MONASTERACE
Abbiamo accennato alla possibilità di presenze ebraiche nell'antica Caulon/Stilida, ma, in mancanza di altre notizie, le testimonianze su Monasterace sono, per così dire, "postume", risalendo ad anni in cui gli ebrei erano stati cacciati dalla Calabria.
Nella Platea della Certosa di Santo Stefano del Bosco, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1997 (censimento dei beni della Certosa di Serra San Bruno) del 1530, troviamo:
Item dictum monasterium tenet et possidet in sui demanio et potestate culturam unam thomolatorum tresdecim cum dimidia, partim riguam et partim costeriam, que cultura est extra tenimentum Arsafie tamen est prope dictum tenimentum in eodem territorio Stili prope flummariam Matrimone, in loco dicto Trovato, confinatam versus occidentem iuxta terram abatie Santi Ioanni Terresti, versus orientem iuxta easdem prefatas terras prefate abatie, versus septemtrionem iuxta terras que fuerunt Iudei, quas ad presens tenent heredes condam Angeli Crista de Monesteraci, ab alio latere, versus septentrionem iuxta terras dicte abatie Santi Ioannis.
Abbiamo accennato alla possibilità di presenze ebraiche nell'antica Caulon/Stilida, ma, in mancanza di altre notizie, le testimonianze su Monasterace sono, per così dire, "postume", risalendo ad anni in cui gli ebrei erano stati cacciati dalla Calabria.
Nella Platea della Certosa di Santo Stefano del Bosco, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1997 (censimento dei beni della Certosa di Serra San Bruno) del 1530, troviamo:
Item dictum monasterium tenet et possidet in sui demanio et potestate culturam unam thomolatorum tresdecim cum dimidia, partim riguam et partim costeriam, que cultura est extra tenimentum Arsafie tamen est prope dictum tenimentum in eodem territorio Stili prope flummariam Matrimone, in loco dicto Trovato, confinatam versus occidentem iuxta terram abatie Santi Ioanni Terresti, versus orientem iuxta easdem prefatas terras prefate abatie, versus septemtrionem iuxta terras que fuerunt Iudei, quas ad presens tenent heredes condam Angeli Crista de Monesteraci, ab alio latere, versus septentrionem iuxta terras dicte abatie Santi Ioannis.
Questo Angelo (nome "cristiano" diffuso tra gli ebrei) potrebbe essere lui stesso discendente di una "Crista", soprannome preso da una convertita, secondo l'uso piuttosto comune che i neofiti avevano di assumere cognomi come Cristiano, Cristiani, Di Gesù e simili.
Indipendentemente da questo, vediamo che un Angelo Crista di Monasterace possiede terre che prima (probabilmente fino alla cacciata del 1510/11) appartenevano ad un ebreo.
Questo è l'unico cenno ad una antica presenza di ebrei a Monasterace, per trovarne altre passeranno ben duecento anni, nel catasto onciario del 1740/41, in cui si trova:
Cappella di S. Andrea Avellino e S. Mario martire patroni eretta dentro questa chiesa madre. Pesi per la celebrazione di una messa bassa la settimana ducati cinque e mezzo, oglio per lampade carlini trentassei, più ad ebrei fatti cristiani, ed altre per garzone miserabili, ed comandantes da Monsisgnore Illustrissimo per ogni anno docati quattro circa
Altre due citazioni uguali tra di loro, si riferiscono, rispettivamente, alla Chiesa e confraternita di S. Nicola di questa Terra di Monasterace ed alla Chiesa e confraternita di S. Nicola di questa Terra di Monasterace: paga ad ebrei fatti cristiani ed altre persone miserabili raccomandate da Monsignore Illustrissimo docati quattro.
Tra questi due estremi, troviamo altri dati che potrebbero essere indicativi.
Da Francesco Russo, Regesto vaticano per la Calabria, ho rilevato tra la fine del 1600 e il primo quarto del 1700 una serie di cognomi di parroci piuttosto "sospetta" (non consideriamo l'incongruenza di date, secondo la quale sembrano sovrapporsi nello stesso periodo più parroci): nel 1688 è parroco Stefano Marino (cognome che è anche ebraico); nel 1696 muore Giuseppe Arone (mi pare ci siano pochi dubbi); nel 1706 è parroco Domenico Cariati/Caciati e nel 1723 muore Alessio Cariati/Carioti/Cariotti (Cariati era un centro del Marchesato sede sicura di una comunità ebraica fino al 1511); nel 1724 è parroco Giambattista Vigliarulo (la famiglia Vigliarulo, di una certa notorietà, secondo alcuni sarebbe una famiglia di "marrani" provenienti dalla Spagna), il quale nel 1725 viene dimesso in quanto non è un vero prete; nel 1725 è parroco Domenico Ortona (tuttora cognome ebraico).
