Parashat Noach: BeReshit (Genesi) 6,9-11,32
Haftarah:Isaia 54,1-10 (sef);
Isaia 54,1-55,5 (it)
Isaia 54,1-55,5 (it)
Parashat Noach, Rav Pierpaolo Pinchas Punturello
È
famoso il confronto che fa Rashi tra Noè ed Abramo giocando con le parole del
versetto che presenta Noè come “giusto nella sua generazione” ( Genesi 6, 9)
cosa che può essere interpretata a suo favore, come giusto nonostante la
corruzione della sua generazione pre-diluvio o giusto relativamente alla sua generazione,
poiché se Noè fosse vissuto ai tempi di Abramo non sarebbe stato considerato
giusto.
Per
avallare questa seconda ipotesi, la grande commentatrice Nechama Leibovitz
propone un confronto tra i versetti in Genesi 6, 9 che ci descrivono Noè che
“procedeva con Dio” ed i versetti in Genesi 17, 1 che ci raccontano che Abramo
procedeva davanti a Dio, “Procedi davanti a me” dice l’Eterno a nostro padre
Abramo.
In
genere i commentatori si fermano a questo confronto, definendo in maniera
chiara che Noè è il padre dell’umanità dopo il nuovo inizio post diluvio,
mentre Abramo, colui che procede davanti a Dio, ha avuto il merito di essere il
padre del popolo ebraico. Eppure in questo procedere davanti a Dio, l’ebraismo
offre al mondo una riflessione profonda.
La
storia dei popoli che si sono arrogati il diritto di essere portavoce della
volontà divina è piena di richiami al fatto che Dio fosse con loro ed in nome
di questa certezza sono stati perpetuati massacri di uomini, donne e bambini.
Lo
hanno detto i Crociati, i missionari in Sud America ed in Africa, lo hanno
detto i bianchi americani incontrando i nativi pellerossa, lo hanno detto i
cosacchi durante i pogrom, lo hanno detto i nazisti (“Gott mit uns”), lo hanno detto i fascisti di Salò ed oggi lo
affermano in molto mondo islamico estremista.
Dio
è con me, quindi posso fare tutto, perché lo faccio in nome di Dio. Il
messaggio della Torà è significativamente diverso. Nostro padre Abramo non
aveva Dio con lui, procedeva davanti a Dio, ovvero portava il messaggio di Dio
prima di ogni altra cosa, preparando il terreno morale, spirituale ed etico
affinché Dio venisse compreso ed accettato. Perché se si ha la pretesa che Dio
sia con noi, perdiamo di vista il senso della nostra responsabilità umana
nell’agire per Dio e davanti a Dio, perdiamo il senso di una giustizia
condivisa, del rispetto reciproco e ci arrocchiamo, pericolosamente armati,
sull’idea che tutto ci è permesso, perché Lui è con noi.
Ma
la realtà della Torà dice all’uomo che si riconosce in quanto figlio di Abramo
che lui deve essere davanti a Dio, ambasciatore di Dio, con Dio che lo benedice
alle spalle e che guarda al suo giusto operato, non lo assolve dal compiere il
male. Perché il male non può mai avere l’idea di Dio come propria
giustificazione.
Da Torah.it
♫ L’haftarà di Noah con Berachot cantata da Rav Nello Pavoncello
Dopo averci descritto come avvenne
la creazione del mondo per opera di Dio, la Bibbia si volge subito alle vicende
dell'uomo, di quell'uomo che, essendo scopo principale della creazione, avrebbe
dovuto imprimere ad essa il suggello della sua nobiltà. E qui comincia subito
il dramma della vita umana: l'uomo che era stato creato da Dio perché
coltivasse e conservasse le delizie del giardino terrestre, l'uomo che era
stato creato per il bene e per il culto delle cose belle e vere, si allontana
presto dalla sua originaria destinazione e cade facilmente nella colpa e nel
peccato.
