Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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27 gennaio 2019: Giorno della memoria

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venerdì 30 aprile 2010

Aggiornamenti su Punta Stilo

A qualche distanza di tempo dal vecchio post Punta Stilo: generalità e centri minori, a seguito di nuove letture, apporto qualche modifica alla cartina che avevo pubblicato all’epoca.


Grazie all’interessantissimo volume curato dal professor Pietro De Leo, La Platea di Sinopoli, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, Placanica, come ho già scritto nel post precedente, entra nel numero delle località in cui la presenza ebraica è documentata all’epoca angioina, nel 1335, e non solo, come avevo, scritto in quella del Catasto onciario, intorno alla metà del XVIII secolo, dove erano segnalati degli "ebrei fatti cristiani".

Al contrario, ho passato dal blu al rosso (presenze meno certe) la contrada Gatticello di Stilo (è molto difficile che si riferisca ad un “piccolo ghetto”) ed anche Guardavalle: la presenza di una famiglia “d’a Crista” è troppo labile per supporre un’antica presenza ebraica, sebbene il Ferorelli, in Gli Ebrei nell’Italia meridionale, dall’età romana al secolo XVIII, attesti almeno due ebrei che hanno nome Cristo e Cristio; andrebbero comunque fatti ulteriori approfondimenti.

Rispetto alle informazioni già date, non ci sono novità su Bivongi (a parte la curiosità, ma non è niente più di questo, di un “judeu d’a Serra” che viene citato nel XIX secolo), Judari (di cui nel volume di Enzo D'Agostino, Da Locri a Gerace: storia di una diocesi della Calabria bizantina dalle origini al 1480, viene detto trovarsi nel territorio di Locri o Gerace, ma mi sembra molto più credibile l’ipotesi di Cuteri che la pone tra Camini e Stignano), Monasterace (ma la notizia su Placanica può rafforzare l’ipotesi di un’antica presenza anche qui, al momento confortata, oltre che dal dubbio sul Catasto onciario, dalla Platea di Santo Stefano del Bosco).

Ugualmente invariata è la situazione di Stilo e Caulonia (Castelvetere) .

Riguardo a Stilo, devo però precisare che le famiglie fuggite alla fine del XV secolo erano ben 36 e non 16; inoltre, dal momento che nei testi medievali quando si parla di Stilo si intende di solito non la sola cittadina ma anche il suo demanio, che comprende anche Camini, Guardavalle, Pazzano, Riace e Stignano, è possibile che tale rilevante presenza (circa il 10% della popolazione) sia riferita non al solo capoluogo, ma anche ai centri citati.

Infine, con tutta la cautela che bisogna avere per le indicazioni toponomastiche, spesso molto ambigue, devo segnalare in questo territorio una new entry, infatti nel Dizionario onomastico e toponomastico della Calabria di Gerhard Rohlfs è segnalata la contrada Judarìu a Pazzano, e lo stesso accade per il territorio di Castelvetere, dove segnala la contrada Judica, che interpreta come “Giudecca”.

In generale, con Placanica, si conferma la mia impressione che la presenza ebraica in Calabria

sia stata più diffusa e persistente di quanto finora accertata,

ed anche riguardo agli indizi toponomastici sulle varie Judica, Judeca, Judarìu, ecc.,

una volta effettuata una mappatura più precisa,

sarà forse possibile ricavare qualche elemento di conferma al riguardo

Aronne a Placanica

Naturalmente non intendo il Grande Sacerdote biblico, fratello di Mosè,
ma uno degli ebrei che un documento cita come abitante di Placanica

Foto da Wikipedia

Mi è arrivato ieri il bellissimo volume curato dal professor Pietro De Leo, La Platea di Sinopoli, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, e subito (ovviamente) sono andato a caccia di ebrei.

La cosa più notevole è che, grazie a questa pubblicazione, Placanica esce dal novero delle località in cui la presenza ebraica era incerta,
come avevo scritto nel vecchio post Punta Stilo: generalità e centri minori, per entrare tra quelle in cui la presenza è documentata.

Se prima avevamo soltanto l’attestazione dubbia e piuttosto tardiva riferita dal Catasto onciario del 1745, in cui si parlava di
"Ebrei fatti cristiani", ai quali una chiesa di Placanica versava un contributo annuo come “premio” per la loro conversione, ora possiamo essere sicuri che ebrei realmente vi fossero in questo centro in epoca molto precedente, nel 1335: infatti il professor De Leo già nell’introduzione cita gli ebrei di Placanica, come notizia inedita prima di questo documento.

Nel testo si parla prima genericamente di "ebrei che sono tenuti a dare per ogni casa o focolare un tarì nel mese di agosto"; poco più avanti, negli "Incensualia Pracarice", sono citati i nomi di due ebrei che vi possedevano terre (Saydon in associazione con un cristiano, che a sua volta ne affittava una parte all’ebreo Aron).

Più avanti, sotto la voce "Iura domini exigenda a iudeis Placanice", si stabilisce una serie di diritti e doveri degli ebrei, specificando che devono pagare "in liliatis tarenum unum" (i liliati dovrebbe essere, ma non ho competenza in materia, una moneta coniata da Roberto d’Angiò).

Infine, in un elenco di possessori di terre, vengono nominati di nuovo i due Saydon, Aron altri due, Farachio e Farione.

Naturalmente è possibile che ve ne siano altri che non sono nominati, ma se teniamo presente che nel 1276 (come citato nell’introduzione al volume) gli abitanti di Placanica sono circa 375, calcolando un numero di 4/5 persone a famiglia, come gli storici suppongono per l’epoca, abbiamo un numero di ebrei che si aggira intorno (come minimo) ai 20, che corrisponde a circa il 5%, stima che viene fatta per la popolazione ebraica in Calabria dell'epoca aragonese, l'età d'oro dell'ebraismo meridionale.

