Parashat Nasò: Bamidbar (Numeri) 4,21-7,89
Haftarah: Giudici 13,2-25
Da Torah.it
Il commento alla parashah settimanale di rav Pinchas Punturello
Pace e completezza, due concetti fondamentali per l'ebraismo
Da Shavei Israel Italia
Pace e completezza, due concetti fondamentali per l'ebraismo
Da Shavei Israel Italia
La Birkat Coanim (Jonathan Pacifici)
E
parlò il Signore a Moshè dicendo: ‘Parla Aron ed ai suoi figli dicendo:
Cosi benedirete
i figli d’Israele, dicendo loro:
Ti benedica il Signore e ti custodisca,
illumini il Signore il Suo volto verso di te e ti conceda grazia,
rivolga il Signore il Su o volto verso di te e ponga su di te pace.
Essi porranno
il Mio Nome sui figli d’Israele ed Io li benedirò
(Numeri
VI, 22-27)
TB Sotà 37b-38 - La benedizione sacerdotale come
avviene? Nel paese viene detta (di) tre benedizioni e nel Santuario (di) una
benedizione. Nel Santuario (si) dice il Nome così come è scritto e nel paese
(si dice) il titolo (Adonai, Mio Signore). Nel paese i Coanim (Sacerdoti)
alzano le loro braccia in corrispondenza delle loro spalle e nel Santuario
sopra le loro teste, all’infuori del Coen Gadol (il Sommo Sacerdote) che non
alza le proprie mani al di sopra dello Ziz. Rabbi Jeudà dice: “Anche il Coen
Gadol alza le proprie mani al disopra dello Ziz, come è detto ‘Ed Aron alzò le
proprie braccia verso il popolo e li benedisse”’ (Levitico IX,22)
Uno dei fili conduttori della
nostra Parashà è indubbiamente il Santuario. Se è vero che sono molte le
Parashot per le quali lo si può dire, è anche vero che quella di Nasò sembra
soffermarsi su alcuni avvenimenti, procedure e regole del Santuario
particolarmente strani. Non parliamo di stranezza nei termini comuni (quante mizvot
sono ‘strane’!), ci riferiamo qui a mizvot che sembrano stridere con la solita
‘politica’ della Torà.
Ecco le leggi del Nazir, una
persona che fa voto di astenersi dal vino, dalla contaminazione rituale e dal
tagliarsi i capelli. Il cerimoniale che deve avvenire nel Tempio è
particolarmente complesso. Si tratta senz’altro di una legge controcorrente: la
Torà ci ammonisce più e più volte a non aggiungere nulla alle restrizioni che
già abbiamo (così come a non toglierne).
E che dire della mizvà della Sotà?
La mizvà del rituale per la donna sospetta adultera in assenza di testimoni è uno
dei passi più problematici della Torà. Si tratta addirittura di una delle due uniche
mizvot che richiedono un miracolo!
Non parliamo poi dell’inaugurazione
del Santuario: la Torà che dove può evita parole superflue ripete per dodici
volte il contenuto di dodici offerte identiche! Questi pochi esempi sono già
sufficienti a dimostrare come tutto ciò che concerne il Santuario debba essere
esaminato con un diverso spirito critico.
Il Santuario è un mondo a parte,
con regole e significati spesso diversi seppur strettamente connessi con quelli
della vita all’esterno del Monte del Tempio.
È particolarmente interessante vedere
come la Mishnà, nel trattato di Sotà, esamini la Birkat Coanim, la benedizione
sacerdotale, partendo dalle differenze che ci sono tra l’esecuzione di questa mizvà
all’interno ed all’esterno del Santuario.Ma vediamo prima in cosa consiste questa
benedizione.
Essa consta di tre versi,
contenenti tre distinte benedizioni. Molti sono i commenti su ognuna delle
parole ma in assoluto i Maestri concordano sul senso di ognuna delle tre frasi.