Abbiamo quindi un succedersi di parroci di origine probabilmente ebraica, cosa che potrebbe spiegarsi semplicemente con la larga presenza in Calabria di discendenti di ebrei, ma io oso avanzare una ipotesi più ardita.
Il rapido succedersi di tanti parroci dal cognome ebraico, alla vigilia del già citato contributo ad ebrei fatti cristiani, mi fa sospettare la presenza di una comunità di anusim (costretti, comunemente chiamati marrani), tra i quali era tradizione che un figlio diventasse prete, sia per distogliere i sospetti dell'inquisizione, sia per poter segretamente celebrare i riti ebraici.
A parziale sostegno (solo indiziario) di questo, mi pare di vedere anche una certa tradizione di "ribellismo" (para)religioso che ritroviamo a Monasterace, insolito nell'epoca ed in un paesino di nessuna importanza.
- Mario Galeota, nato a Napoli nel 1499, signore di Monasterace, dopo studi di vario genere, dal 1537 iniziò a frequentare i circoli evangelici di Juan de Valdés, organizzandone la traduzione, la copia e la stampa degli scritti nella sua casa di Napoli, e quindi a Monasterace. Nel 1555 era prigioniero nelle carceri dell'Inquisizione a Roma; non tentò la fuga in seguito ai moti popolari di papa Paolo IV nel 1559, e questo fatto fu considerato un'attenuante nel suo ultimo processo del 1565-66, quando decise di abiurare. Fu quindi condannato, il 12 giugno 1567, a soli cinque anni di carcere, ma già nel 1571 era libero di ritornare a Napoli. Deluso per il fallimento dell'esperienza valdesiana, G. non si occupò più di questioni religiose e morì a Napoli nel 1585.
- Nel Regesto vaticano per la Calabria, di Francesco Russo leggiamo che il 3 agosto 1568 Marcello Sirleto scrive allo zio cardinale Guglielmo di due preti di Monasterace, uno ai ferri a Squillace, l'altro "in pegria" (prigionia?) a Monasterace "per i quali si dovrà provvedere, appena l'armata si allontanerà"; scrive ancora il 12 agosto dicendo che i due preti meritano castigo; naturalmente potrebbe trattarsi di preti che avevano commesso semplici reati comuni, ma il riferimento all’armata che si sarebbe dovuta allontanare mi fa sospettare che al loro imprigionamento non fossero estranei motivi di altro genere, politico o religioso.
- Al 1599 risale la tentata congiura di Tommaso Campanella, il quale a Monasterace ebbe i primi contatti con i congiurati, e qui predicò (nonostante il divieto del vescovo) per sei giorni prima della data prevista per la congiura. Allo stesso Campanella vengono attribuiti contatti con vari ebrei, sia in gioventù che nell'ambito della congiura, e secondo alcuni influenze cabbalistiche non erano estranee alla sua filosofia.
- Nello stesso anno, un prete Mario Galeota di Monasterace (quasi sicuramente appartenente alla famiglia che aveva il paese in possesso feudale) risulta implicato nella congiura campanelliana (Il card. Guglielmo Sirleto (1514-1585) : atti del convegno di studio nel 4. centenario della morte, Guardavalle - S. Marco Argentano - Catanzaro - Squillace 5 - 6 - 7 ottobre 1986, a cura di Leonardo Calabretta e Gregorio Sinatora, Catanzaro - Squillace, Istituto di scienze religiose, 1988).
- Ancora nel Regesto, il 3 ottobre 1653 il vicario episcopale di Squillace, a nome del vescovo, comunica all'università [termine che all'epoca indicava all'incirca quello che oggi è il comune] e agli uomini della terra di Monasterace "l'assoluzione dalle censure e la benedizione"; non si sa però a quali censure ecclesiastiche fosse stata sottoposta Monasterace, né quando e perché.
- Certo è che i monasteracioti non brillassero per osservanza, e nei paesi circostanti è diffusa questa "strofetta":
O bona genti de Monastaraci, (O buona gente di Monasterace)
chi nterra i morti senza cruci, (che seppellisce i morti senza croce)
e pe' campani sona straci. (e per campane suona cocci di terracotta)
Forse risale all'epoca di queste censure ecclesiastiche (in caso di interdetto venivano proibite le messe e le esequie religiose) e alla scarsa "cattolicità" di molti paesani, ma potrebbe anche essere un'allusione a sepolture ebraiche.