Non mi sembra poco per un centro come Placanica, piccolo in superficie, abitanti e (presumibilmente) in risorse economiche: possiamo immaginare che anche altri piccoli centri vedessero delle seppur ridotte presenze ebraiche, per non parlare dei centri più rilevanti, dove queste dovevano essere ancora maggiori.

giovedì 29 aprile 2010

San Nicandro: una storia e un film

Saccheggio di nuovo Moked - il portale dell'ebraismo italiano, che raccomando caldamente di consultare, perché è pieno di informazioni sull'attualità e la spiritualità ebraiche, nonché di notizie che riguardano il mondo ebraico e quello italiano in particolare
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Il risveglio di San Nicandro

Rossella Tercatin

La notte del 10 agosto 1930, nel piccolo centro pugliese di San Nicandro, Donato Manduzio, professione bracciante, fece uno strano sogno, che lo spinse a mettersi a leggere la Bibbia (una Bibbia protestante, l’unica che riuscì a reperire). Fu così che scoprì e cominciò a praticare l’ebraismo, senza sapere nemmeno che al mondo degli ebrei esistevano ancora. Ebbe inizio in questo modo una delle pagine più incredibili della storia dell’ebraismo italiano novecentesco.

Il popolo ebraico è considerato un esempio straordinario, per molti aspetti unico, di cultura e coesione mantenute intatte per millenni. Il trascorrere del tempo, la dispersione e le persecuzioni, a prima vista non sembrano aver danneggiato la vita e la vitalità degli ebrei nel mondo. Non altrettanto si può affermare a livello demografico. Quanti sono gli uomini e le donne ebree che si sono allontanati nel corso dei secoli? Impossibile saperlo. Ma è accaduto anche, e sempre più spesso si ripete oggi, che persone del tutto estranee all’ebraismo, magari animate da antichi ricordi di un’appartenenza perduta da generazioni, all’ebraismo vogliano ricongiungersi. Un fenomeno sempre più frequente per esempio nei territori dell’Ex Unione sovietica, per ragioni geopolitiche, ma che si ripete costantemente anche in quelli che nel XV secolo erano domini spagnoli, dove gli ebrei furono espulsi o costretti a convertirsi. E dove in molti casi scelsero di mantenere in segreto le proprie tradizioni, dando vita al fenomeno del marranesimo. Proprio di queste storie di identità perdute e ritrovate si parla nel Moked primaverile 5770, che prende oggi il via.

Sarà proprio “Marrani di ieri e di oggi” il filo conduttore di incontri e dibattiti che animeranno le giornate dei partecipanti all’appuntamento annuale del DEC.

Nelle regioni meridionali della nostra penisola oggi la riscoperta dell’ebraismo perduto è fortissima, come ha testimoniato il successo di Negba, il primo festival della cultura ebraica in Puglia organizzato a settembre dall’UCEI.

Sono tante le storie nate all’ombra Gargano. Quella di San Nicandro la racconta oggi un film-documentario presentato per la prima volta nel novembre 2009 al festival Transiti d’Oriente, “San Nicandro, Zefat. Il viaggio di Eti”, diretto da Vincenzo Condorelli.

Nel giro di pochi anni dopo la visione di Donato Manduzio, il gruppo di ebrei sannicandresi era arrivato a contare più di una ventina di persone. Erano stati avviati contatti con la Comunità ebraica di Roma per un processo di conversione riconosciuto. Ma per gli ebrei in Italia i tempi si facevano cupi. Con le leggi razziali, il rabbino capo di Roma cercò di dissuadere Donato Manduzio e i suoi dal proseguire nell’intento, loro che potevano scampare alla persecuzione. La risposta fu indignata. Il gruppo si considerava e voleva essere considerato ebreo a tutti gli effetti, pronto a sopportare anche le conseguenze più negative. La conversione vera e propria arrivò nel 1946, e nel giro di pochi anni la maggioranza degli ebrei di San Nicandro si trasferì in Israele.

Oggi nel paese vivono alcune decine di ebrei, tra i quali Grazia Gualano, ricercatrice di Storia dell'Ebraismo sannicandrese e Presidente del gruppo San Nicandro. Sarà lei a commentare il documentario, in cui compare proprio nel suo ruolo di studiosa che aiuta il protagonista Eti a ricostruire la sua storia familiare.

La comunità di San Nicandro, nonostante le difficoltà che deve affrontare legate all’esiguità dei numeri, e alla scarsa disponibilità di prodotti kasher, continua a rappresentare, a distanza di tanti anni dalla sua nascita, uno straordinario esempio di vitalità ebraica, contro una storia che secoli fa sembrava aver messo per sempre la parola fine all’ebraismo italiano del meridione.

Il viaggio di Eti

Manuel Disegni

S’intitola “San Nicandro, Sefat. Il viaggio di Eti”, il film sulla comunità ebraica di San Nicandro garganico che sarà protagonista della prima serata del Moked e che era stato proiettato in anteprima nazionale l'estate scorsa, nelle intense giornate di Negba, il festival della cultura ebraica in Puglia. Alla proiezione della pellicola seguirà un dibattito con Grazia Gualano, studiosa della storia dell'ebraismo di San Nicandro e fautrice della rinascita della comunità locale.

Il viaggio di Eti è un'opera del cineasta Vincenzo Condorelli, coprodotta dall'Apulia film commission, l'Associazione culturale Antonello Branca e Medinet audiodivuals, con il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Narra del viaggio che Eti, Yossi e Miriam, rappresentanti di tre generazioni dell'ebraismo sannicandrese compiono alla riscoperta delle loro origini pugliesi e delle tracce che ancora oggi sono presenti dal Gargano al Salento della fiorente presenza ebraica. I protagonisti sono discendenti degli ebrei che, all'epoca della seconda guerra mondiale emigrarono dall'Italia meridionale in Galilea.

Eti è una giovane laureanda presso l'Istituto di cinematografia di Gerusalemme. Come tesi sta preparando un film sulla vicenda dei suoi nonni Eliezer ed Esther Tritto, i quali da bambini dovettero trasferirsi da San Nicandro a Sefat insieme alla loro comunità. Yossi è un affermato filmaker con cui Eti avrà modo di confrontarsi durante il viaggio, Miriam è la sua anziana madre che lotta contro il morbo di Alzheimer. I rapporti che si instaurano tra i tre protagonisti sono lo specchio di quelli intergenerazionali tra gli ebrei pugliesi. Storia, memoria e costruzione dell'identità sono le tematiche che, attraverso l'esperienza dei tre viaggiatori, Condorelli si propone di affrontare.