La prima benedizione (tre parole)
si riferisce alla benedizione materiale. La materia è nel mondo umano la premessa
stessa dell’esistenza. Quindi il Coen invoca innanzitutto su Israele una benedizione
che afferma, nella interpretazione di Rashì: ‘Che possano benedirsi le tue
proprietà’.
I Saggi sottolineano come, in genere,
chi fa un dono si disinteressi di questo dall’istante in cui lo consegna. Non così
Iddio che si rende garante anche del mantenimento: non solo “Ti benedica”, dandoti
dei beni, ma anche “ti custodisca”, mantenendo ciò che ti dona, costantemente.
Il secondo verso (cinque parole) inizia
con il term ine “illumini”. Non c’è altra luce che la Torà. Pertanto esso
invoca la benedizione del nostro stud io della Torà. D’altra parte però D-o non
vuole degli eremiti e perciò la benedizione si conclude dicendo: “e ti conceda
grazia”. Si tratta di trovare grazia agli occhi del prossimo. Lo studio della
Torà deve migliorare i rapporti interpersonali e non può essere causa di
contrasti sociali.
La terza benedizione (sette
parole) inizia con una contraddizione: si chiede a D-o di volgere il Suo Volto verso
di noi. In ebraico l’espressione ‘volgere il volto’ significa ‘fare favoritismi’.
Ora una delle definizioni di D-o è proprio ‘Colui che non fa favoritismi’. Come
la mettiamo? È D-o stesso a rispondere agli angeli che fanno la stessa domanda:
“ Io ho comandato loro di benedirMi solo quando sono sazi e loro hanno deciso di
benedirMi anche se hanno mangiato solo una misura di pane grande quanto un uovo
(halahà della Birkat ha mazon). Loro vanno oltre il richiesto nei Miei confronti,
Io non dovrei andare oltre il dovuto nei loro? ” (adattato dal Midrash Rabbà). Questo
favoritismo che noi chiediamo al Signore non è altro che il giudicarci secondo misericordia.
La benedizione si conclude con la richiesta della pace, il bene supremo.
Avrete notato che abbiamo
ricordato accanto ad ogni verso il numero delle parole che contiene. In tutto
la benedizione sacerdotale contiene 15 parole. Quindici è in ebraico “YA”, le
prime due lettere del Nome di D-o. Non solo. Nel corso della settimana l’uomo consuma,
nella media due pasti completi al giorno. Di Shabbat però i pasti debbono esse e
tre. Abbiamo quindi 12 pasti nei sei giorni feriali e 3 pasti di Shabbat, in tutto
15.
Da notare che il terzo pasto di Shabbat
corrisponde alla parola Shalom, pace. Solo chi osserva degnamente lo Shabbat facendo
in esso tre pasti arriva alla vera Pace.
Ci troviamo dinanzi ad un messaggio
straordinario. D-o ci sta ordinando di chiedergli ciò che vogliamo dalla vita, di
più, ci sta dicendo cosa volere dalla vita! Alimenti, Torà, Pace.
Non è un caso che R. Shimon nei Pirkiè
Avot dice (P.A. I,16) “Su tre cose il Mondo si poggia: sulla legge, sulla verità
e sulla pace”.
La legge per eccellenza nell’ebraismo
è quella dei nezikin, dei danni. Ossia la legge che concerne la proprietà,
l’oggetto della prima benedizione. La verità è la Torà. E la pace non può
essere altro che la pace. Nello stesso ordine della Birkat Coanim. Questi tre livelli
ascendenti di realizzazione personale e collettiva corrispondono anche a diversi
momenti nella vita d’Israele.
Abbiamo visto come lo schema
della Birkat Koanim sia 3-5-7. C’è un riscontro di ciò nel numero delle persone
che vengono chiamate alla Torà. La prima berachà, quella delle cose materiali, è
di tre parole. Tre sono le persone che vengono chiamate alla Torà nei giorni feriali
(Lunedì e Giovedì). È proprio nei giorni feriali che noi amministriamo le nostre
proprietà. Ma tre sono anche i Padri d’Israel che avevano colto il senso della vita
usando le proprietà che D-o aveva dato loro per aiutare il prossimo e per fare ospitalità.
