Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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martedì 11 marzo 2008

L'industria della seta

In questo post affronto un tema che è stato fondamentale nella storia della presenza ebraica in Calabria, e nel quale l'integrazione tra i due popoli aveva costruito una possibilità di ricchezza e di sviluppo che la vergognosa e suicida cacciata degli ebrei ha stroncato miseramente, ed insieme a questa tutti gli altri settori in cui la presenza ebraica avrebbe potuto consentire uno sviluppo economico e culturale della nostra terra ben diverso e migliore di quello che è poi stato.

LA CALABRIA, LA SETA, GLI EBREI
(da una pagina internet che non esiste più)

Lo splendido mantello di seta
di Ruggero II,
probabile opera calabrese

I MERCANTI
In Calabria operavano gli ebrei, i quali avevano un ruolo importantissimo nella crescita economica della regione, ed in particolare nello sviluppo dell’industria serica e della tintoria, dove investivano ingenti capitali traendone forti guadagni.
Il loro intervento non si limitava soltanto a quello redditizio della seta, ma tutti i settori dell’economia calabrese beneficiavano della loro alacre attività imprenditoriale: dalla lavorazione del ferro, del rame, del bronzo, all’oreficeria e all’argenteria; dalla concia delle pelli e dalla manifattura dei cappelli a cono, denominati a cervone, alla fabbricazione dei pettini, del sapone, delle stoviglie.
Tra le altre attività svolte dagli ebrei, non dobbiamo certo dimenticare l’usura e l’importanza che essa aveva nell’ambito di una politica economica volta a garantire lo Stato ed a contenere l’ingordigia dei banchieri forestieri, soprattutto toscani e lombardi.
Né in altro modo siffatta politica poteva essere realizzata, se non favorendo gli Ebrei, ed acclimatando nell’Italia meridionale un elemento capitalistico ed industriale che, sotto la vigilanza dello stato, poteva colmare un vuoto nella vita economica. Agli Ebrei era riservato questo monopolio del credito, quasi come una funzione di Stato, anche perché nei bisogni riusciva più facile poterli mungere e vessare in tutti i modi.
Gli Ebrei erano presenti dovunque in Calabria; riuniti in colonie, essi formavano una comunità a parte, distinguendosi dai cristiani per un contrassegno che erano costretti a portare al braccio in conformità alle decisioni del Parlamento di Messina (1221), che stabilì le assise “contra judeos, ut in differentia vestium et gestorum a Christianis discernantur”.
Essi erano considerati giuridicamente inferiori ai cristiani e fu solo in virtù della loro forza economica se poterono in un certo qual modo mitigare la loro condizione.
Catanzaro, dove l’attività industriale e commerciale era più progredita che altrove, presenta il caso tipico di una comunità ebraica, nella quale quanto più crebbe la potenza economica tanto più progredì la sua condizione giuridica e la sua influenza nella vita cittadina.
Nel 1417, la città, liberata dall’effimera signoria di un capitano di ventura, fu chiamata a riorganizzare l’amministrazione civica demaniale. Ne colsero profitto gli Ebrei per domandare la dispensa dal portare i noti contrassegni della loro stirpe, l’esonero dal pagamento della mortafa [una tassa di residenza loro imposta] e della gabella della tintoria, l’assicurazione che non sarebbero stati molestati né dagli ufficiali regi, né dagli inquisitori ecclesiastici. Non bastando ciò, minacciarono di abbandonare Catanzaro nel caso in cui le loro richieste non fossero state accolte.
Quest’atteggiamento particolarmente benevolo verso gli Ebrei, si manifestò di nuovo a Catanzaro col risorgere del comune demaniale (1445), dopo la defenestrazione del Centelles, ed ebbe come obiettivo la parificazione dei cristiani e degli ebrei davanti al fisco ed alle leggi vigenti. Relativamente al fisco, negli anni successivi all’evento suaccennato, le due comunità, in seguito alla richiesta di quella israelita, si accordarono di fondersi in un’unica comunità, sì che cristiani ed ebrei pagassero le tasse e godessero le esenzioni in eguale misura.
In conformità a questa convenzione che, da parte di qualche cristiano, era stata giudicata svantaggiosa per i correligionari, i sindaci di Catanzaro nel 1453 ritennero che gli Ebrei dovessero pure loro contribuire alla somma che il Consiglio civico aveva deliberato per apprestare un convento ai frati minori dell’Osservanza, i quali erano stati chiamati per rianimare nella città la fede ed emendarvi i costumi. I proti della comunità ebraica non videro, però, nella fattispecie un affare d’interesse generale e, malgrado che nella convenzione fosse stabilito che “Judei contribuant et solvannt cum Christianis in negiciis tangentibus Christianos, queadmodum dicti Cristiani contribuant cum Judei in negociis tangentibus ipsos Judeos”, costoro si rifiutarono di pagare l’aliquota dell’imposta assegnata alla loro comunità, sostenendo che questa non era tenuta a contribuire alla spesa richiesta dell’eventuale costruzione di edifici destinati al culto cristiano. Ne derivò una vertenza. Gli Ebrei ricorsero al re, il quale accolse la loro tesi e ordinò perentoriamente ai sindaci di restituire ai ricorrenti i pegni che, da loro, si erano fatti dare nell'attesa del responso e di non fare innovazioni nei loro riguardi.
