Italia ed Eretz Yisrael. In Italia, durante l’avanzata degli eserciti alleati lungo la penisola, Heinz giunge a Napoli e aiuta la comunità ebraica a riassestarsi dopo gli anni delle leggi razziali e i danni subiti dalla città partenopea nel corso della guerra e dove conosce la giovane Luciana. In Eretz Yisrael, divenuto ormai teatro degli scontri armati preliminari a quella che sarebbe stata la guerra del 1948-49, i novelli sposi vanno a vivere con la prospettiva di un domani incerto e tutto da costruire per loro e per la piccola Miriam. “Due della Brigata” è un tributo alla memoria di chi accettando una sfida imposta dalla Storia, ha contribuito alla liberazione dell’Italia
e alla nascita dello Stato di Israele. Un tributo a persone normali capaci di realizzare una missione straordinaria non per giovanile spirito di avventura ma per poter vivere e aiutare altri a vivere, in nome di quell’etica della responsabilità intrinseca nell’Ebraismo che consente ad ogni essere umano di migliorarsi e migliorare la vita degli altri. A loro, a questi uomini e a queste donne, va tutta la nostra riconoscenza per l’esempio che hanno rappresentato e per il sacrificio che hanno compiuto.

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