Tutto questo potrebbe non significare nulla, ma mi fa comunque pensare ad un ambiente in cui l'eterodossia non fosse del tutto estranea, e ad un ambiente (scelto forse per questo dal Galeota prima e da Campanella poi) abituato alla segretezza e al nascondimento.
Indipendentemente da questo, vediamo che un Angelo Crista di Monasterace possiede terre che prima (probabilmente fino alla cacciata del 1510/11) appartenevano ad un ebreo.
Questo è l'unico cenno ad una antica presenza di ebrei a Monasterace, per trovarne altre passeranno ben duecento anni, nel catasto onciario del 1740/41, in cui si trova:
Cappella di S. Andrea Avellino e S. Mario martire patroni eretta dentro questa chiesa madre. Pesi per la celebrazione di una messa bassa la settimana ducati cinque e mezzo, oglio per lampade carlini trentassei, più ad ebrei fatti cristiani, ed altre per garzone miserabili, ed comandantes da Monsisgnore Illustrissimo per ogni anno docati quattro circa
Altre due citazioni uguali tra di loro, si riferiscono, rispettivamente, alla Chiesa e confraternita di S. Nicola di questa Terra di Monasterace ed alla Chiesa e confraternita di S. Nicola di questa Terra di Monasterace: paga ad ebrei fatti cristiani ed altre persone miserabili raccomandate da Monsignore Illustrissimo docati quattro.
Tra questi due estremi, troviamo altri dati che potrebbero essere indicativi.
Da Francesco Russo, Regesto vaticano per la Calabria, ho rilevato tra la fine del 1600 e il primo quarto del 1700 una serie di cognomi di parroci piuttosto "sospetta" (non consideriamo l'incongruenza di date, secondo la quale sembrano sovrapporsi nello stesso periodo più parroci): nel 1688 è parroco Stefano Marino (cognome che è anche ebraico); nel 1696 muore Giuseppe Arone (mi pare ci siano pochi dubbi); nel 1706 è parroco Domenico Cariati/Caciati e nel 1723 muore Alessio Cariati/Carioti/Cariotti (Cariati era un centro del Marchesato sede sicura di una comunità ebraica fino al 1511); nel 1724 è parroco Giambattista Vigliarulo (la famiglia Vigliarulo, di una certa notorietà, secondo alcuni sarebbe una famiglia di "marrani" provenienti dalla Spagna), il quale nel 1725 viene dimesso in quanto non è un vero prete; nel 1725 è parroco Domenico Ortona (tuttora cognome ebraico).
Abbiamo quindi un succedersi di parroci di origine probabilmente ebraica, cosa che potrebbe spiegarsi semplicemente con la larga presenza in Calabria di discendenti di ebrei, ma io oso avanzare una ipotesi più ardita.
Il rapido succedersi di tanti parroci dal cognome ebraico, alla vigilia del già citato contributo ad ebrei fatti cristiani, mi fa sospettare la presenza di una comunità di anusim (costretti, comunemente chiamati marrani), tra i quali era tradizione che un figlio diventasse prete, sia per distogliere i sospetti dell'inquisizione, sia per poter segretamente celebrare i riti ebraici.
A parziale sostegno (solo indiziario) di questo, mi pare di vedere anche una certa tradizione di "ribellismo" (para)religioso che ritroviamo a Monasterace, insolito nell'epoca ed in un paesino di nessuna importanza.
- Mario Galeota, nato a Napoli nel 1499, signore di Monasterace, dopo studi di vario genere, dal 1537 iniziò a frequentare i circoli evangelici di Juan de Valdés, organizzandone la traduzione, la copia e la stampa degli scritti nella sua casa di Napoli, e quindi a Monasterace. Nel 1555 era prigioniero nelle carceri dell'Inquisizione a Roma; non tentò la fuga in seguito ai moti popolari di papa Paolo IV nel 1559, e questo fatto fu considerato un'attenuante nel suo ultimo processo del 1565-66, quando decise di abiurare. Fu quindi condannato, il 12 giugno 1567, a soli cinque anni di carcere, ma già nel 1571 era libero di ritornare a Napoli. Deluso per il fallimento dell'esperienza valdesiana, G. non si occupò più di questioni religiose e morì a Napoli nel 1585.
