Il ritorno nella terra dei cedri
Gadi Piperno, da Pagine ebraiche di dicembre 2011
Foto di Davide Giuseppe Scibilia
Il terzo e ultimo appuntamento del Progetto Meridione per l’anno civile in corso si è svolto a Belvedere Marittimo. Sulla riviera dei cedri, in un albergo inaugurato da pochi mesi, si sono riunite una cinquantina di persone provenienti da numerose città italiane. Qualche giorno di libertà e il convegno ha potuto prendere il respiro adatto a un vero e proprio seminario. All’arrivo, subito la preparazione per uno shabat di grande intensità. Dopo la tefillah e la cena, il professor Dov Maimon, socio anziano del Jewish People Policy Institute, ha tenuto una conferenza sul concetto di kedushah del popolo di Israele e di quanto sia importante oggi per il popolo stesso avere in ogni luogo dei rappresentanti che siano in grado di far capire al mondo circostante la sua reale natura e che possano quindi combattere i pregiudizi. Non va dimenticato che nei luoghi in cui l’ebraismo non è presente con istituzioni strutturate ci sono infatti impostori, che in nome di un presunto e non titolato ebraismo fanno danni alla reputazione dell’intero popolo ebraico. Lo shabat è poi proseguito con il normale programma arricchito da due lezioni sulla parashat hashavua tenute da Sandro Servi (Nehamma Leibowitz sulla parashah) e dallo stesso professor Maimon (la cultura uniforme ai tempi della torre di Babele). A fine shabat Sandro Servi ha tenuto una conferenza sulla formazione della Comunità di Amsterdam (il problema dei conversos, la fondazione di una nuova kehillah, le incisioni di Bernard Picart).
L’indomani, per iniziativa dell’avvocato Cetraro, padrone dell’albergo che ha ospitato il convegno e che ringraziamo per l’accoglienza e per la dedizione a risolvere tutti i problemi legati alla kasherut, ci si è recati all’Accademia del Cedro, distante pochi chilometri dalla sede del seminario. È stata questa l’occasione per i discorsi ufficiali con le autorità politiche della zona, alla presenza del presidente UCEI Renzo Gattegna, del presidente della Comunità ebraica di Napoli Pier Luigi Campagnano e del rabbino capo Scialom Bahbout. Ma è stata anche l’occasione di notare quanto buona sia la reputazione del popolo ebraico in queste terre.
È noto che in questi luoghi vengono coltivati quelli che probabilmente sono i cedri più adatti alla mitzwah del lulav per la loro perfezione. La coltivazione del cedro ha avuto un lungo periodo di crisi fino al momento in cui un consorzio e la Regione Calabria hanno difeso i coltivatori da dinamiche di mercato che deprimevano il settore. È stato grazie alla presenza dei “barbetti” (così sono chiamati i rabbanim che vengono a prendere lì cedri da esportare in tutto il mondo) che il settore ha tenuto. Abbiamo quindi notato un senso di riconoscenza verso il popolo ebraico documentato da una bellissima lapide nel centro di Santa Maria del Cedro. Credo vada reso merito a loro, e in particolare a Rav Moshè Lazar, di aver fatto un’opera importante di kiddush hasem. Si è quindi tenuto il seminario. Si è parlato di fondamenti di una comunità, della storia e delle regole del beth haknesset, delle 39 opere proibite di shabat, della storia della cucina ebraica, delle regole dello shema’ e della ‘amidà. Le lezioni sono state tenute da Rav Bahbout, Sandro Servi, dal maskil Marco Dell’Ariccia e da chi scrive. Da sottolineare come, nonostante il bel posto di mare e una situazione meteorologica più che invitante, pressoché tutti i partecipanti hanno seguito tutte le lezioni del seminario. Il tutto si è