La seconda berachà, quella della Torà, ha cinque parole. Cinque sono i Libri della
Torà. Ma sono anche le persone chiamate alla lettura della Torà nelle cinque feste:
Pesach, Shavuot, Rosh HaShanà, Succot e Sheminì Azzeret. Se il giorno feriale è
nella dimensione della materia, le feste sono nella dimensione della Torà con
le loro mizvot particolari. La terza berachà, quella della pace, ha sette
parole. Sette sono i giorni della settiman a, che si concludono con lo Shabbat.
E di Shabbat appunto le persone che leggono nella Torà sono sette.
Lo Shabbat è il giorno della pace
per eccellenza. La pace non è l’assenza della guerra, è molto di più, è armonia
tra gli elementi del creato. Così lo Shabbat non è mera astensione dal l avoro
ma è il giorno dello spirito. È il giorno in cui l’anima raddoppia. La benedizione
completa non si può avere altro che sommando queste tre mini-benedizioni. Allo
stesso modo bisogna trovare la propria via nel l’osservanza della Torà sia di
giorno feriale che nelle feste e soprattutto nello Shabbat.
Ma torniamo al Santuario. È
scritto nel Cantico dei Cantici (III, 7): “Ecco il letto di Salomone, sessanta prodi
gli stanno attorno tra i prodi d’Israele”. Il Cantico dei Cantici è, come noto,
una visione allegorica del rapporto tra D-o ed Israele. Così il Midrash afferma
che qui non si parli di Salomone ma di D-o. È D-o ad essere chiamato anche Shelomò
(Salomone, ma letteralmente “la Sua Pace ”), poiché la pace è Sua. Che vuol
dire allora il verso? Il letto è il Santuario. Così come il letto serve alla procreazione
così dal Santuario si moltiplica la benedizione sul mondo (ed il Culto del Santuario
corrisponde nella mistica keillu, come se si potesse dire, all’atto sessuale
tra D-o e l’umanità). Il rapporto in questione però non può che essere prettamente
spirituale ed ecco i sessanta prodi. Sessanta sono secondo la tradizione i trattati
del Talmud. Sono i Saggi d’Israele che studiano l’intera Torà Orale a vegliare
sul Santuario e sullo speciale rapporto tra D-o ed Israele. Contiamo ora le
lettere della Birkat Coanim. Sessanta. Lo studio della Torà Orale è parallelo all’intera
Birkat Coanim ed allo steso modo fonte di benedizione.
Giungiamo ora, con ciò in mente,
alle differenze che ci sono nella stessa Mizvà che i Coanim hanno di benedire il
popolo all’interno ed all’esterno del Mikdash. Abbiamo parlato fino ad ora di tre
benedizioni distinte che formano la benedizione sacerdotale.
All’esterno del Mikdash, ancora
oggi, tra ognuna delle tre benedizioni il pubblico risponde ‘amen!’. Nel Santuario
la parola ‘Amen ’ non viene usata ed è generalmente sostituita (ma non in questo
caso) con la frase ‘Benedetto il Nome del Suo Glorioso Regno per sempre, eternamente
’, la frase che recitiamo dopo il primo verso dello Shemà. Senza entrare nell’argomento,
che potrebbe essere oggetto di una intera discussione, l’assenza dell’amen in questo
caso annulla la separazione tra i versi.
Il messaggio è fortissimo. Il Santuario
è il luogo dove materia, Torà e pace (din, emet e shalom) si fondono in un tutt’uno.
