Cosenza, 16 aprile 2018
Convegno sul tema "Tu sei
il mio rifugio"
Di Domenica Sorrenti
Il
dialogo interreligioso tra Ebrei e Cristiani di varie denominazioni è oramai
avviato.
Grande
è stato il lavoro per tessere questo riavvicinamento dopo secoli e secoli di progressiva
estraneazione e polemica. Numerosi sono stati gli impegni per la ricerca dei tanti
punti di convergenza, di una maggiore reciproca conoscenza.
Le
tappe salienti di questo dialogo attivo da più di cinquant’anni hanno visto
credenti delle due fedi impegnati nella ricerca di amicizia e nella riscoperta
di valori condivisi in considerazione del fatto che il Cristianesimo è nato
dall’Ebraismo e dal comune fondamento nella stessa tradizione biblica.
Un
grande lavoro è stato fatto ancor prima dall’ebreo laico Jules Isaac,
professore di storia, ispettore generale del Ministero dell’Educazione
francese, rimosso dal suo ufficio ed espulso dal mondo della scuola a causa
delle leggi razziali promulgate dal Governo di Vichy
nel
1940. A motivo di diversi eventi tragici susseguitisi a danno suo e della sua
famiglia fu spinto a scavare nelle radici religiose dell’antisemitismo europeo.
Studiò il Nuovo Testamento e, nel suo libro “Gesù ed Israele”, mise in evidenza
la falsità storica dei pregiudizi, in particolare quello del popolo deicida
alla base dell’antigiudaismo cristiano, e riuscì a “dimostrare che
l’insegnamento del disprezzo degli ebrei nelle chiese è un
tradimento
della lettera e dello spirito dei Vangeli”.
Il
messaggio di Jules Isaac venne accolto da un gruppo di teologi e di studiosi di
varie confessioni, e lo scopo della sua vita divenne far conoscere Gesù agli
Ebrei ed Israele ai Cristiani, con la speranza di ottenere una necessaria
grande riforma del pensiero cristiano.
Nell’incontro
di Seelisberg nell’agosto del 1947, in una conferenza interconfessionale vennero
indicati i dieci punti che ancor oggi rappresentano la carta fondamentale del dialogo
ebraico-cristiano.
Nel
1948 si costituì il primo gruppo dell’associazione Amitié Judéo-chrétienne ed
in seguito questa esperienza non andò perduta ma pose le basi per la
costituzione dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana di Firenze a cui
aderirono numerose personalità e venne appoggiata anche da Giorgio La Pira,
sindaco della città toscana. Altri gruppi si costituirono abbracciando le
diverse confessioni cristiane.
Nel
1959, Giovanni XXIII ordinò la cancellazione dell’aggettivo che qualificava
“perfidi” gli Ebrei nella preghiera “Pro Judaeis” che veniva recitata durante
la liturgia solenne del Venerdì Santo. Questo spinse Isaac, direttore
dell’Associazione, a chiedere udienza a papa Giovanni XXIII, ottenendola anche
grazie alla comune amicizia con Maria Vingiani.
L’incontro,
dopo la consegna del dossier “Della necessità di una riforma dell’insegnamento cristiano
nei confronti d’Israele”, portò alla revisione dei principi teologici sui quali
si è basata per secoli l’ostilità tra le due religioni.
La
dichiarazione “Nostra Aetate”, promulgata il 28 Ottobre 1965 dal Concilio
Vaticano II sotto il pontificato di Paolo VI, ha inglobato i dieci punti di
Seelisberg, raccogliendo la sfida di rinnovare l’atteggiamento e la dottrina
della Chiesa verso gli Ebrei. La stessa è
considerata
una pietra miliare per aver segnato una svolta profonda nell’atteggiamento della
chiesa cattolica verso le religioni, in particolar modo nei rapporti e negli atteggiamenti
verso il popolo ebraico, permettendo ai gruppi di dialogo di prendere forza e di
presentarsi alla luce del sole.
Nell’aprile
del 1986 i rappresentanti di questi gruppi furono in prima fila durante la
storica visita di papa Giovanni Paolo II che venne accolto dal rabbino capo
Elio Toaff al Tempio Maggiore di Roma.
Il
28 settembre del 1989, la Commissione Ecumenica della Conferenza Episcopale
Italiana, presieduta dal vescovo di Livorno Alberto Ablondi, istituì la
giornata appositamente dedicata alla conoscenza del popolo ebraico, da
celebrarsi il 17 gennaio di ogni anno, alla vigilia della settimana riservata
alla preghiera per l’unità dei cristiani, volendo significare che il dialogo
tra ebrei e cristiani è una premessa necessaria e imprescindibile per il
dialogo ecumenico.
È
da sottolineare che “Nostra Aetate”, nel 1993, ha aperto la via all’instaurarsi
di piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele;
relazioni testimoniate più tardi dal viaggio di papa Giovanni Paolo II in
Israele nel 2000, principio di una nuova era per i rapporti tra cattolici ed
ebrei.
Al
Muro Occidentale di Gerusalemme, Giovanni Paolo II ha recitato questa
preghiera: “Dio dei nostri padri Tu hai scelto Abramo e la sua discendenza per
portare il Tuo nome alle nazioni. Noi siamo profondamente rattristati per il
comportamento di quanti nel corso della storia hanno causato molte sofferenze a
questi tuoi figli e mentre chiediamo il tuo perdono, vogliamo impegnarci in
un’autentica fraternità con il popolo dell’Alleanza”.