Il 2010 è il cinquecentesimo anniversario della cacciata degli ebrei dell'Italia del sud. Proprio in questo ultimi anni si è registrato un crescente desiderio di recuperare tradizioni e sentimenti ebraici rimasti sommersi per molti decenni, in alcuni casi per secoli. Il film sulla comunità sannicandrese inaugura i lavori di un Moked dedicato al marranesimo, che s'interroga sulle possibilità e sulle modalità di recupero e di valorizzazione di queste tradizioni dimenticate, su come rinsaldare i legami con i cosiddetti ebrei invisibili.


Il grande ritorno dei marrani

Segnalo, dal sito Moked - il portale dell'ebraismo italiano, questo incontro molto importante che si tiene in questi giorni, e che riguarda la realtà ebraica in Calabria e nel Sud.

Mi conforta sapere che la situazione è in movimento, e che possiamo sperare che (in tempi lunghi...) rinasca un ebraismo meridionale.


Moked - Al via la grande convention di primavera

“Marrani di ieri e di oggi”. Questo il tema del Moked di primavera, la tradizionale convention dell’ebraismo italiano, dedicata quest’anno al suggestivo tema dei conversos. I casi di singoli, di famiglie o di intere comunità che chiedono di entrare a far parte del popolo ebraico si vanno infatti facendo frequenti. In molti casi pare si tratti di discendenti di marrani, che nel corso dei secoli hanno mantenuto una qualche segreta fedeltà all’ebraismo. È il motivo per cui la questione marrana, quanto mai peculiare dell’esperienza storica ebraica, torna a farsi attuale e merita quindi attenzione e analisi approfondite, nell’intento di coglierne il significato e i riflessi sull’ebraismo contemporaneo. Al tempo stesso il marranesimo potrebbe rivelarsi una preziosa pietra di paragone, se messo a confronto con forme di nascondimento e di dissimulazione dell’identità sempre più frequenti. L’argomento, di particolare interesse nel cinquecentenario della cacciata degli ebrei dal Sud Italia, sarà affrontato sia dal punto di vista storico sia da quello rabbi nico. Tra i relatori, Piera Ferrara (Università di Tor Vergata), David Meghnagi (Università Roma Tre), Sergio Della Pergola (Università di Gerusalemme) e rav Eliahu Birnbaum di Shavei Israel, l’organizzazione israeliana fondata dal giornalista Michael Freund che lavora al recupero degli ebrei perduti: i Bne’ Menashe in India, gli ebrei cinesi di Kaifeng, gli ebrei inca, i discendenti degli ebrei polacchi e, appunto, i conversos di Spagna, Portogallo, America latina e forse tra poco anche d’Italia.

A prima vista sembra uno di quegli argomenti riservati agli storici o alle ricerche erudite. Ricco di fascino e mistero ma ben poco pregnante per il presente e soprattutto per il futuro. Parlare di marrani e del marranesimo vuol dire invece mettere sul tavolo le mille contraddizioni intrinseche al mondo ebraico, toccarne con mano le radici e affrontare il tema per eccellenza: quello dell’identità. Rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec - Dipartimento educazione e cultura UCEI non si nasconde la complessità della questione ma è ben convinto che ragionare dei conversos sia ragionare degli ebrei di oggi e del domani. Per questo ha voluto dedicare al marranesimo il Moked di primavera che, accanto alle consuete occasioni di svago e convivialità, proporrà sull’argomento un programma d’approfondimento di grande interesse.

“Vi sono più ordini di motivi che mihanno spinto a questa scelta - spiega - Da un lato è in atto una riscoperta del Sud d’Italia: a cinquecento anni dalla cacciata degli ebrei da quelle terre, nel 1510, stiamo approfondendo studi, ricerche e progetti sul Meridione con risultati notevoli dal punto di vista storico e antropologico. E proprio in questo contesto stanno emergendo tracce importanti del fenomeno dei conversos”. Gli studiosi che si addentrano in questo mondo si confrontano con famiglie in cui da secoli sopravvivono reminescenze, ricordi lontanissimi, pratiche di cui si è scordata da tempo l’origine: l’usanza di accendere le candele al venerdì sera o di cuocere il pane azzimo a Pasqua, un certo modo di fare cucina, taluni gesti.

Sono abitudini che, dice rav Della Rocca, vanno indagate con cura per capire se racchiudono davvero una specificità ebraica. Ma certo inoltrarsi in quest’universo ancora velato di segretezza, fare i conti con quanti s’interrogano sulle loro radici lontane e su ciò che significano per il presente e per il futuro risulta tanto più suggestivo oggi, in tempi contrassegnati da identità in bilico. Ed è questo il secondo grande motivo per cui nella convention di primavera si parlerà di marranesimo. “Viviamo un momento in cui è fortissima la dissimulazione dell’identità ebraica - afferma il rav Roberto Della Rocca - Sono sempre più frequenti le forme di nascondimento mentre avanza il fenomeno dei cosiddetti ebrei invisibili che in molti modi celano la loro identità e la loro origine. Si tratta di una situazione per molti versi speculare a quella dei discendenti dei marranos che invece cercano di dare visibilità a un ebraismo sommerso e vogliono entrare a far parte del mondo ebraico. Ed estremizzando il ragionamento si potrebbe anche affermare che esiste il pericolo di un marranesimo al contrario: ebrei esteriormente e qualcos’altro nella propria intimità. Riflettere su questi diversi aspetti è dunque molto intrigante”. A rendere la cosa ancor più stimolante concorre il fatto che il tema dei conversos dal mondo ebraico è sempre stato vissuto in modo conflittuale. Il marrano gioca infatti su una doppiezza tra pubblico e privato, è ebreo dentro casa e cattolico fuori. Costretto da un travagliato destino, considerato spesso un impostore e un eretico dai cristiani, e un traditore della sua gente. Ma se si tiene conto della forte costrizione esercitata su di lui e sui suoi familiari lo si può vedere invece come una persona forzata ad abiurare con la violenza e la minaccia: un uomo o una donna da comprendere e non da condannare.

