Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 25 gennaio 2017

18000 giorni fa: un film su Ferramonti

18.000 giorni fa
Questo è il primo film su Ferramonti e si trova su YouTube in versione integrale. Tutt'altro che favorevoli le critiche, ma può comunque essere interessante vederlo.
Nella stessa presentazione su YouTube si dice che “Non viene considerato un bel film neanche dal punto di vista documentaristico. Pur essendo approssimativo e bozzettistico, in ogni caso è un primo tentativo di raccontare la storia, fino ad allora sconosciuta, di Ferramonti di Tarsia”.
Forse la cosa migliore si può considerare il breve intervento introduttivo di Simon Wiesenthal

Moshe, un ebreo polacco evaso dal lager di Treblinka, raggiunge la frontiera del Brennero. Qui, viene catturato dalla polizia italiana ed inviato al campo di concentramento di Ferramonti. Moshe scopre una comunità di prigionieri, che cerca di sopravvivere, ma conserva anche una speranza di riscatto e di salvezza. Nello sconvolgimento dell'Europa questo miracolo di coraggio costringe Moshe ad uscire dalla disperazione e ad impegnarsi nelle vicende del campo. La vicenda di Moshe diviene il documento di un avvenimento realmente accaduto che può testimoniare il valore costruttivo della tolleranza e del coraggio.

GENERE: Storico
ANNO: 1994
REGIA: Gabriella Gabrielli
ATTORI: Maurizio Donadoni, Silvia Cohen, Franco Diogene, Massimo Foschi, Franco Interlenghi, Natalia Loeni, Ubaldo Lo Presti, Gianfranco Barra, William Berger, David Brandon, Pier Paolo Capponi, Alfredo Pea, Stefano Sabelli, Giovanni Visentin
SCENEGGIATURA: Gabriella Gabrielli, Roberto Leoni
FOTOGRAFIA: Erico Menczer
MONTAGGIO: Gianfranco Amicucci
MUSICHE: Gianfranco Plenizio
PRODUZIONE: Maximago per Istituto Luce, Ministero del turismo e dello spettacolo, RaiUno
DISTRIBUZIONE: Istituto Luce - Italnoleggio cinematografico
PAESE: Italia
DURATA: 98 Min
FORMATO: Normale

CRITICA
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 5 febbraio 1994
"Forse, a confronto degli orrori cui vicende simili ci hanno abituati, tutte quelle attenzioni e quelle generosità sanno un po' troppo di favola, ma desunte come sono da episodi autentici riescono a coinvolgere e ad apparire plausibili, anche perché il testo dl Roberto Leoni e la regia di Gabriella Gabrielli, pur rischiando qua e là un certo patetismo, tendono, specie nella prima parte, a mantenere toni asciutti e non di rado perfino risentiti con pagine di innegabile rigore. (...) Nonostante, dopo, la seconda parte, un po' approssimativa anche nelle sue ellissi, approdi con facilità eccessiva al lieto fine, consentendo addirittura al protagonista di ritrovare l'amore, sia coniugale, sia paterno: in cifre superficialmente emotive. Lo interpreta con accenti seri, Maurizio Donadoni; la donna cui si legherà è Silvia Cohen; fra gli altri ebrei del campo, William Berger; il militare buono è Pier Paolo Capponi; i fascisti cattivi sono Stefano Sabelli e Giovanni Visentin, forse un po' caricaturali. C'è anche Franco Interlenghi, barba bianca e saio da frate, pronto ad aiutare".

Stefano Martina, Il Messaggero, 11 febbraio 1994
"Alcune forzature drammaturgiche saranno state anche inevitabili (benché non si possa dire lo stesso per la stereotipata approssimazione di alcuni personaggi: il gerarca impettito, il medico in orbace perfido ma codardo, il secondino butto e umano che storpia i nomi stranieri), e magari ci sarebbe stato abbastanza materiale per fare di "18.000 giorni fa" una miniserie tv di maggior efficacia e profondità narrative. Il vero dubbio che il film lascia, se confrontato con l'attuale spirito del tempo, è che il nostro carattere nazionale nel frattempo sia mutato molto, e non certo in meglio. Ma forse è solo un'impressione. La banalità del bene non avrà un gran mercato, tuttavia è pur sempre rassicurante"

Paolo D'Agostini, la Repubblica, 9 febbraio 1994
"Il film è questo, un film molto povero (compresa la convenzione che consente a tutti di comunicare agevolmente in lingua Italiana) che non solo per colpa della povertà è troppo didascalico ma senza un filo di demagogia sulla presunta bontà naturale degli italiani in confronto alla barbarie nazista, onesto, limpido, lineare. Vanno almeno citati, della compagnia numerosa ed evidentemente complice dell'ispirazione civile, Silvia Cohen, Massimo Foschi, Alfredo Pea, Gianfranco Barra, William Berger, Franco Interlenghi, David Brandon"

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