La Berachà triplice diventa una nel Santuario. Il Santuario, luogo di Residenza
della Presenza Divina, può essere pronunciato dai Sacerdoti il nome di D-o, ma non
fuori. Il Nome di D-o, radice dell’esistenza e unica fonte di benedizione trova
l a sua espressione più alta solo nel Santuario. Infine il motivo per cui nel
Santuario i Sacerdoti alzano le mani nella benedizione sopra la testa: nel Santuario
la Presenza Divina si trova perpendicolarmente all’uomo e così è preferibile che
i Sacerdoti mandino le mani in direzione della Presenza Divina. Aggiungeremmo anche
che mani e testa (con i loro rispettivi tefillin) simboleggiano azione e
pensiero.
Ora se all’esterno del Santuario il
Coen, rispetto all’ebreo normale, è ‘più spirituale’, nel senso che non si
occupa della coltivazione della Terra, ma pensa piuttosto ad insegnare la Torà,
nel Santuario accade l’inverso: i Sacerdoti compiono il servizio, la avodà, il lavoro
delle mani. I Saggi, indistintamente dal fatto che siano o meno Coanim, si occupano
della Torà nell’aula del Sinedrio. Quindi al di fuori del Santuario, benedicendo,
i Sacerdoti tengono la testa più in al todelle braccia (lo spirito sopra la materia)
nel Santuario invece avviene il contrario. Unica, interessante, eccezione è il Sommo
Sacerdote. Egli porta il Nome di D-o sulla fronte, scritto sullo Ziz, il frontale
che deve portare nel Santuario. I Saggi, a differenza di R. Jeudà, sostengono che
al Coen è proibito portare le mani più in alto del nome di D-o. In qualche modo
il Sommo Sacerdote, anche nel Santuario, deve tenere la testa sopra le mani, lo
spirito sopra la materia.
Concludiamo ricordando che così
come la Birkat Coanim, che è di sessanta lettere, termina con la parola Shalom,
così la Torà Orale formata da sessanta trattati, termina parlando di Shalom. Le
ultime parole della Mishnà (Ukzin 3:12) dicono infatti che il Santo Benedetto Egli
Sia non ha trovato niente di meglio che contenesse la benedizione per Israele
che la pace, come è detto (Salmi XXIX, 11) “Il Signore dà forza al Suo popolo,
il Signore benedice il Suo popolo nella pace”.
Altri commenti sulla parashah settimanale sul sito ChabadRoma, da cui traiamo questa sintesi della parashah e della haftarah
Parashah in breve
Il censimento dei Figli d’Israele termina
con il conteggio degli appartenenti alla tribù di Levi in età compresa tra i 30
e i 50 anni, che trasportano il Tabernacolo.
Il Sign-re comunica le leggi riguardanti
la sotà, la donna sospettata di adulterio dal marito. Vengono anche date
le leggi che riguardano il nazìr, una persona che in seguito a un voto
non beve vino, non si taglia mai i capelli e che non può venire in contatto con
un morto. Aharòn e i suoi discendenti, i kohanìm, vengono istruiti sul
come benedire il Popolo d’Israele.
I capi delle dodici tribù d’Israele
portano un offerta per l’inaugurazione dell’altare, ognuno in un giorno
diverso. Pur essendo identiche tra loro, la Torà descrive le offerte una per
una.
Il Sign-re parlò a Mose dicendogli di
censire i ghershoniti e i merariti, così come aveva fatto per gli altri leviti.
I ghershoniti avranno l’incarico di trasportare i tendaggi del Tabernacolo, la
tenda della Radunanza, l’altare; tutto il loro servizio sarà coordinato da
Itamar, figlio di Aronne. I merariti avranno l’incarico di trasportare le assi
del Tabernacolo, le sbarre e colonne e le basi di supporto. Questo è il
conteggio che fece Mosè con l’aiuto di Aronne: i kehatiti erano 2.750, i
ghershoniti 2.630 e i merariti 3.200; tutti i leviti erano 8.580 e furono
censiti come il Sign-re aveva comandato a Mosè.