“L’approccio ai conversos - spiega il rav Della Rocca - suscita da tempo una forte dialettica nelle coscienze ebraiche e sul tema c’è da sempre un dibattito all’interno dello stesso rabbinato. Nella scelta tra morte e conversione i marrani hanno risposto con una soluzione alternativa che ha assunto una portata collettiva, vivendo il paradigma di una doppia identità.

Una dimensione che ci rimanda alla Bibbia, alle figure per noi così importanti di Mosè e di Ester”. Figlio di una madre ebrea e cresciuto a palazzo come un egiziano, Mosè è il paradigma di un’identità doppia che si risolverà nel riconoscimento dell’essere ebreo. Proprio come accade a Ester, che vive in segreto il suo essere ebrea finché gli eventi la inducono a manifestarsi a protezione del suo popolo. Al di là delle suggestioni bibliche confrontarsi con i marrani comporta una serie di problematiche non da poco.

“La riammissione all’ebraismo non può affatto essere automatica - sottolinea infatti il rav - Si deve valutare la veridicità delle origini ebraiche, cosa non facile vista la distanza storica dalla conversione. E si deve poi capire se l’abiura è avvenuta sotto costrizione e minaccia della vita. La legge rabbinica prevede, in linea teorica, anche l’obbligo di mettere a disposizione la propria vita pur di non infrangere il divieto d’idolatria. Ma certo il caso dei conversos è del tutto sui generis”.

A confermarlo la preghiera, presente solo nel rito italiano, in cui si auspica che gli anusim (termine ebraico che alla lettera significa violentati e che indica i marranos) possano fare ritorno. Il rabbino la pronuncia al sabato mattina, dopo aver benedetto la comunità, prima di riporre il Sefer Torah nell’Aron HaKodesh. E’ un invito a chi ha dovuto allontanarsi e al tempo stesso un monito che rimanda a una riflessione sulla secolare storia ebraica.


Daniela Gross, Pagine Ebraiche, maggio 2010

martedì 27 aprile 2010

ArcheoDeri: il sito e il parco

Scopro solo oggi l'esistenza di questo bel sito dedicato ad ArcheoDeri, il parco archeologico che si trova a Bova Marina intorno a Deri, area dell'antica e celebre sinagoga.
Si tratta di un sito davvero ben fatto, dedicato non solo a quest'area ma all'ebraismo calabrese in genere: invito tutti a visitarlo e a "studiarlo".

Riporto ora alcune informazioni "rubate" dal sito stesso.

Per un inquadramento storico-territoriale
Lungo il versante ionico meridionale calabrese, a circa cinquanta chilometri a sud di Reggio Calabria, in località S. Pasquale nei pressi di Bova Marina (contrada Deri) negli anni 1983-1987, si è rinvenuta fortuitamente e scavata una struttura che è stata chiaramente riconosciuta come una sinagoga ebraica.
La sinagoga sorgeva in una località interessata da altre strutture. L'area non è ancora a tutt'oggi completamente esplorata, ma dovrebbe trattarsi con ogni probabilità di un piccolo villaggio in prossimità della strada costiera che, in antico, collegava Reggio con le altre località poste lungo la costa ionica. Con buona probabilità il sito è identificabile con l'antica Scyle, indicata, con diverse varianti, negli Itineraria antichi. Già il Catanea-Alati notava che accanto alla contrada Deri si conserva in un luogo il toponimo Scillàca o Scilliàca.
L'itinerario dell'Anonimo Ravennate segna in due diversi passi il toponimo di Sileon dopo di quello di Leucopetra, muovendosi da Reggio lungo la via ionica. L'itinerario Guidonense, epitome del precedente, conferma il nome del sito, dandone due varianti: Scilleume Sileum. La seconda riprende il nome dato dal Ravennate. La variante Scilleum è invece seguita da una fonte che supera le altre per importanza, la Tabula Peutingeriana, che dopo Regio e Leucopetra pone Scyle. La Tabula pone però un altro problema, rappresentato dalle distanze che sono segnate tra i nomi dei siti.
Tra Reggio e Leucopetra, separate da un fiume, si pone una distanza di 5 miglia. 20 miglia separano Leucopetra da Scyle, e altre 60 separano Scyle da Lucis. Ora se teniamo come punti fermi Reggio e Lucis = Locri, e accettiamo l'identificazione di Leucopetra con Lazzàro e di Scyle con Bova Marina, possiamo osservare che le distanze tra i primi tre siti (Regio, Leucopetra e Scyle) sono sostanzialmente esatte. Un problema sorge però dall'indicazione di LX posta tra Scyle e Lucis. In effetti la distanza tra Bova Marina e Locri è molto minore.La Crogiez, pur notando che "le problème des distances trop importantes de la Table, qui indique LX milles de Scyles à Locres, n'à pas été résolu", non offre alcun tentativo di soluzione, pur concludendo che "on propose de reconnai^tre la station Scyle dans l'ensemble découvert dans la contrada Deri (loc. S.Pasquale)".

Bova, luogo di incontro delle grandi civiltà
Non lascia mai indifferenti riflettere sulla propria storia, sulla dinamica degli eventi passati, ed è oggi con emozione che do il benvenuto ad un così prestigioso consenso di appassionati studiosi, esploratori di un percorso culturale per lungo tempo taciuto ma mai cancellato dalle menti e dai cuori dei bovesi.
È la storia di un passato che non possiamo e non vogliamo più ignorare, una storia che regalandoci inattese suggestioni, intesse affascinanti legami tra i discendenti di Mosè e i greci di Calabria. In particolare, a noi, abitanti dell’antica Delia, è concesso guardare al problema da un’angolazione privilegiata.
Ed infatti il casuale rinvenimento, nel 1983, proprio in località San Pasquale di un edificio sinagogale, dapprima sbrigativamente catalogato come quel che restava di un’antica villa romana, getta oggi nuova luce sulla questione della presenza giudaica nel territorio limitrofo all’antica Regium romana, evidenziando la centralità che proprio Bova Marina, il nostro comune, riveste nella geografia del problema. Ideale trait d’union tra passato e presente, la sinagoga e tutto il complesso culturale-emozionale che quelle esigue vestigia intendono evocare, costituisce, dunque, un importante tassello della nostra identità, pietra miliare da cui è impossibile prescindere per conoscere e riconoscersi in una storia che è parte di noi.
Consci di questo valore ma altresì convinti che molto resti ancora da chiarire intendiamo intraprendere un percorso di valorizzazione nell’ottica del quale questa tavola rotonda segna un importante punto fermo. Sono certo, infatti, che le riflessioni maturate in questa sede costituiranno un incisivo stimolo per ulteriori approfondimenti su tematiche a noi tutti, in quanto popolo bovese, molto care.