La colonia ebraica aveva vinto e la conquista dei nuovi diritti si faceva per loro più agevole e più rapida. Difatti, ancora vivo Alfonso, nel 1454, erano gli stessi sindaci a domandargli di ribadire la libertà religiosa degli Ebrei di Catanzaro, impedendo al domenicano Niccolò da Galvanico, “inquisitor haereticae pravitatis”, di pretendere da loro il pagamento di un aragonese a testa; nel 1456, ancora dietro richiesta dei sindaci, la Corona li sottraeva alla giurisdizione giudiziaria del vescovo e li sottoponeva a quella ordinaria del capitano regio.
Né meno deciso sarà il favore di Ferrante, nella cui memoria rimase incancellabile l’aiuto che la colonia ebraica di Catanzaro gli dette nelle difficoltà che lo aspettavano all’indomani della sua ascesa al trono.
Non si creda però che anche in altri centri della Calabria i sentimenti delle amministrazioni comunali fossero così tolleranti e longanimi verso gli Ebrei come a Catanzaro. In questa città gli Ebrei dominavano l’economia locale, che s’identificava con l’industria della seta. Essi anticipavano il denaro necessario alle spese per l’allevamento del baco da seta; possedevano filande e telai propri; impegnavano i coltivatori a consegnare tutta la produzione e l’acquistavano preventivamente; traevano dalla seta grezza tessuti ricercati, che poi vendevano agli stranieri; e di qui un sottile intreccio di affari che s’imperniava intorno all’elemento plutocratico della colonia, creandogli una base solidissima di potenza e d’influenza. Era quindi naturale che il processo di equiparazione giuridica fra ebrei e cristiani fosse a Catanzaro in uno stadio più avanzato che altrove.
In ogni modo, pur variando da luogo a luogo i rapporti fra i due elementi etnico-religiosi, la fortuna che gli Ebrei realizzavano in Calabria con la loro intraprendenza inarrestabile e con il monopolio fece ritenere che la suddetta regione fosse per loro, alla fine del ‘400, un’altra terra di Canaan. Con questo convincimento, non pochi furono gli Ebrei che vi si diressero dalla Spagna, allorché in questa incominciò a imperversare contro di loro la persecuzione di Ferdinando il Cattolico.
Che poi, mancando nella regione un ceto medio attivo, le autorità locali si adoperassero a procurare privilegi a favore degli stranieri che signoreggiavano le sorgenti della ricchezza, e che questi stranieri vi si arricchissero, e che all’opposto la popolazione indigena versasse nella miseria, era proprio questo il paradosso della situazione.
Diverso trattamento ebbero gli Ebrei di Cosenza, la cui giurisdizione era conferita al Vescovo con ordinanza del 12 maggio 1467.
Reggio fu pure uno dei più importanti centri d’immigrazione ebraica. Gli Ebrei apportarono nel distretto reggino un grande incremento all’industria serica usando la colorazione dell’indaco. Inoltre essi incettavano tutta la produzione della seta impegnando i produttori, nel modo indicato già parlando di Catanzaro.
Il prezzo stesso della seta veniva fissato sotto l’indiretto controllo degli Ebrei, che avevano nelle loro mani il credito locale; il che, se tornava a danno degli altri compratori, favoriva indirettamente i produttori, o per lo meno assicurava ad essi un prezzo remunerativo senza correre l’alea della richiesta oscillante o della coalizione a loro danno dei mercanti stranieri.
Questa forma di monopolio non poteva certamente essere gradita ai mercanti cristiani e specialmente genovesi, che, protetti dal governo spagnolo, si adoperarono per abbatterla, contribuendo anche a creare quel clima di ostilità verso gli Ebrei che porterà infine alla loro espulsione.
Non pochi, infatti, furono i tentativi dei genovesi, affinché i loro temibili concorrenti fossero espulsi da Reggio. Riuscirono nel loro intento durante il viceregno di Raimondo de Cardona.
Il Gran Siniscalco Antonio di Guevara, da Napoli, proteggeva a spada tratta i mercanti genovesi, i quali erano anche sostenuti da parecchi baroni del regno, cui era insopportabile non poter disporre di quella grande fonte di ricchezza che era l’usura. Esponevano, pertanto, al viceré come, mentre gli Ebrei con il loro traffico e monopolio aumentavano sempre più le ricchezze, le oneste speculazioni dei cristiani andassero invece in fallimento. Insinuavano che l’usura giudaica avesse ridotto la popolazione alla miseria e che ciò fosse intollerabile in un paese cristiano. Riuscirono così ad imporre il loro punto di vista e pertanto il viceré inviò un rapporto a Ferdinando in Spagna, dipingendo a fosche tinte quella corporazione ebraica e mostrando l’urgente necessità che gli Ebrei fossero espulsi non solo da Reggio, ma dall’intera Calabria.
Veramente la persecuzione era già incominciata da un pezzo, ed in Calabria più che altrove se ne sentivano le ripercussioni, per la condizione speciale in cui si trovavano gli Ebrei. Tuttavia è da ritenere che la richiesta dei mercanti genovesi costituisse un forte incentivo per le decisioni prese al riguardo dal governo spagnolo.