concluso con un concerto di Raiz, come al solito molto coinvolgente. A dire il vero l’ultimo atto è stata una intensa riunione nella quale i partecipanti hanno posto le basi di una loro struttura, afferente alla Comunità di Napoli, che avrà come primo compito quello di provvedere alla crescita ebraica degli iscritti. Cosa ci lascia questo primo anno di Progetto Meridione? La risposta non è semplice. Parliamo di numeri innanzi tutto. Fino a pochi anni fa nel mio immaginario, e credo in quello di molti altri, l’ebraismo italiano nel sud si fermava alla comunità di Napoli considerata nella stretta realtà partenopea. Da qualche anno, anche grazie al film Il viaggio di Eti, si è aperto uno squarcio sulla realtà di San Nicandro Garganico come luogo in cui, dopo il fenomeno degli anni 30-40, si è ricreato un gruppo di una trentina di persone che ha recentemente portato a sette conversioni. Ma partendo da lì si è capito che la cosa non si fermava alla realtà pugliese. In questi tre eventi abbiamo incontrato poco meno di un centinaio di persone e siamo a conoscenza che ce ne sono altre che non hanno potuto partecipare. Si tratta di una realtà che non è trascurabile. Tanto per intenderci è confrontabile con i numeri dell’intera Comunità di Napoli. Ovviamente sono piccole realtà dislocate in regioni molto vaste e spesso disaggregate per quanto riguarda la residenza dei singoli. Non è sicuramente facile seguire queste dinamiche da vicino da parte di un ebraismo che per altro ha molti problemi all’interno delle stesse comunità in quanto a keruv rekhoqim (avvicinamento dei lontani): come manhig (guida) del tempio Bet Michael di Roma sono assolutamente consapevole del problema e in prima linea nell’affrontarlo. Quello che però mi ha sorpreso profondamente di questo viaggio nel sud è la consapevolezza e la determinazione della maggioranza delle persone che ho incontrato. La consapevolezza di cosa sia l’ebraismo, e non solo a grandi linee ma anche nei dettagli pratici. La determinazione ad affrontare tutte le difficoltà derivanti dall’essere lontani dai centri organizzati. Tutto questo non è spiegabile in un articolo. Per poter capire questa realtà è fondamentale andare a conoscerla sul posto. Non va poi dimenticato il fatto che esiste l’esigenza di una copertura nazionale da parte dell’UCEI sulle tematiche che riguardano l’ebraismo, nonché il monitoraggio di sedicenti gruppi pseudoebraici che di ebraico hanno ben poco e che rischiano di far aumentare quel pregiudizio che, come reso noto da sondaggi anche recenti, da sempre serpeggia in parte della popolazione italiana. Alla luce di tutto questo ritengo che un supporto alla Comunità di Napoli nella gestione di queste realtà sia un’attività strategica dell’UCEI nel suo ruolo di titolare dell’ebraismo in Italia. In ogni caso, devo dire che coordinare questo primo anno di progetto è stata per me un’esperienza straordinariamente intensa e formativa.
L’indomani, per iniziativa dell’avvocato Cetraro, padrone dell’albergo che ha ospitato il convegno e che ringraziamo per l’accoglienza e per la dedizione a risolvere tutti i problemi legati alla kasherut, ci si è recati all’Accademia del Cedro, distante pochi chilometri dalla sede del seminario. È stata questa l’occasione per i discorsi ufficiali con le autorità politiche della zona, alla presenza del presidente UCEI Renzo Gattegna, del presidente della Comunità ebraica di Napoli Pier Luigi Campagnano e del rabbino capo Scialom Bahbout. Ma è stata anche l’occasione di notare quanto buona sia la reputazione del popolo ebraico in queste terre.