Una famiglia tra Calabria, Ferrara e New York

Questo articolo non riguarda direttamente la Calabria, ma lo pubblico perché tratta di un ebreo che porta il nome della nostra terra, a riprova dell'importanza dello studio dell'onomastica e a conferma di un passato ebraico calabrese

Da la Stampa, 27.4.2010

Dal giardino dei Finzi-Contini alla Corte suprema d'America

Guido Calabresi è stato il più giovane professore di legge negli Usa,
la madre era della famiglia resa celebre da Bassani


Gianna Pontecorboli, New York
La prima cosa che colpisce, quando lo si incontra, è la sua cordialità priva di qualsiasi affettazione. Eppure, nel firmamento del grande mondo legale americano, Guido Calabresi non ha certo bisogno di presentazioni. Ormai quasi ottantenne, è nato nel 1932, Calabresi è giudice della corte d’appello federale del secondo circuito, la più importante dopo quella di Washington e contemporaneamente è professore emerito alla facoltà di giurisprudenza di Yale, quella in cui tutti gli studenti di legge sognano di entrare. Per quasi dieci anni, dal 1985 al 1994, di quella stessa facoltà è stato il preside. E negli anni precedenti, quando era soltanto un professore, sui banchi delle sue classi sono passati i giudici della Corte Suprema Samuel Alito e Clarence Thomas e soprattutto l’ultima arrivata Sonia Sotomayor, nominata da Barack Obama.
«Guido», come lo chiamano affettuosamente i suoi allievi, non è però soltanto un rispettato giudice e un ammirato professore. Da quando ha sposato Ann Taylor, che discende da una delle famiglie che hanno fondato New Haven, è diventato membro di diritto della migliore società del New England. Ai suoi studenti, però ricorda spesso di essere anche «il nigeriano di allora», uno degli spaesati ebrei italiani che Mussolini ha involontariamente regalato all’America con l’emanazione delle leggi razziali e che, partendo dalla situazione di immigrati, hanno scalato tutti i gradini di una nuova carriera. in un mondo non sempre facile.

«In realtà noi siamo venuti per ragioni politiche», racconta adesso. «Mio padre era molto attivo nel gruppo di Giustizia e Libertà, lo avevano già bastonato e messo in prigione per qualche giorno nel 1923. Era molto amico dei Rosselli e di Salvemini e avrebbe voluto lasciare l’Italia già alla fine degli Anni 20, quando era ormai evidente che Mussolini non sarebbe caduto».

Le circostanze, poi, costringono il cardiologo Massimo Calabresi a rimandare la sua partenza fino a quando l’emanazione delle leggi razziali la rendono non più rinviabile. A Milano, il medico fa parte del gruppo di Cesa Bianchi ed è abbastanza affermato da essere chiamato al capezzale di Papa Ratti, Pio XI, subito prima della sua morte. «Ratti aveva scritto un’enciclica per denunciare le leggi razziali, ma morì prima che fosse pubblicata. Alcune persone sussurravano che era stato ammazzato per questo, ma mio padre diceva sempre che gli sarebbe piaciuto poter dire che era vero, ma non lo era», spiega Calabresi.

Negli Stati Uniti, Calabresi arriva a settembre del 1939, senza un soldo in tasca e con la sola garanzia di un contratto di sei mesi e pieno di limitazioni all’Università di Yale, che per di più non comincia fino a gennaio. Per sopravvivere in un alberghetto da dieci dollari al mese mentre il dottor Massimo si prepara agli esami per convalidare la sua laurea, la famiglia conta sui piccoli prestiti concessi dagli amici a cui viene dato, come garanzia, un assegno da 25 mila dollari che nessuno, in quel momento, ha modo di incassare. Dopo l’arrivo a Yale, a poco a poco, le cose cominciano a andare meglio, anche se le difficoltà non mancano. La casa è ben più semplice dell’appartamento settecentesco in cui la famiglia abitava in Italia, lo stipendio è modesto, al college di Yale non ci sono cattedre per i professori ebrei o cattolici. Il corpo insegnante diffida ancora di chi non è «wasp» (bianco, anglosassone e protestante). Nella zona, gli italiani sono in gran parte poverissimi lavoratori manuali, l’ambiente ebraico resta estraneo. «Nessuno nella mia famiglia era praticante da cent’anni, anche se c’era questa grande tradizione che risaliva ai tempi dei romani», spiega Calabresi.

La famiglia Calabresi, tuttavia, non si perde d’animo. Il dottor Massimo, che impiegherà anni per avere una cattedra, si laurea anche in Igiene, sua moglie, che è una Finzi-Contini, si laurea in letteratura comparata e diventerà alcuni anni dopo insegnante al Connecticut College for Women. Il piccolo Guido e suo fratello maggiore Paul sono studenti brillanti e ottengono una borsa di studio in una delle migliori scuole private di New Haven. Da allora, la sua carriera è stellare: una laurea a Yale, poi una borsa di studio a Oxford, la laurea in legge, ancora a Yale, un anno come assistente del giudice Hugo Black alla corte Suprema e poi, a soli 28 anni, il più giovane nella storia della giurisprudenza negli Stati Uniti, professore a tempo pieno. Ovviamente sempre nella prestigiosa università di New Haven. «È vero, noi ebrei italiani abbiamo fatto tutti bene» osserva ora Calabresi. «Avevamo perso qualcosa, visto che in Italia eravamo quasi tutti benestanti, e avevamo una grossa spinta a ricreare». «E poi - aggiunge - in quel momento le persone più aperte volevano mostrare di essere aperte nei confronti degli italiani. Ma era molto più facile farlo con chi era più simile a loro che non con gli altri italo-americani. Io ho ricevuto moltissima “affermative action”. Per questo dico sempre ai miei studenti di colore che ero il nigeriano di allora».

lunedì 19 aprile 2010

Yom ha-Azmaut

Ricorre oggi, secondo il calendario ebraico, la festa di Yom ha-Azmaut, la Giornata dell'indipendenza di Israele, mentre ieri era Yom ha-Zikaron, il Giorno della Memoria dei caduti in guerra e delle vittime del terrorismo.