Il Sign-re parlò a Mosè e comandò che chiunque
fosse stato affetto da tzarat, o perdita seminale, o avesse avuto un
contatto con un morto –tutte situazioni di impurità – dovesse essere
allontanato dall’accampamento (fino alla sua purificazione).
Chiunque abbia commesso un torto, rubando
e mentendo, dovrà restituire il maltolto e ripagare un quinto come
risarcimento; se il debitore non ci fosse più allora il risarcimento spetta al
Sign-re e verrà dato come trumà (offerta) ai sacerdoti.
Se la moglie di qualcuno si allontana per
poter agire infedelmente nei confronti del marito, tanto che un altro uomo
potrebbe essersi unito a lei, il marito, anche se non ha prove o testimoni del
tradimento, e lei non sia stata presa con violenza, venga colto da sentimento
di gelosia, dovrà portarla da un sacerdote e presentare un offerta di un efà
di orzo, però questa non dovrà essere condita con olio o olibano perché è
un’offerta di gelosia.
Il sacerdote prenderà un recipiente di
terra cotta con acqua, vi spargerà un po’ di terrà presa nelle vicinanze
dell’altare, quindi scioglierà i capelli di lei e le darà in mano l’offerta
farinacea portata dal marito in ricordo della colpa presunta; il sacerdote a
questo punto spiegherà alla donna le conseguenze del rito della acque amare, la
farà giurare, prenderà una pergamena e vi scriverà le maledizione e il nome di
D-o, in fine farà bere quest’acqua alla donna, riprenderà dalle mani di lei la minchà
(l’offerta farinacea) e la brucerà sull’altare. Dopo tutto questo se la donna è
stata infedele e si è unita carnalmente ad un altro uomo il suo ventre si
gonfierà fino a scoppiare, se invece lei è innocente non le capiterà niente,
anzi, aumenterà la sua fertilità. L’uomo sarà esente da colpa per averla
portata davanti al Sign-re.
Se un uomo o una donna vorrà distinguersi
con un voto di nazirato dovrà trattenersi dal vino, e da qualsiasi bevanda
fatta con uva, né potrà mangiare acini d’uva, per tutto il tempo del voto non
passerà rasoio sulla sua testa, lascerà crescere i capelli disordinatamente,
non potrà avere contatti con un defunto, neanche suo padre o madre. Se
capitasse un qualsiasi motivo per cui rompesse il suo voto, come per esempio
gli morisse qualcuno a fianco, dovrà aspettare sette giorni, nell’ottavo
radersi tutto e portare come offerta al kohen due tortore o due giovani colombi;
in quel giorno il sacerdote riconsacrerà colui che intende fare voto di nazir,
i giorni precedenti, essendo incorso in un’interruzione, non varranno niente.
Alla fine del periodo del voto di nazireato, il nazir porterà come
offerta un agnello di un anno come sacrificio olà, una pecora di un anno
come khattat, e un montone come shelamim, un cesto di pani
azzimi. Davanti alla Tenda della Radunanza si raderà la testa, prenderà i
capelli e li metterà sul fuoco del sacrifico si shelamim.
Il Sign-re parlò a Mosè dicendo di
ordinare ai sacerdoti di benedire il popolo con queste parole: Possa
l’Eterno benedirti e proteggerti, faccia l’eterno risplendere verso di te il
suo volto e usi grazia nei tuoi confronti, possa l’Eterno volgere il proprio
volto verso di te e concederti pace.
La parashà conclude con l’offerta
dei capi tribù per l’inaugurazione dell’altare.
Ognuno portò un vassoio di argento, del
peso di 130 sicli, secondo il peso in uso al Santuario, un bacile d’argento del
peso di 70 sicli, entrambi pieni di fior di farina intrisa nell’olio, un
cucchiaio d’oro del peso di dieci sicli pieno di incenso, un vitello, un
montone, un agnello come olà, un capro per chattat, due buoi,
cinque montoni, cinque capretti e cinque agnelli come shelamim.
