A
seguito (anche?) del matrimonio di cui ho scritto di recente, si erano aperte
delle polemiche, delle quali è giusto dare conto, dal momento che riguardano direttamente
l’ebraismo in Calabria, ma evito di scendere in troppi particolari, in quanto,
sinceramente, pur condividendo qualcuno degli interrogativi sollevati, che
vanno al di là del singolo episodio, mi è sembrato un po’ pretestuoso e del
tutto inopportuno in questo momento di gioia famigliare, ebraica e calabrese, pur in presenza di ombre, che in questo momento avrebbero dovuto essere state messe da parte.
Oltre a questo, mettere in dubbio il giudizio di un Bet Din riconosciuto, mi
sembra ugualmente inopportuno, almeno così a me è stato detto quando avevo
sollevato dubbi in altre situazioni: “Se per il Bet Din è ebreo, vuol dire che
è ebreo”, e a questo mi aspetterei si attenesse ogni ebreo, tanto più se
rabbino, anche se capisco che io, non ebreo né tantomeno rabbino, non ho il diritto
né la competenza per pronunciarmi.
Chiedo scusa per la mia presunzione, ma mi pongo nelle vesti di chi vive, legge e vede le cose dall'esterno e non può non interrogarsi.
Chiedo scusa per la mia presunzione, ma mi pongo nelle vesti di chi vive, legge e vede le cose dall'esterno e non può non interrogarsi.
Al
di là delle polemiche, devo però rilevare che un altro aspetto, molto più interessante, ne
è scaturito (in realtà vecchi temi, già affrontati più volte e sempre senza soluzioni definitive, anche perché, probabilmente, nulla ci può essere di definitivo in una situazione che è sempre in movimento.
Si tratta, in altri termini, della questione e della
gestione dei giyur, la prudenza e l’accoglienza verso i Bne Anusim, l’atteggiamento
e il comportamento verso l’ebraismo meridionale in genere e calabrese in
particolare, per quel che ci riguarda, e più in generale verso i singoli, le
famiglie, i nuclei minimi di neshamot che si sentono chiamati alla Fede dei
Padri in luoghi lontani da centri comunitari
Qui
le problematiche ci sono, e sono numerose e scottanti, forse su questo sì, più che
polemiche, varrebbe la pena aprire un dibattito, discutere, avanzare proposte: ormai la nuova realtà ebraica calabrese ha quasi otto anni, e ancor di più quella meridionale, pugliese in particolare, con Trani e Sannicandro, e siciliano, con il nucleo consolidato di Palermo.
Credo
che ognuno che ami l’ebraismo e la sua rinascita in Calabria e al Sud, abbia le
sue responsabilità (nel bene e nel male, che si tratti di meriti o di colpe), a
partire dal singolo ebreo o ger fino alle strutture più alte.
Io,
con la mia pretesa di aprire un blog sul tema, ho sicuramente più
responsabilità del singolo che percorre silenziosamente la sua strada; un
Referente o Consigliere ne hanno più di me; un Rabbino, tutti i Rabbini, che
hanno operato nel passato (sì anche nel passato, avranno commesso anche loro
qualche errore, quelli che imputano colpe agli altri?), agiscono nel presente e
lavoreranno nel futuro (ci sarà un futuro? lo si vuole davvero?); così, al di
sopra dei singoli rabbini, ancora più responsabilità hanno i dirigenti del Progetto
Meridione dell’UCEI, e, in ultima istanza, l’UCEI, con il suo Dipartimento
Cultura, senza dimenticare Shavei Israel (a cui va pure riconosciuto grande Kavod)
e l’ARI (Assemblea rabbinica italiana).
Questa che pubblico
qui a sinistra è la foto che tuttora fa da “copertina” per la pagina di Shavei Israel
Italiano, risalente ad alcuni anni fa, non ricordo esattamente quanti.
Premesso
che alcuni sono amici, e non persone interessate al giyur, vorreste sapere
quanti di quelli interessati stanno continuando il percorso?
Preferisco
non dirlo, mi fa male al cuore.
Il
futuro è nelle mani di QBH, ma certo un piccolo aiuto da parte umana non sarebbe
niente male.
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