Questa sera a Roma, in occasione della festa, alle 20,30 in Piazza (Portico d'Ottavia) ci sarà la Corale della Chiesa di Palmi.

domenica 11 aprile 2010

ArcheoDeri - Rettifica

Qualche giorno fa avevo riportato la notizia dell'inaugurazione per il 17 aprile del Parco archeologico dell'Antiquarium nel parco archeologico della Vallata del S.Pasquale.
Ricevo ora la cortesissima segnalazione, da parte di Tito Squillaci, delegato alla cultura e lingue minoritarie del Comune di Bova Marina, che si è trattato di un equivoco, e che l'agognata inaugurazione si dovrebbe tenere nella seconda metà di maggio.
Mi par di capire che il Parco si dovrebbe chiamare ArcheoDeri, dal nome (Deri) con cui è conosciuta la contrada in cui sorge l'antica sinagoga, probabilmente dal nome di un'antico insediamento bizantino che vi si trovava, Delia.
Spero di pote al più presto indicare la data dell'effettiva apertura di questo importante Antiquarium.

mercoledì 7 aprile 2010

Ebrei in Locride e Bovesia: AIUTO!

Finalmente ho cominciato ad elaborare uno scritto (che ovviamente pubblicherò... a mie spese!) sulla storia degli ebrei nella Locride e nella Bovesia.
Sarò molto grato a chi mi potrà segnalare materiale sull'argomento:

- Testi scritti: citazioni da libri, articoli di giornali e riviste, pagine internet (posseggo una discreta bibliografia sull'argomento, ma facilmente possono essermi sfuggiti testi più strettamente locali);

- Usanze locali o familiari, in particolare quelle legate alla nascita, al matrimonio e alla morte oppure al venerdì o al sabato o anche a particolari periodi dell'anno, oppure legate a cibi, riti contadini o altro (mi riferisco, ovviamente, a tradizioni che non siano di estesa diffusione, ma legati allo stretto ambito locale o familiare);

- Tradizioni locali che indichino strutture artistica o architettoniche oppure luoghi legati, per il nome o per qualsiasi altro motivo, a presenze ebraiche;

- Nomi di battesimo ebraici ricorrenti per generazioni in famiglia, oppure soprannomi che possano avere un qualche legame con l'ebraismo;

- Qualsiasi altro elemento che possa far sospettare qualche retaggio ebraico.

Potete comunicare con me tramite la mia email: kaulon@yahoo.it

Un grazie anticipato a chi potrà aiutarmi!

Le viscere della libertà


Da Radio Messina Sud

Un romanzo che farà discutere

E' uscito ufficialmente il romanzo dello scrittore reggino Domenico Romeo incentrato sulle ideologie del crimine. Un coinvolgente intreccio di amore ideologico, odio religioso, fra una giovane pittrice italiana che si arruola nelle file dell’integralismo islamico abbracciando la causa antisionista ed un uomo dei servizi segreti italiani di origini ebraiche.

19 dicembre 2009 - Può capitare in genere, quando si legge un romanzo, di comprendere subito che i personaggi all'interno dell'opera, sono decisamente 'staccati' dalla vita reale o contestuale. Ma quando quest'ultimi sono inseriti ed accerchiati in incandescenti fenomenologie psicologiche e sociali attuali, il confine fra finzione e realtà e' impercettibile, quasi non esiste. E' pertanto il caso che sta suscitando questo romanzo, opera singolare, poichè i personaggi, nella loro complessità, sono all'interno di un vortice di personaggi e problematiche forti reali. Non è stato difficile percepire, il grado elevato di discussione che scatenerà LE VISCERE DELLA LIBERTA', il romanzo di Domenico Romeo edito da Arduino Sacco, per le tematiche controverse a cui si sbilancia. I personaggi, descritti nell'opera attraverso una sequela di azioni che contraddistinguono i loro profili soggettivi psicologici marcati, sono una giovane pittrice di ideologia stalinista che si reca in Palestina per diventare Kamikaze ed un giovane dei servizi segreti italiani di origine ebraiche. Ciò che può attirare il lettore è la perfetta ricognizione dei luoghi e dei personaggi incarnati in in contesto sociale di sovversione e delirio ideologico che partendo dalla Sicilia (definita 'araba nell'animo' nell'opera), si sposta verso Roma e Gerusalemme, dove i servizi segreti assumono un ruolo quasi centrale nelle spirali degli odi religiosi di massa. Il tutto, in un coacervo di emozioni continue, dove sputano incredibili e reali verità afferenti alle intelligence guidate da Ajmadinejad, il discusso leader iraniano, fino a toccare all'apice dei contenuti con alcuni documenti che inchiodono la chiesa cattolica per le fonti di odio innescate, il mondo islamico e quello giudaico per sconcertanti verità relative ai tentativi di acquisizione del potere mondiale.
In questo moderno ed attuale romanzo il coinvolgente intreccio fra personaggi e servizi segreti, raggiunge il massimo quando spunteranno fuori i documenti (reali) dei cosidetti negazionisti, i quali negano l'olocausto agli ebrei; all'interno dell'opera, si interpreta chiaramente che tali documenti vengono adoperati dalle intelligence del medio oriente, come uso strumentale della scienza, in quelle che vengono chiamate 'le ideologie del crimime'. Passaggio altisonante dell'opera, è la descrizione del compianto Giovanni Paolo II, non come formale figura istituzionale distaccata, ma quale interprete di una conoscenza addentrata e fattiva di quel mondo, nel trinomio ideologie-del crimine-servizi segreti-psicologia di massa relative agli odi
religiosi. Altro passaggio interessante del romanzo, è la descrizione di come il termometro dell'antisionismo in italia si sia spostato da destra verso sinistra, a causa della deriva ideologica in cui si è imbattuta una certa forma ideologica della destra. Un romanzo che, insomma, non risparmia nessuno, ma che scende dritto nell'animo del lettore per la forza ed il convincimento di come vengono improntate determinate tematiche in forma diretta e di come le trame riconducono alle problematiche odierne senza passaggi od oscuramenti.