Coltivazione del gelso alla fine del 1500
da
ICSerrastretta
LA DECADENZA
Sembra, infatti, che sia stato trascurato un elemento che più di ogni altro avrebbe potuto spiegare l’origine della crisi dell’industria serica, e non solo di questa, ma anche di tutta l’economia calabrese, il cui processo di espansione subì un arresto tale che, dopo tanti secoli, se ne avvertono ancora le conseguenze. Alludiamo all’importanza dell’elemento ebraico nella produzione e nel commercio della seta e più in generale al ruolo vitale che essi ebbero in quell’incipiente rinascita economica della Calabria, rinascita per altro tardiva rispetto a quella che si era verificata nei Comuni dell’Italia centro-settentrionale, dove, come è noto, si ebbe un forte incremento delle attività produttive e commerciali a partire dal XII sec.
Gli Ebrei per più secoli furono gli animatori della vita economica calabrese, la quale non era certo favorita dalle condizioni politiche e sociali che oggettivamente costituivano un freno alla libertà del commercio e dell’impresa. Pertanto è impossibile non considerare la connessione tra l’espulsione degli Ebrei e la decadenza dell’economia calabrese.Tale espulsione fu determinata da un intreccio di motivi religiosi, politici ed economici. Questi ultimi, a nostro avviso, hanno avuto la prevalenza.
La politica spagnola nell’Italia meridionale fu, di fatto, indirizzata a favorire i negozianti stranieri, “amici et confederati della Cattolica Maestà”, a discapito degli Ebrei, come è possibile dedurre dalla speciale prammatica, pubblicata da Ferdinando II il Cattolico nel 1508. Essa favoriva liberamente l’entrata e l’uscita nella fiera della Maddalena, a Cosenza, dei mercanti stranieri e delle loro merci.
Abbiamo già visto quali fossero questi amici della Cattolica Maestà: i Genovesi, dietro la cui pressione il viceré Raimondo de Cardona fu costretto a fare rapporto a Ferdinando in Spagna, prospettando la necessità di espellere gli Ebrei dalla Calabria.
Con l’estromissione degli Ebrei e dei loro capitali, molte industrie e molte attività commerciali cessarono di esistere; le fiere persero la loro animazione, il costo del denaro salì di cinque e fino a dieci volte su quello corrente; il pubblico erario fu intaccato profondamente per le difficoltà incontrate nell’esigere le tasse. Si cercò di correre ai ripari. Fu permesso che i mercanti ebrei continuassero a visitare le fiere e per un certo tempo questo avvenne. Essi venivano, però, in veste di mercanti e non più con quella funzione economica ed imprenditoriale predominante che avevano avuto in precedenza.
Le fiere calabresi andarono sempre più decadendo e con loro l’arte della seta che aveva rappresentato il settore più dinamico e produttivo dell’economia calabrese.