La Bibbia ci descrive come questa
caduta avvenga quasi per un lento e fatale abbandono alle passioni, agli
istinti e alle seduzioni, sì da coinvolgere a poco a poco tutta l'umanità di
allora; anzi col progressivo aumentare di questa, aumentano le colpe, colpe di
violenza, di rapina e di depravazione, sicché l'uomo, questo tipo d'uomo,
creato da Dio, scende al più basso livello della vita morale e Iddio, che non
riconosce più in lui l'opera delle Sue mani, ma che anzi vede in lui il
distruttore dei fini della creazione, giudica quest'umanità peccatrice degna
della totale distruzione. La storia del mondo si apre così - dopo poche
generazioni col racconto delle colpe degli uomini e delle conseguenti sanzioni
punitrici, cioè con quelle linee e con quei motivi che saranno destinati a
rimanere come i più costanti nella vita del genere umano, attraverso i secoli,
fino ad oggi. Certo quell'umanità così lontana e remota da noi, doveva essere
molto diversa da questa nostra per caratteristiche fisiche, per condizioni
climatiche, per diversità di ambienti, per attitudine di vita; e, forse, anche
in queste diverse condizioni sta la ragione della straordinaria diversità del
castigo che doveva colpire quei lontani capostipiti del genere umano; ma in
mezzo a tante diversità, una cosa resta immutata ed eguale per gli uomini di
ora e di allora: la tendenza al peccare, la facilità, direi, dì lasciarsi
travolgere nella colpa fino alle più fatali conseguenze.
È questo aspetto che dà subito ai
racconti biblici un'impronta di umanità e di attualità che ce li rende vicini e
ce ne fà sentire l'eterno valore.
E dunque, con sì funesti presagi e
con una colorazione così pessimistica che si inaugura il racconto delle vicende
umane sulla terra? No. A chi legga con attenzione la Bibbia, a chi sappia
approfondirne il senso, questa impressione sembrerà senza dubbio affrettata e
inconsistente. Insieme al primo annuncio della prossima distruzione
dell'umanità, v'è anche quello della sua salvezza; la storia del diluvio si
apre con quella di Noè: il diluvio questo grande immenso uragano distruttore è
anzi annunciato per primo a Noè. Si direbbe che in tutto il triste succedersi
degli avvenimenti che porteranno al diluvio, è piuttosto la figura di Noè e il
fatto della sua salvezza che si impongono sul primo piano del racconto, più
ancora del cataclisma destinato a travolgere la terra peccatrice. E questo
sembra lo scopo della Torà quando inizia la Parashà del diluvio con le parole:
"Noè era un uomo giusto, integro egli era in mezzo alla sua
generazione" (Genesi VI, 9).
Noè è e resterà il prototipo del
giusto anche per le età successive, e "il giusto è sostegno del
mondo" (Proverbi X, 25).
L'umanità è punita, ma l'umanità
sarà salva per quel giusto; qui siamo dinanzi all'umanità senz'altro
appellativo, e pure qui sono già affermati in pieno quei principi, quelle
verità che l'Ebraismo più tardi proclamerà non come sue ma come patrimonio di tutti
gli uomini. Che il giusto, a qualunque terra o qualunque popolo appartenga, abbia
il suo gran peso nell'economia morale del mondo, è una verità che l'Ebraismo
non si stancherà mai di ripetere; e questa stessa verità viene qui non solo
enunciata teoricamente, ma, ciò che vale assai più, viene applicata
praticamente rispetto alla Divina universale giustizia. Noè è lo
"Zaddiq" per i meriti del quale l'umanità è degna di rinascere, è
l'uomo che può far rifiorire una nuova semenza di vita, è l'uomo che può anzi
che dovrà far rinascere la vita su nuove basi; da lui, dallo
"Zaddiq"avrà origine una nuova umanità. Non importa se i più grandi
cataclismi distruttori si abbatteranno sull'umanità peccatrice: il diluvio
universale o qualsiasi altro castigo potranno cancellare dalla faccia della
terra gli uomini e le genti che hanno violato la legge di Dio, ma anche in
mezzo alle più fitte tenebre, un raggio di luce potrà ancora illuminare il
mondo.
Da esso come dalla luce del primo
giorno potrà rinascere la nuova vita e la nuova umanità; quel raggio - segno
visibile dello spirito - potrà sempre accrescersi e dilatarsi fino a solcare
l'intero Cielo e abbracciare la sottostante terra, come l'arco iridescente
della divina promessa che risplende luminoso sulle fatiche e sugli affanni
degli uomini.