L'autore, Domenico Romeo, un operatore per la ricerca forense in ambito scientifico-criminologico, è consapevole che sta già suscitando una bufera ed il suo lavoro è stato definito da ambiti della crit
ica, un'autentico caso letterario scomodo a parecchie verita' artefatte di oggi.

L'opera, per adesso è stata diffusa a Roma, Reggio Cal, Villa S. Giovanni, Lamezia Terme e nel frattempo che raggiunga la diffusione in ogni città d'Italia, si può ordinare dal sito Arduino Sacco.

Ebrei nel Sud

Dal blog Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina

La Comunità ebraica calabrese, pugliese, siciliana


Una mattina, passeggiando nel piccolo villaggio di montagna di Serrastretta in Calabria, Rabbi Barbara Aiello vide un necrologio: al suo vicino di casa era morta la madre. Quando andò a casa sua per una visita di condoglianze, notò che tutte le sedie erano state rimosse dalla stanza, gli specchi erano coperti di nero, uova sode erano state poste sul tavolo. Il rabbino gli spiegò che queste erano le tradizioni ebraiche per la Shiva, lui rispose: "Una volta ho sentito vagamente accennare a questo, ma è solo una tradizione della nostra famiglia: questo è tutto".

Aiello è un'americana di origine italiana. Viene da una famiglia di anusim (discendente da ebrei che furono costretti a convertirsi al cristianesimo ai tempi dell'Inquisizione). Da tre anni sta lavorando per rilanciare la comunità ebraica della Calabria, sede di una lunga tradizione ebraica,ora quasi completamente scomparsa. Aiello ha recentemente aperto la prima sinagoga in questa regione dopo 500 anni.

"La Calabria è piena di resti archeologici e culturali delle comunità ebraiche che vivevano qui e numerosi studi indicano che quasi il 40 per cento dei calabresi potrebbe essere di origine ebraica. Molti ebrei che furono costretti a convertirsi al cristianesimo continuarono per centinaia di anni a conservare il proprio ebraismo in segreto. Mia nonna chiudeva tutte le persiane prima di accendere le candele dello Shabbat, così nessuno le avrebbe viste. La nonna non ha educato le sue figlie come ebree (in modo da non limitare le loro possibilità di sposarsi, ride Aiello), ma ha mandato i suoi due figli ad imparare la Torah, in segreto. Finora, più di 80 famiglie hanno preso parte alle attività organizzate da Aiello, e il numero cresce ogni anno.

"Qui al Sud ci sono ancora comunità discese dagli anusim", dice Angela Amato coinvolto nell'attività della sinagoga. "Una delle loro tradizioni principale è quella di sposarsi tra le famiglie, per stare insieme e preservare i nomi degli ebrei. Ora possiamo trascorrere insieme il Kabbalat Shabbat".

A differenza della comunità ebraica ortodossa che non riconosce l'ebraismo di molte persone che frequentano la sinagoga, Aiello accoglie quante più persone possibile al suo centro. "Stiamo cercando di vedere l’ebraismo calabrese come un cerchio: si può entrare in questo circolo in qualsiasi momento, partecipando al Kabbalat Shabbat, per esempio. E' importante far vivere questa esperienza,soprattutto qui in Calabria, dove la presenza cattolica è molto forte. Nella mia famiglia, per esempio, ci sono sacerdoti e suore e questo è dovuto all’origine marrana. Ho un cugino che un volta mi disse: “Sai, se avessi potuto conoscere e studiare la religione ebraica da giovane probabilmente sarei diventato un rabbino e non un sacerdote”.

Contributi finanziari alla Comunità ebraica provengono sia da ebrei che da cattolici italiani. Questo non sorprende Aiello. "Il tipo più comune di matrimoni misti in America è tra ebrei e cattolici", sottolinea. "Se è proprio vero, come alcuni sostengono, che il 40 per cento della popolazione calabrese è ebrea o di origine ebraica, e si aggiunge che l'80 per cento dei 26 milioni di italiani-americani provengono dalla Calabria e dalla Sicilia quali sono le probabilità che un italiano-americano abbia radici ebraiche? molto alte".

Aiello ha approfondito lo studio di documenti sull'Inquisizione a fianco di altri ricercatori: il Prof. Francesco Renda, il dottor Enrico Mascaro e il Prof. Vincenzo Villella. "Diciamo che se qualcuno viene a noi con il cognome Vitali, posso trovare i suoi antenati al tempo dell’Inquisizione".

Quando Aiello cominciò a visitare i villaggi e le città della Calabria e a chiedere alla gente se avessero radici ebraiche, la maggior parte di loro rispondeva negativamente. "Solo quando ho cominciato a porre domande sulle tradizioni di famiglia, sulle superstizioni, le porte improvvisamente si sono spalancate. La gente ha cominciato a dirmi: “Sai, non siamo mai andati in chiesa. Quando mia nonna stava morendo, ci ha detto - Non chiamate il prete, non datemi un rosario in mano, ma avvolgetemi in un lenzuolo e seppellitemi prima del tramonto del giorno successivo".

Una volta, mi sono recato in un negozio vicino a casa mia e ho visto molti sgabelli bassi. Dissi al negoziante che qui doveva vivere una famiglia con molti bambini. Lui rispose: “No, no, queste sono le sedie per il lutto. Ogni famiglia nella zona ha sedie come queste. Ti ci siedi per una settimana dopo la morte di qualcuno”.