GLI EBREI IN CALABRIA DAL XIII AL XVI SEC.
Placido Antonio Carè
Motivi tipici della lavorazione
della seta in Calabria
da
Artetessilecalabrese

Le maestranze ebree erano specializzate nell’arte della tintoria; utilizzavano sostanze coloranti portate dall’India, per cui il nome di indaco, e nell’industria della seta. Essi con la loro operosità e la loro intraprendenza contribuirono alla trasformazione economica della Calabria. D’Amato, attento studioso di Catanzaro, la sua città, ha scritto ‘’Questi [gli Ebrei], industriosi per loro natura e dediti alle mercantie et ad ogni genere di negotij, volentieri venivano ammessi nelle città più famose: onde designarono i Catanzaresi chiamarne qualche parte, acciò, aprendo fondachi di mercantia, gli togliessero l’incomodo di mendicare da lontano i panni et altre cose al vestir necessarie; e per più facilmente condurceli gli offrirono una perpetua franchigia. In tal guisa allettati, ne vennero in buon numero, e perchè vollero havere nella città luogo e parte, gli assegnarono un quartiere in mezzo ad essa. (...) Giunti aprirono botteghe di ricchissime mercantie, e, mescolando con i loro negotij i drappi medesimi di seta, che ivi lavoravano, cagionarono un grande utile â cittadini et aprendo la strada al concorso di tutta la provincia per via dei loro negotij, partorivano alla città molti comodi, oltre il danaro che in abbondanza vi entrava”. Apprendiamo così che in una Calabria di contadini gli Ebrei costituirono il primo nucleo importante di industriosi imprenditori, di carattere esclusivamente urbano, perché era loro vietato per legge diventare proprietari terrieri. Inoltre bisogna aggiungere che la vita dei Calabresi sia durante la dominazione normanna, che nel corso del il regno svevo, si svolgeva prevalentemente nei centri urbani.