Nel
2002, con la costituzione del Comitato bilaterale tra il Gran Rabbinato di
Israele e la Santa Sede, che prevede conferenze annuali ed alternate a Roma e a
Gerusalemme, si è aperta una nuova pagina: durante gli incontri non si parla
delle differenze dottrinali ma vengono indagati i vari aspetti delle sfide
contemporanee con rispettive e sincere condivisioni dei valori fondamentali,
permettendo alla fraternità di uscirne rafforzata.
Papa
Benedetto XVI ha voluto ribadire che nessun ebreo può essere ritenuto
responsabile della crocifissione di Gesù, se non coloro che al tempo vi hanno
partecipato personalmente. Con “Nostra Aetate”, alla luce delle scritture
cristiane, si può affermare che l’elezione divina d’Israele chiamata dono di
Dio non è stata mai revocata, perché i doni e la chiamata di Dio sono senza
pentimento e, inoltre, nel medesimo testo c’è l’ingiunzione di non presentare
gli Ebrei come rifiutati o maledetti da Dio.
Papa
Francesco, nella sua Esortazione Apostolica, “Evangelii Gaudium” afferma che
Dio continua a lavorare con il Popolo dell’Antica Alleanza e a far fiorire
tesori di saggezza dal suo incontro con la Parola Divina. Ha riconosciuto
l’esistenza di una nuova pervasiva forma di antisemitismo quando ha detto ad
una delegazione del World Jewish Congress: “Attaccare gli Ebrei è
antisemitismo, ma anche gli attacchi diretti allo Stato di Israele sono antisemitismo.
Vi può essere disaccordo politico tra governi o su questioni politiche, ma lo Stato
d’Israele ha ogni diritto di esistere in sicurezza e prosperità”.
Durante
una visita in sinagoga, lo stesso papa Francesco ha affermato: “da nemici ed estranei
siamo diventati amici e fratelli. È mia speranza, che la mutua comprensione ed
il rispetto tra le nostre due comunità continuino a crescere. Stiamo entrando
in un’era di crescente mutuo rispetto e solidarietà tra i membri delle nostre
rispettive fedi”.
Con
queste premesse, nel 2018 si è arrivati alla XXIX giornata di dialogo tra Ebrei
e Cristiani, incontri che si sono svolti in diverse località italiane. Lunedì
16 Aprile, alle ore 17:00, a Cosenza, presso il Chiostro di San Domenico, per
il secondo anno consecutivo, si è svolto un convegno, organizzato dalla
Commissione Diocesana per il Dialogo e l’Ecumenismo locale e dal dottor Roque
Pugliese, consigliere della Comunità Ebraica di Napoli, referente per la
Calabria, avente come tema “Tu sei il mio rifugio”.
L’incontro
è stato moderato con grande saggezza da Pia Maria Grazia Morimanno la quale ha
portato i saluti della Commissione ad una platea attenta e numerosa ed ha
ripercorso le tappe salienti del dialogo intrapreso con i fratelli ebrei.
Dopo
l’intervento della moderatrice, il Dottor Roque Pugliese, intervenuto per la
parte istituzionale, ha portato i saluti del presidente della Comunità di
Napoli, Lydia Schapirer e si è dichiarato estremamente soddisfatto dei rapporti
di amicizia, comprensione e dialogo che si sono istaurati già da diverso tempo
con la comunità di Cosenza, aperta all’accoglienza, al rispetto ed alla
comprensione.
Il
tema della giornata prevedeva l’approfondimento del libro delle Lamentazioni,
scritto dal profeta Geremia ed il commento della prima parte è toccato a don
Dario De Paola, biblista, responsabile dell’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo
ed il Dialogo, il quale ha saputo magistralmente indagare, approfondire ed
esporre il contenuto dell’opera riguardante il dolore per la distruzione di
Gerusalemme da parte dei Babilonesi nel 586 a.C., in grande sintonia con il
pensiero ebraico.
La
seconda parte è stata presentata dal rabbino Gadi Piperno, responsabile del
progetto UCEI per il Meridione il quale, partendo dalla parola con cui inizia
il libro, Ekhà?, (Come mai?), ha spiegato, vocabolo per vocabolo, quanto il
pianto per la distruzione sia collegato al dramma iniziale, al peccato
dell’uomo che ha causato l’allontanamento da Dio, quell’uomo che lo stesso Dio
cerca di riavvicinare a sé, mentre alla fine il libro si conclude con una
preghiera, una richiesta di restaurazione: “Facci ritornare a te e noi
ritorneremo, ristabilisci i nostri giorni come in passato”…
Le
conclusioni della serata di approfondimento sono state affidate all’arcivescovo
metropolita dell’arcidiocesi Cosenza-Bisignano, monsignor Francesco Nolè che ha
saputo ben condensare i corposi interventi dei relatori ed ha osservato come il
lamento del popolo in cattività, diventato preghiera, sia andato oltre la
punizione, mentre viene riconosciuto che solo in Dio si acquieta l’anima
dell’uomo, quell’uomo che da Dio è stato creato e che a lui ritorna,
confessando le proprie colpe e le proprie debolezze. L’arcivescovo ha voluto ribadire
che da soli non si può fare nulla ma che tutto è possibile con fraternità,
semplicità e amicizia.
E
dopo queste parole rav Piperno ha voluto aggiungere un suo ulteriore pensiero:
“l’idea di prendere un passo della scrittura, di approfondirla insieme,
cristiani ed ebrei, è straordinaria perché serve ad individuare gli elementi
che accomunano, che fanno parte delle nostre radici e rappresentano un
messaggio di pace, una volontà di arricchimento per cui serve collaborare
insieme affinché il mondo possa essere migliorato”.
A
tutti oggi è richiesto un contributo per curare le ferite non ancora
rimarginate, per superare pregiudizi e stereotipi e nessuna differenza
dottrinale deve impedire il miglioramento delle vite di figli di Abramo.
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