Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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martedì 23 aprile 2013

Ancora su Paolo Furgiuele

Ritorno ancora una volta, con nuove parole sempre di Mario Campanella,
sulla storia di Paolo Furgiuele, il cosentino gay e fascista che protesse un giovane ebreo
negli anni delle persecuzioni razziali, salvandogli la vita

Storia del fascista omosessuale che a Cosenza salvò un ebreo
Mario Campanella
Giornalista, autore della pièce "La razza umana" e del libro in uscita in autunno
sul fascista omosessuale che salvò un ebreo
Nella foto, Erich Heckel, olio 1910

Paolo Gabrieli era fascista, di convinzione. Figlio unico di una coppia borghese dell'entroterra cosentino, lavorava all'ufficio dazio. Era un omosessuale, ma viveva le sue pulsioni con la sobrietà e la continenza di chi non voleva, forse, perdere di vista l'autorevolezza di quel ruolo di responsabile del Pnf, correlato allo schema del maschio vincente.
Gli piaceva il ballo e quasi ogni sabato organizzava feste al Gran Caffè Renzelli, a Cosenza, insieme a Don Pietro Palazzi, anch'egli omosessuale, storico cameriere della pâtisserie del borgo antico. Don Pietro era più bravo di lui a ballare, ma Paolo era un innovatore: un parente americano gli spediva le canzoni jazz all'avanguardia e quel ritmo nuovo, proibito in Italia, gli solleticava nuove emozioni.
A settembre del 43 il campo di Ferramonti era stato liberato dagli Alleati, ma pochi vi si avvicinavano.
Correva voce che vi fossero ancora prigionieri, anche se era stato il primo campo di prigionieri per ebrei ad esser liberato nel mondo. Paolo aveva saputo da poco notizie circa una sorta di progetto nazista di sterminare tutti i cittadini di razza ebraica, ma non ci credeva ancora pienamente e nè voleva mai pensare che il suo Duce potesse essere complice di una cosa così orrenda. Si, è vero, c'era stata quella alleanza che lui, per formazione, non elogiava: avrebbe sognato un patto di ferro con Francia e Inghilterra che rendesse l'Italia sovrana sul Mediterraneo, ma le parole sullo sterminio non lo convincevano.
Un giorno di ottobre bussò alla sua porta un giovane bellissimo, poteva avere poco più di vent'anni, alto un metro e ottanta, i capelli neri ondulati, due grandi occhi, le spalle larghe e l'aspetto di chi ha dovuto vagare per mesi. Si presentò, disse che era figlio di un'italiana e di un greco ebreo, che era scappato da Petrasso, aveva raggiunto Napoli e poi era sceso in Calabria. Tremava come un uccello smarrito. Chiese ospitalita, Paolo gliela negò. Non voleva perdere le sue certezze, gli spazi di vita che divideva con la sua governante. Rimosse subito, come un pensiero parassitario, l'idea di poter apprezzare la bellezza di quel giovane. Il ragazzo rimase lì, piangente, Paolo si convinse dopo ore. Gli disse che se era un ladro gliel'avrebbe fatta pagare cara e che se voleva rimanere in quella casa doveva starsene murato dentro. Avrebbe potuto indossare alcuni suoi vestiti, avrebbe avuto da mangiare e anche d leggere, ma non doveva uscire.
E così fu, nessuno se ne accorse. Solo il postino, una volta, lo vide passare , ma la governante fu brava a dirgli che lo spirito del Ragioniere, il padre di Paolo, ogni tanto faceva burle. Era stata certo una visione. In quei sei mesi parlò poche volte con il ragazzo. Non invitò nessuno dei suoi amici a casa. Poi a maggio, nel 1944, gli disse che poteva andare via. Gli diede diecimila lire e altre duemila gliele consegnò la governante, più una serie di vestiti. Gli sarebbero bastati per tornare in patria, ma lui gli consigliò di fermarsi a Napoli, che era stata liberata proprio quando il ragazzo stava partendo.
Non lo vide più.
Finita la guerra, Paolo subì le proscrizioni per la sua fede, ma non invocò mai quel gesto così intimo. L'amnistia di Togliatti lo restituì alla vita .
Poi, una mattina del 48 rivide quel giovane, giunto a ringraziarlo con la sua piccola moglie e un bambino, di nome Paolo .
Lo ospitò abbracciandolo stavolta. Gli regalò altri soldi, poi riprese la sua vita. Triste e solitaria. Con in mano la nuvola nera del sigaro e le note di un'orchestra jazz.

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