Gli Ebrei erano presenti in Calabria un po’ dappertutto: a Rossano, a Corigliano, a Cosenza, a Reggio, a Bisignano, a Montalto, a Tropea, a Reggio, ecc.(...) [Essi] furono ben trattati dagli Angioini non meno che dagli Svevi; essi si dedicarono all’arte della tintoria e della seta, ma anche all’usura, alla medicina ed alle belle lettere. Le comunità degli Ebrei erano passate, durante la monarchia [aragonese] siciliana, alle dipendenze dei verscovi, i quali ne approfittarono per assoggettarli a gravame fiscale. Le persecuzioni dei vescovi, anziché incoraggiare le conversioni, contribuirono a dividere Ebrei e cristiani. (...) A Monteleone, i gabellotti della seta perquisiscono le case degli Ebrei, sequestrando la seta, non ostante i tributi pagati. (...) A Crotone e altrove i Giudei sono costretti a fuggire per sottrarsi a pesanti contribuzioni1. )
Le persecuzioni degli Ebrei furono riprese in Europa quando Papa Gregorio IX, fra il 1231 e il 1235, sollevò i vescovi dal compito di perseguire le eresie e affidò i tribunali d’inquisizione ai frati domenicani. Nel 1427, estese le prerogative di inquisire ai Domenicani; attribuì a Fra Giovanni di Capistrano dell’Ordine dei Minori la facoltà di proibire l’esercizio dell’usura ai Giudei dimoranti nel regno e a quelli forestieri di praticare l’usura, e di costringerli a portare il segno Thau. In favore degli Ebrei, tuttavia, ci furono anche numerose richieste fatte da numerose comunità. “Nel 1447 [1] giugno l’Università di Tropea, tra le altre grazie e privilegi chiedeva ad Alfonso d’Aragona: -Item, che plaza a la dicta Maiesta far tractare li judei de questa terra in li pagamenti fiscali sì como li altri citatini et non esserono agravati in altro pagamento ultra lo pagamento della mortafa2. Il sovrano aderì alla richiesta. Nel tentativo di porre un argine alla pratica dell’usura, i Frati Minori nel XV secolo istituiscono i Monti di pietà, ma non ebbero successo, perché ebbero soltanto la funzione di costituire un organo preposto ad assistere chi ne avesse bisogno, senza garantirsi la restituzione del denaro erogato. Tuttavia dopo la bolla di Leone X del 1515, che rimosse il divieto di percepire interesse a favore dei Monti di Pietà, questi furono in grado di dare alla loro attività una impronta diversa, perché somigliarono sempre più a rudimentali servizi bancari.
Cominciarono così le prime difficoltà degli Ebrei. Esse si aggravarono quando nel 1511 i Genovesi, che avevano da sempre sperato di sostituirsi a quelli, chiesero ed ottennero dalla Corte di Madrid un decreto di espulsione degli Ebrei. “Gli Ebrei partirono recando seco le accresciute fortune, e il ricordo che la prima Bibbia Ebraica era stata stampata da una tipografia di Reggio Calabria. Dopo la loro partenza, la proficua speculazione della seta venne in mano dei Genovesi, e in piccola parte in mano dei Lucchesi3.
Da quel momento il Meridione fu oggetto di sfruttamento intensivo, e regredì ogni anno di più. Le maestranze ebree erano riuscite a perfezionare la lavorazione della seta e la tintura dei tessuti, che, per la loro preziosità, erano ricercati in tutta Europa, e avevano impinguato con i loro tributi le casse esauste delle università calabresi.

1 - G. Brasacchio, Storia economica della Calabria, Vol. 2, Chiaravalle Centrale, 1977, pp. 326- 327, passim.
2 - O. Dito, La storia calabrese e la dimora degli Ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, Cosenza, 1979, p. 213.
3 - B. Chimirri, Le relazioni politiche e commerciali fra la Liguria e la Calabria fin dai tempi della dominazione Sveva. In "Archivio storico della Calabria", Anno III, Oppido Mamertina (RC), 1992.