- Nel Regesto vaticano per la Calabria, di Francesco Russo leggiamo che il 3 agosto 1568 Marcello Sirleto scrive allo zio cardinale Guglielmo di due preti di Monasterace, uno ai ferri a Squillace, l'altro "in pegria" (prigionia?) a Monasterace "per i quali si dovrà provvedere, appena l'armata si allontanerà"; scrive ancora il 12 agosto dicendo che i due preti meritano castigo; naturalmente potrebbe trattarsi di preti che avevano commesso semplici reati comuni, ma il riferimento all’armata che si sarebbe dovuta allontanare mi fa sospettare che al loro imprigionamento non fossero estranei motivi di altro genere, politico o religioso.
- Al 1599 risale la tentata congiura di Tommaso Campanella, il quale a Monasterace ebbe i primi contatti con i congiurati, e qui predicò (nonostante il divieto del vescovo) per sei giorni prima della data prevista per la congiura. Allo stesso Campanella vengono attribuiti contatti con vari ebrei, sia in gioventù che nell'ambito della congiura, e secondo alcuni influenze cabbalistiche non erano estranee alla sua filosofia.
- Nello stesso anno, un prete Mario Galeota di Monasterace (quasi sicuramente appartenente alla famiglia che aveva il paese in possesso feudale) risulta implicato nella congiura campanelliana (Il card. Guglielmo Sirleto (1514-1585) : atti del convegno di studio nel 4. centenario della morte, Guardavalle - S. Marco Argentano - Catanzaro - Squillace 5 - 6 - 7 ottobre 1986, a cura di Leonardo Calabretta e Gregorio Sinatora, Catanzaro - Squillace, Istituto di scienze religiose, 1988).
- Ancora nel Regesto, il 3 ottobre 1653 il vicario episcopale di Squillace, a nome del vescovo, comunica all'università [termine che all'epoca indicava all'incirca quello che oggi è il comune] e agli uomini della terra di Monasterace "l'assoluzione dalle censure e la benedizione"; non si sa però a quali censure ecclesiastiche fosse stata sottoposta Monasterace, né quando e perché.
- Certo è che i monasteracioti non brillassero per osservanza, e nei paesi circostanti è diffusa questa "strofetta":
O bona genti de Monastaraci, (O buona gente di Monasterace)
chi nterra i morti senza cruci, (che seppellisce i morti senza croce)
e pe' campani sona straci. (e per campane suona cocci di terracotta)
Forse risale all'epoca di queste censure ecclesiastiche (in caso di interdetto venivano proibite le messe e le esequie religiose) e alla scarsa "cattolicità" di molti paesani, ma potrebbe anche essere un'allusione a sepolture ebraiche.
Tutto questo potrebbe non significare nulla, ma mi fa comunque pensare ad un ambiente in cui l'eterodossia non fosse del tutto estranea, e ad un ambiente (scelto forse per questo dal Galeota prima e da Campanella poi) abituato alla segretezza e al nascondimento.
GUARDAVALLE
Su questo paese confinante con Monasterace non abbiamo nessuna traccia di ebraismo, lo inserisco solo per alcune questioni onomastiche e toponomastiche, che mi fanno sospettare quanto meno un passaggio di ebrei o di loro discendenti.
I miei genitori sono di Guardavalle, e tra i loro antenati sono presenti i cognomi Diano (Dian, Diahn, Tiano sono cognomi ebraici, Di Diano è cognome ebraico citato in antichi documenti) e Salerno; due soprannomi (ngiurji) di famiglia sono e "Sabateja" (di Sabatella) e "d'a rena" (che non è significativo) o "d'Arena" (di Arena, paese delle Serre in cui era presente una comunità ebraica); inoltre, esiste tuttora una famiglia soprannominata "d'a crista" (della cresta) o "d'a Crista" (della Crista"), analogamente a quell'Angelo Crista di Monasterace che possedeva un terreno dapprima appartente ad un ebreo.
Ultimo elemento, la presenza di una contrada chiamata Gatticeju, che potrebbe essere "gattino", ma anche "ghetticello".
GATTICELLO
Un altro Gatticedu si trova in comune di Stilo, ma poco distante da Monasterace, sulla statale 110, che va da Monasterace a Serra San Bruno.
Anche questo potrebbe essere "gattino" o "ghetticello"; onestamente propendo più per la prima ipotesi, anche perché il termine "ghetto" comparirà quando gli ebrei saranno ormai assenti (ufficialmente) dalla Calabria, ma il fatto di non conoscere altre contrade nei paraggi che hanno nomi di animali e la posizione analoga dei due siti (su strade che portano dalla marina al borgo) non mi fa escludere l'altra alternativa, e il nome di ghetto dato a luoghi in cui non vi eran più ebrei potrebbe comunque essere un ricordo della loro presenza.
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