“Nel Sud dell’Italia, e in particolare in Calabria, le comunità ebraiche erano tra le più ricche e fiorenti culturalmente", afferma Vincenzo Villella, storico locale del centro ebraico di Serrastretta.. "Una delle più antiche sinagoghe del mondo è stato scoperto qui, in Calabria, a Bova Marina, e se si dovessero elencate tutte le città dove esistono tracce ebraiche ,la lista non avrebbe mai fine". Tuttavia, il Centro per lo Studio degli ebrei in Calabria e Sicilia ha incontrato una dura resistenza da parte di alcuni residenti locali. "Hanno considerato l'affermazione che potrebbero avere antenati ebrei come un'accusa imbarazzante. Quando abbiamo voluto aprire il centro ebraico in una città grande come Lamezia, non abbiamo potuto ottenere l'approvazione. Non abbiamo nemmeno ottenuto una risposta dalla città. Abbiamo messo cartelli in alcuni luoghi per indicare la presenza ebraica nel passato. Sono stati bruciati o tolti".

Quando Aiello e Villella hanno iniziato a elencare i cognomi più tipici ebraici della regione, hanno ricevuto alcune telefonate minacciose. "La gente pensava che fosse un affronto alla loro dignità affermare che l'origine del loro nome fosse ebreo". Tuttavia appena il centro è stato aperto decine di persone sono venute a chiederci di rintracciare le proprie radici. La gente è venuto a festeggiare Hanukkah con noi, e il prete locale, don Gigi Uliano, ha parlato con i membri della sua chiesa e ha detto: “So che molti di noi hanno radici ebraiche.V oglio conoscere il mio retaggio ebraico con il rabbino Barbara, e anche tu dovresti venire”. E così ha sostanzialmente dato loro il permesso di venire. Villella ha detto che l'affermazione che il 40 per cento dei calabresi sono di origine ebraica è esagerata, ma insiste sul fatto che la cifra non sia inferiore al 15 per cento".

Nell'anno 1276 circa 2.500-3.000 ebrei vivevano in Calabria e circa 15.000 ebrei in tutto il Sud Italia. Verso la fine del 15° secolo il loro numero era superiore ai 12.000, il che significa che circa uno ogni 10 o 12 Calabresi era un Ebreo. Molti dei discendenti di anusim hanno cominciato a vivere una vita ebraica e alcuni si sono convertiti. Uno di questi "nuovi ebrei" è l’ex sacerdote Frank (Francesco) Tamborello, che dopo aver scoperto le sue radici, ha abbandonato il sacerdozio, si è convertito e ora è un rabbino riformato.

Non molto tempo fa, un medico e rabbino ortodosso, Stefano Di Mauro, è tornato in Sicilia dall'America e ha aperto un centro di studi ebraici. Decine di persone frequentano le sue lezioni e pensano di essere discendenti di famiglie ebree. La maggiore difficoltà che ho dovuto affrontare, dice Di Mauro, oltre a combattere l'ignoranza e l'antisemitismo, è la mancanza di coinvolgimento da parte dei leader dell'ebraismo italiano. Il vuoto qui è stato creata in parte perché nessuno è mai venuto in Sicilia, eppure 50 anni fa la memoria delle tradizioni era molto forte".

Oltre alle attività religiose fornite da Di Mauro, vi è stato recentemente stato un risveglio culturale dell'isola: feste ebraiche, mostre e siti archeologici hanno attirato un numero alto di visitatori. Spiega la guida turistica Maria Rosa Malesani, studiosa di storia ebraica siciliana: "Nel 15° secolo, il numero degli ebrei in Puglia, Calabria, Sicilia era di 40.000 persone, ma poi l'Inquisizione portò distruzioni tremende. La prosperità della comunità ebraica in Sicilia, soprattutto nel periodo della dominazione araba, ha fatto arrabbiare un sacco di gente", spiega Malesani. "Ci sono stati pochi massacri, soprattutto dopo i sermoni infiammatori dai monaci. Gli ebrei erano gli unici che avevano il permesso al commercio di schiavi e di altri traffici considerati 'sporchi ' peri cristiani, ma naturalmente questo faceva comodo a tutti. Tanto che abbiamo trovato lettere scritte dopo il decreto di espulsione emesso per gli ebrei siciliani nel 1492, dove vari funzionari chiedevano che non venisse applicata questa ordinanza ai commercianti. Ma gli ebrei non erano solo commercianti, ci sono stati anche importanti medici ebrei, astronomi e matematici i cui scritti sono ora in mostra nei musei di Parigi e Londra".

Come in Calabria e Sicilia, gli abitanti ebrei di Trani, una piccola città in Puglia nel Sud Italia, stanno cercando di ravvivare la loro fiorente comunità, ma a differenza di Di Mauro e Aiello, gli ebrei di Trani osservano uno stile di vita ortodosso, ricevono sostegno finanziario e organizzativo da parte dell'Unione delle comunità ebraiche italiane

Le azioni di Aiello, sono considerate dai leader della comunità ebraica ortodossa, l'unica riconosciuta ufficialmente dal governo italiano, irrilevanti.

"A lot of people come to us after being turned away from regular synagogues because they don?t have the documentation to prove they are Jewish. My cousin was born in 1941. The Christian midwife convinced my aunt to baptize the children and write in their birth certificates that they were Catholics, because those were dangerous times. And so you have a Jewish man, with Jewish roots going back hundreds of years, with a birth certificate that states he is of a pure Aryan race. And he goes to the synagogue in Rome, I don't know which rabbi he spoke to, and said to him: 'I want to be part of the life of the community,' and the rabbi just laughed at him. The Jewish community in Italy has become more rigid in recent years, more closed. There has always been this rivalry between north and south. My family used to be called terroni [a derogatory term for southern Italians]. When you take into account this cultural rivalry, it?s not surprising to see why Jewish communities in the north don?t want to hear about how archaeological excavations done in Calabria of all places unearthed a synagogue even older than theirs."