LA SETA DI REGGIO
Nino Calarco


Nel reggino, intorno al XIV sec., il mercato legato alla produzione della seta si affermò in modo estremamente rapido tanto che, in pochissimo tempo, divenne, quasi, l’unico prodotto di scambio della sua economia e così si mantenne per altri quattro secoli ancora per poi, nel XX sec., altrettanto rapidamente scomparire nell’arco di un solo decennio, senza quasi lasciare traccia.
Oggi rimane solo qualche rudere di filanda e qualche ricordo nella mente dei nostri nonni.
I bachi da seta furono importati in occidente dalla Cina in modo alquanto rocambolesco.
Intorno al 1533, con l'appoggio dell'imperatore di Bisanzio, due monaci bizantini che operavano in Cina, portarono a Costantinopoli le uova del baco nascoste dentro alcune canne di bambù.
Nel sud dell’Italia la seta venne introdotta, nel XII sec., da Ruggero II, re di Sicilia, con l'aiuto di artigiani fatti venire appositamente dalla Grecia.
Secondo alcuni studiosi si trattava, invece, di ben 15.000 prigionieri prelevati a Corinto e trascinati a Palermo, città che divenne uno dei principali centri per la fabbricazione della seta.
Nel reggino tutto lascia presupporre che l’arte della seta e del gelso sia stata introdotta dagli Ebrei, i quali giunsero a Reggio in due ondate diverse: la prima nel periodo successivo alla conquista di Gerusalemme da parte dei romani, la seconda al seguito dei Mori.
Gli Ebrei, quali abili maestri nell’arte del mercanteggiare e nella loro geniale industriosità, valorizzarono l’industria della seta e le attività ad essa connesse: allevamento del baco, coltivazione del gelso, fabbriche di tessuti, tintorie tra cui quella famosa dell'indaco, immessa sui mercati europei per la prima volta dai produttori reggini.
I tessuti serici prodotti a Reggio erano considerati tra i più pregiati. Rinomati erano quelli di Sambatello per la loro lucidità e resistenza alla trazione.
Grazie all’operosità degli Ebrei la città aveva un posto di rilievo nei traffici commerciali e lo stesso porto era, per questi motivi, frequentatissimo.
I commercianti di questa città, in massima parte ebrei, si accaparravano tutta la seta grezza, anticipando acconti ai produttori e saldando l'importo con uno sconto sulla tariffa fissata dall’università (l'odierno comune), il 22 luglio (detto Voce della Maddalena), .
Questi commercianti ebrei rivendevano la seta, quasi in regime di monopolio, nella fiera franca di agosto, direttamente ai mercanti Genovesi, Lucchesi e Veneziani.
Nel 1510 o 1511, gli ebrei vennero espulsi dalla città, si dice, ad opera dei mercanti Genovesi.
La tesi più accreditata è che i grossi proprietari locali, ritenendo di saper mercanteggiare anche loro e sperando di trarre gli stessi lauti guadagni degli Ebrei, fecero forti pressioni sul viceré, Raimondo di Cardona, il quale emise un ordine di espulsione per i cittadini ebrei di Reggio.
Ben presto, però, l’incapacità dei produttori, improvvisati commercianti, si fece sentire pesantemente: infatti la qualità dei prodotti dell’industria serica divennero scadenti e la quantità frammentata; sicché i grandi mercanti genovesi, lucchesi, pisani e veneziani furono costretti a rivolgere altrove la propria domanda.
Anche dopo la dipartita di questi grossi mercati, il commercio serico locale fu molto proficuo per chi lo esercitava sulla piazza ma le dimensioni, oramai, modeste e il porto cittadino poco attrezzato, non riuscì ad attirare più le navi straniere di grossa portata.
Messina, al contrario, aveva la sicurezza di un porto attrezzato, dove le navi di qualsiasi portata potevano fermarsi a lungo anche per lavori di raddobbo.
I grossi produttori reggini furono costretti, quindi, a ritrovarsi un nuovo mediatore al posto degli ebrei e rivolsero la loro offerta ai mercanti messinesi.
Quindi Messina diventò il porto di concentramento delle merci destinate a Reggio e di quelle che Reggio destinava all’esportazione.
A Reggio, in quel periodo, circolava una grande quantità di denaro anche se non aveva il grosso giro di mercato che, invece, possedeva Messina.
Infatti Reggio poteva esportare, quasi, soltanto seta in pagamento di ciò che importava e poiché non tutti accettavano il pagamento in seta, non poteva sfuggire alla pesante mediazione messinese che deteneva la chiave dell'esportazione.

2 commenti:

ariela fajrajzen ha detto...

Interessantissimo! Non ho finito la lettura "L'industria della seta" della seta ma tornerò più tardi a completare.
Complimenti e grazie, Ariela

Agazio Fraietta ha detto...

Mille grazie, Ariela!
Lo so, è da quando andavo alle elementari che maestri/professori ai miei temi commentavano sempre: "Ben fatto, ma quanta prolissità!".
Il fatto è che cerco sempre di svolgere un argomento il più ampiamente possibile, e non so mai quando fermarmi...
Comunque no problem: io, il post e tutto il blog siamo sempre qui!
:)