È noto che in questi luoghi vengono coltivati quelli che probabilmente sono i cedri più adatti alla mitzwah del lulav per la loro perfezione. La coltivazione del cedro ha avuto un lungo periodo di crisi fino al momento in cui un consorzio e la Regione Calabria hanno difeso i coltivatori da dinamiche di mercato che deprimevano il settore. È stato grazie alla presenza dei “barbetti” (così sono chiamati i rabbanim che vengono a prendere lì cedri da esportare in tutto il mondo) che il settore ha tenuto. Abbiamo quindi notato un senso di riconoscenza verso il popolo ebraico documentato da una bellissima lapide nel centro di Santa Maria del Cedro. Credo vada reso merito a loro, e in particolare a Rav Moshè Lazar, di aver fatto un’opera importante di kiddush hasem. Si è quindi tenuto il seminario. Si è parlato di fondamenti di una comunità, della storia e delle regole del beth haknesset, delle 39 opere proibite di shabat, della storia della cucina ebraica, delle regole dello shema’ e della ‘amidà. Le lezioni sono state tenute da Rav Bahbout, Sandro Servi, dal maskil Marco Dell’Ariccia e da chi scrive. Da sottolineare come, nonostante il bel posto di mare e una situazione meteorologica più che invitante, pressoché tutti i partecipanti hanno seguito tutte le lezioni del seminario. Il tutto si è concluso con un concerto di Raiz, come al solito molto coinvolgente. A dire il vero l’ultimo atto è stata una intensa riunione nella quale i partecipanti hanno posto le basi di una loro struttura, afferente alla Comunità di Napoli, che avrà come primo compito quello di provvedere alla crescita ebraica degli iscritti. Cosa ci lascia questo primo anno di Progetto Meridione? La risposta non è semplice. Parliamo di numeri innanzi tutto. Fino a pochi anni fa nel mio immaginario, e credo in quello di molti altri, l’ebraismo italiano nel sud si fermava alla comunità di Napoli considerata nella stretta realtà partenopea. Da qualche anno, anche grazie al film Il viaggio di Eti, si è aperto uno squarcio sulla realtà di San Nicandro Garganico come luogo in cui, dopo il fenomeno degli anni 30-40, si è ricreato un gruppo di una trentina di persone che ha recentemente portato a sette conversioni. Ma partendo da lì si è capito che la cosa non si fermava alla realtà pugliese. In questi tre eventi abbiamo incontrato poco meno di un centinaio di persone e siamo a conoscenza che ce ne sono altre che non hanno potuto partecipare. Si tratta di una realtà che non è trascurabile. Tanto per intenderci è confrontabile con i numeri dell’intera Comunità di Napoli. Ovviamente sono piccole realtà dislocate in regioni molto vaste e spesso disaggregate per quanto riguarda la residenza dei singoli. Non è sicuramente facile seguire queste dinamiche da vicino da parte di un ebraismo che per altro ha molti problemi all’interno delle stesse comunità in quanto a keruv rekhoqim (avvicinamento dei lontani): come manhig (guida) del tempio Bet Michael di Roma sono assolutamente consapevole del problema e in prima linea nell’affrontarlo. Quello che però mi ha sorpreso profondamente di questo viaggio nel sud è la consapevolezza e la determinazione della maggioranza delle persone che ho incontrato. La consapevolezza di cosa sia l’ebraismo, e non solo a grandi linee ma anche nei dettagli pratici. La determinazione ad affrontare tutte le difficoltà derivanti dall’essere lontani dai centri organizzati. Tutto questo non è spiegabile in un articolo. Per poter capire questa realtà è fondamentale andare a conoscerla sul posto. Non va poi dimenticato il fatto che esiste l’esigenza di una copertura nazionale da parte dell’UCEI sulle tematiche che riguardano l’ebraismo, nonché il monitoraggio di sedicenti gruppi pseudoebraici che di ebraico hanno ben poco e che rischiano di far aumentare quel pregiudizio che, come reso noto da sondaggi anche recenti, da sempre serpeggia in parte della popolazione italiana. Alla luce di tutto questo ritengo che un supporto alla Comunità di Napoli nella gestione di queste realtà sia un’attività strategica dell’UCEI nel suo ruolo di titolare dell’ebraismo in Italia. In ogni caso, devo dire che coordinare questo primo anno di progetto è stata per me un’esperienza straordinariamente intensa e formativa.
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