Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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27 gennaio 2019: Giorno della memoria

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domenica 20 gennaio 2013

Tu biShvat e Giorno della memoria







Un bel commento di rav Bahbout
alla festa di Tu biShvat,
in connessione al Giorno della memoria,
con il quale quest’anno coincide quasi esattamente
  
Le foto sono tratte
dal sito del KKL Italia
(Keren Kayemet leYisrael,
l'organizzazione che si occupa in particolare della forestazione di Israele)



 Tu bishvat: Capodanno degli alberi
L’uomo: un albero capovolto che deve esercitare la memoria
Rav Scialom Bahbout
Rabbino capo di Napoli e del Meridione
Da Sullam, newsletter della Comunità ebraica di Napoli
Anno V n. 105, 17 gennaio 2013 - 6 shevat 5773


La data in cui far cadere il Capodanno degli alberi è oggetto di discussione tra i maestri: la scuola di Shammai sostiene che esso cade il primo di Shevat, quella di Hillel il quindici, opinione questa accettata come norma
Alla base di questa discussione sta non solo una diversa valutazione del momento in cui ha inizio il risveglio della natura dal torpore invernale, ma un diverso approccio al mondo della natura e, di conseguenza, a quello dell’uomo stesso: mentre Shammai ritiene che ogni evento debba essere analizzato e giudicato per ciò che è “in potenza”, Hillel pone l’accento su ciò che si può osservare “in atto”, su ciò che è visibile e misurabile. Secondo Shammai il Capodanno degli alberi va anticipato perché le prime gemme sono già pronte a spuntare due settimane prima del momento in cui noi le osserviamo; Hillel sostiene invece che ciò che conta è il momento in cui il fiore, da cui nascerà il frutto, è visibile e osservabile.
Ora quando analizziamo le azioni dell’uomo, dobbiamo applicare lo stesso sistema di valutazione usato per gli alberi: possono essere oggetto di giudizio solo le azioni e non i pensieri, secondo quanto afferma la Torà, per cui “l’uomo è come un albero del campo” (Deut. 20:19).
Giocando sulle ambiguità del testo biblico, il Midràsh attribuisce alla Terra la colpa di non aver obbedito a una precisa parola divina: il Signore aveva ordinato alla Terra di produrre ‘ets perì, cioè alberi frutto, alberi cioè in cui il sapore dell’albero si identificasse con quello del frutto. La Terra si limitò invece a produrre ‘etz ‘osè perì, cioè alberi che fanno frutto, alberi cioè in cui manca l’identità tra albero e frutto, così come era stata voluta da Dio: questa disobbedienza dell’albero spiega la maledizione che colpì la Terra assieme a quella dell’uomo. L’albero era stato creato per costituire esso stesso un fine a se stesso - il sapore dell’albero deve essere uguale a quello del frutto - ma esso rifiutò questa sua condizione e preferì divenire solo un mezzo per la produzione dei frutti, limitando così quelle che erano le sue potenzialità.
L’uomo, come l’albero, deve far sì che ci sia una identità tra mezzi e fini e ricordarsi che il fine non giustifica i mezzi, perché altrimenti l’uomo perde una parte rilevante delle sue potenzialità.
Il rapporto esistente tra uomo e albero può essere interpretato però in maniera antitetica. Scrive infatti il Maharal di Praga: “l’uomo è chiamato albero del campo, ma in verità è un albero capovolto, perché l’albero ha le radici in basso - fissate in terra - mentre l’uomo ha le sue radici in alto: la sua radice è l’anima che è di origine celeste… Perché l’uomo è un albero capovolto? L’albero ha radici in basso perché deriva la sua vitalità dalla terra, mentre la vitalità dell’anima umana deriva dal Cielo … e questo è il significato del precetto dei tefillin: essi piantano l’uomo nel Signore”.
Se mettiamo assieme queste due affermazioni possiamo dire che l’uomo ha le sue radici in terra e in cielo. L’esperienza d’Israele può essere rappresentata in sintesi nella scala di Giacobbe che era fissa per terra, ma arrivava fino al cielo: tradurre in atto (in terra) ciò che viene rivelato in potenza (in cielo) è compito di ogni ebreo, compito di ogni uomo.
Il 27 di gennaio, Giornata della Memoria nel calendario non ebraico, coincide quest’anno con il Capodanno degli alberi, esattamente come accadde nel 1945 quando fu liberato il campo di Auschwitz. Abbiamo affermato che l’uomo è come un albero del campo. Molti alberi sono stati sradicati nei campi di concentramento e nei ghetti durante la Shoà: la generazione che è sopravvissuta e noi che ne siamo gli eredi abbiamo il dovere di piantare nuovamente noi stessi nella casa del Signore: Coloro che sono piantati nella casa del Signore, fioriranno nei cortili del nostro Dio (Salmo 92).

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