Il primo giorno venne Nachshon figlio di
Amminadav per la tribù di Giuda; il secondo giorno Netanel figlio di Tzu’ar per
la tribù di Issachar; il terzo giorno Eliav figlio di Chelon per la tribù di
Zevulun; il quarto giorno Elitzur figlio di Shedeur per la tribù di Ruben; il
quinto giorno Shelumiel figlio di Tzurishaddai per la tribù di Simeone; il
sesto giorno Eliasaf figlio di De’uel per la tribù di Gad; il settimo giorno
Elishamma figlio di ‘Amihud per la tribù di Efraim; l’ottavo giorno Gamliel
figlio di Pedahtzur per la tribù di Manasse; il nono giorno Avidan figlio di
Ghid’onì per la tribù di Beniamino; il decimo giorno Achi’ezer figlio di
‘Amishadai per la tribù di Dan; l’undicesimo giorno Pag’iel figlio di ‘Okhrì
per la tribù di Asher; il dodicesimo giorno Achirà’ figlio di ‘Enan per la
tribù di Naftalì.
Questa fu la cerimonia per
l’inaugurazione dell’altare, le offerte ammontarono a dodici vassoi d’argento,
dodici bacili d’argento, dodici cucchiai d’oro.Tutto l’argento pesava 2.400
sicli, tutto l’oro pesava 120 sicli. Il totale degli animali fu per il
sacrificio olà 12 montoni, 12 agnelli; per il sacrificio chattat
12 capretti, per il sacrificio shelamim 24 buoi, 60 montoni, 60 capretti
e 60 agnelli.
Haftarah in pillole
Vi era un uomo di Tzor’à, di una famiglia
della tribù di Dan, che si chiamava Manoach. Sua moglie era sterile e un
inviato del Sign-re si presentò a lei e le disse che da lei sarebbe nato un
figlio. Per questo lei avrebbe dovuto fare attenzione a non bere vino o bevande
inebrianti e stare lontana da cibi impuri; queste restrizioni perché suo figlio
sarebbe stato un nazir, e avrebbe salvato Israele dai Filistei.
La donna raccontò quello che aveva detto
l’inviato del Sign-re al marito. Manoach pregò il Sign-re di far loro sapere
come avrebbero dovuto comportarsi con il figlio che sarebbe nato, il Sign-re lo
esaudì e rimandò a loro il suo inviato.
Manoach ascoltò il messo che ripeté
quello che aveva detto alla moglie, poi l’uomo volle conoscere il nome di colui
che portava queste importanti notizie così da onorarlo con un sacrificio in suo
onore, ma il messo rispose di non ringraziare lui e che il suo nome sarebbe
dovuto rimanere nascosto, piuttosto il sacrifico lo facesse in onore dal
Sign-re. Così fece Manoache e preparò l’olocausto.
La donna partorì il figlio e gli diede
nome Sansone. Il bambino crebbe e il Sign-re lo benedisse e il Suo spirito
stava su di lui.
Come
si fa a sapere se una cosa è importante? Dal fatto stesso che esiste!
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Al rapporto tra Israel e D-o si applicano le
stesse regole del rapporto tra marito e moglie
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Dato
che il rapporto tra l’Onnipotente e Israele è paragonato al matrimonio, ne
consegue che il concetto di sotà può essere applicato anche a tale rapporto
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Il popolo è premiato (le offerte erano
esuberanti), la Scrittura spende addirittura parole in più per lodarlo,
mentre ai capi delle tribù viene tolta una lettera, la yud
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L’unità
del nostro popolo, tuttavia non si deve materializzare solo tramite i nostri
punti in comune
|
Il fine ultimo della propria esistenza, è
necessario fare tabula rasa, cancellare tutto, tornare al livello del deserto
(bemidbar) dove le nostre esperienze passate non abbiano più alcun peso
|
Quale
impatto ha la voce di D-o sull’uomo? Perchè la Torà ne parla?
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