Con questo post inauguro una nuova "etichetta", che chiamerò "Paralleli".
Si tratta di parallelismi linguistici, culturali, storici, sociali o di qualsiasi altro genere tra Calabria e mondo ebraico.
Non sempre saranno parallelismi "esclusivi", e cioè che si riferiscono a tratti comuni "solo" ad ebraismo e Calabria, ma saranno spesso parallelismi che possono riguardare aree più ampie dell'Italia e del mondo mediterraneo; né d'altra parte affermerò che si tratta di caratteri calabresi che traggono origine da caratteristiche ebraiche, però credo che sia possibile rilevare delle comunanze "psicologiche" e "antropologiche", oltre a quelle storiche e culturali di cui si parla in altri post, tra questi due popoli.
Si tratta di parallelismi linguistici, culturali, storici, sociali o di qualsiasi altro genere tra Calabria e mondo ebraico.
Non sempre saranno parallelismi "esclusivi", e cioè che si riferiscono a tratti comuni "solo" ad ebraismo e Calabria, ma saranno spesso parallelismi che possono riguardare aree più ampie dell'Italia e del mondo mediterraneo; né d'altra parte affermerò che si tratta di caratteri calabresi che traggono origine da caratteristiche ebraiche, però credo che sia possibile rilevare delle comunanze "psicologiche" e "antropologiche", oltre a quelle storiche e culturali di cui si parla in altri post, tra questi due popoli.
Nella parashah dell’ultimo Shabbat (Vayetzè) abbiamo visto che Giacobbe va verso Charan, la terra della famiglia di Abramo, per trovare una sposa della sua parentela..
ll’inizio del suo viaggio, subito dopo il sogno, invoca l’assistenza di HaShem nel suo cammino.
ll’inizio del suo viaggio, subito dopo il sogno, invoca l’assistenza di HaShem nel suo cammino.
Bereshit (Genesi) 28,20-21 "Ya'akov fece un voto, dicendo: «.Se D-o sarà con me, e mi proteggerà in questa via che io percorro, e mi darà
pane per mangiare, e un abito per vestire,
tornerò in pace alla casa di mio padre, e HaShem mi sarà Dio»".
Mi ha colpito l’analogia di queste parole con un detto comune dei nostri paesi, che si ispira ad una situazione simile a quella vissuta da Giacobbe:
Pana e mantu / on grava tantu
(pane e mantello / non pesano molto)
È un detto che si riferisce all’intrapresa di un viaggio, breve o lungo che sia, per esprimere quelli che sono i bisogni primari (ed essenziali) dell’uomo: il cibo per nutrirsi (e cibo per antonomasia è il pane) e il necessario per coprirsi dalle intemperie (rappresentato, fino all’”invenzione” del cappotto o dell’impermeabile, dal mantello).
Dal Bereshit edito da Mamash riporto una delle "Scintille di Khassidut" che si riferisce proprio a questi versetti:
Necessità materiali
Del pane per mangiare e un abito per vestire: diceva Rabbi Levi Yitzchak di Berdiciov che quando un ebreo ha pane per mangiare e un abito per vestire è abbastanza tranquillo per ricordarsi di Hashèm e pensare a Lui (Hashèm mi sarà D-o). Quanto però è privo del minimo indispensabile, per la tristezza e l'amarezza rischia di dimenticarsi di ciò che è veramente importante.
La stessa "coppia" di pane e vestito (con un termine che alcuni tradurranno proprio con mantello!) tornerà molto tempo dopo in una descrizione profetica dei tempi dell'esilio di Giuda, proprio con lo stesso senso di essenzialità di questi due elementi, nella descrizione di un tempo in cui i pochi che avranno (o di cui si riterrà che abbiano) l'uno o l'altro verranno reclamati come capi in un popolo ormai privato di tutto.
Isaia 3,6-7
Isaia 3,6-7
“Quando uno afferrerà il fratello nella casa di suo padre gli dirà: «Tu hai un abito: sarai principe su di noi; e questo paese rovinato sia sottoposto al tuo dominio».
Egli alzerà la voce in quel giorno e dirà: «Io non sarò il vostro medico; nella mia casa non v'è pane né vestito; non mi fate principe di popolo!»”.
Egli alzerà la voce in quel giorno e dirà: «Io non sarò il vostro medico; nella mia casa non v'è pane né vestito; non mi fate principe di popolo!»”.
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