Mas
allá del versículo
Derashah di rav Eliahu Birnbaum
“L’Eterno parlò ancora a Mosè, nel deserto di Sinai, nella tenda di
convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dell’uscita de’
figliuoli d’Israele dal paese d’Egitto, e disse:
"Fate la somma di tutta la radunanza de’ figliuoli d’Israele secondo
le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi di tutti i
maschi, uno per uno,dall’età di venti anni in su, tutti quelli che in Israele
possono andare alla guerra; tu ed Aaronne ne farete il censimento, secondo le
loro schiere. E con voi ci sarà un uomo per tribù, il capo della casa de’ suoi
padri..”
Numeri 1,1-5
Immagine dal sito Parsha Projects
Il quarto
libro della Torà, Bemidbar, il libro dei Numeri racconta la storia del popolo
di Israele nel suo cammino nel deserto, dal secondo anno dall’uscita
dall’Egitto fino al quarantesimo anno. Il libro dei Numeri è il libro della
Torà che risulta più vario rispetto al suo contenuto. Nei tre libri che lo
precedono è facile trovare un filo conduttore: il libro della Genesi è il libro
dei patriarchi e della loro storia, il libro dell’Esodo è il libro della
nascita del popolo ebraico, il Levitico è il libro dei sacrifici e della
santificazione. Il libro dei Numeri è composto da temi diversi e non ha un tema
centrale come i libri precedenti. Le dieci parashot del libro dei Numeri si
dividono in due: le prime cinque descrivono l’unificazione del popolo nel
deserto in un solo corpo organico, includendo i conflitti ed i confronti che
hanno accompagnato questo processo. La seconda parte del libro descrive il
cammino fino alla terra di Canaan, le difficoltà e gli ostacoli che il popolo
ha dovuto affrontare mentre si dirigeva verso la Terra Promessa.
Le
descrizioni che ci offre la nostra parashà sono quelle di un accampamento
ordinato ed organizzato in maniera esemplare. Ogni tribù era posizionata in una
zona fissa, intorno al simbolo della stessa tribù. Ogni tribù in definitiva si
accampava circondando il simbolo della stessa tribù. Questo ordine veniva
mantenuto mentre il popolo si spostava da un luogo ad un altro ed anche quando
si fermava nel deserto.
Parashat
Bemidbar sembra a prima vista includere solo aspetti amministrativi e
demografici, relativi all’ordinamento delle tribù, degli accampamenti, delle
famiglie e delle bandiere. Senza dubbio se osserviamo la parashà in profondità
dobbiamo scoprire che descrive un stadio significativo nel quale un popolo di
schiavi diventa un popolo di esseri liberi. La lettura della nostra parashà ci
isnegna come il popolo di Israele che poco tempo prima era uscito dalla
schiavitù verso la libertà, si organiza secondo i comandi Divini. Questi ordini
militari nelle loro caratteristiche vedo apparire in forma ricorrente parole
come bandiera, accampamento, esercito, soldati etc. Per organizzare gli
individui secondo un accampamento, Moshe instituì un racconto sulla base
dell’ordine divino, dato che era necessario sapere quale fosse il numero esatto
delle persone che possono far parte dell’esercito.
In questo
momento, due anni dopo l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto ed il dono della
Torà, era necessario organizzare un accampamento e formare un esercito popolare
e già durante il cammino verso la terra di Canaan, il popolo di Israele doveva
attraversare ampie zone desertiche, nelle quali abitavano tribù selvagge che
erano un grande pericolo per il popolo. Dovevano anche attraversare i confini
di terre abitate da popoli che non volevano farli passare. La marcia faticosa
nel deserto esigeva, a sua volta, speciali precauzioni, che permettessero al
popolo di portare a termine lo sforzo richiesto. Prima di tutto era necessario
che esistesse una disciplina rigida in modo che ogni persona non procedesse
secondo il proprio desiderio. La conclusione evidente è che fosse necessario
organizzare in forma esemplare il popolo di Israele e fare in modo che avesse
un esercito preparato per le tappe che avrebbero dovuto affrontare.
La
formazione dell’esercito rappresenta un momento significativo del processo
della nascita della nazione. All’inizio siamo stati testimoni dell’uscita
dall’Egitto, l’uscita fisica della schiavitù. Dopo l’Onnipotente ha donato la
Torà e le mitzvot al popolo sul monte Sinai ed in questo modo soffiò l’anima in
questo corpo liberato. In questo momento si ebbe la formazione dell’esercito
che doveva introdurre nel popolo il senso dell’ordine e della disciplina e che
anche doveva dare la sensazione della sicurezza di se stesso. All’inizio del
suo cammino, il popolo godette dell’aiuto miracoloso del Creatore. Durante
l’uscita dall’Egitto, il Creatore accompagna il popolo attraverso i Suoi
miracoli. Durante la guerra con Amalek, il popolo nemmeno lotta ma
l’Onnipotente lo aiuta attraverso i suoi miracoli. Solo dopo che il popolo ha
conosciuto il proprio destino sul Monte Sinai, nasce l’esercito che gli permetterà
di condurre una vita con maggiore autonomia.
Prima di
entrare in Eretz Israel, gli ebrei dovevano apprendere una lezione importante:
l’uomo non deve porre fiducia né dipendere solo dai miracoli. Senza dubbio, Dio
avrebbe continuato a dare il suo aiuto, però il popolo doveva essere disposto a
confrontarsi con tutti tipi di ostacoli che sarebbero apparsi sul suo cammino.
Un altro
degli obbiettivi che si hanno attraverso la formazione dell’esercito è la
cristallizzazione del popolo. Il popolo diventa un esercito e vive una
trasformazione significativa: da un accampamento di schiavi, nasce un esercito di
un popolo organizzato ed unito. La trasformazione del popolo in uno esercito
crea la collettività. L’individuo scompare con i suoi desideri particolari con
le sue aspirazioni, e relazioni familiari per convertirsi in una parte della
nazione.
Quando una
persona diventa parte di un esercito è disposta in un certo qual modo, a
rinunciare alla sua individualità per dedicarsi alla causa pubblica.,
trasformandosi in una parte della collettività.
Quando il
Rambam descrive la necessità della guerra e di un guerriero che diventa parte
del collettivo, afferma: “ Dopo che entra in relazione con la guerra, si
dedicherà a difendere il luogo e la sicurezza di Israele in un momento di
necessità e saprà che sta facendo la guerra in nome di Dio. Porrà la sua anima
nelle Sue mani e non avrà paura, e non tremerà e non penserà né alla sua sposa
né ai suoi figli, ma chiuderà tutti i ricordi nel suo cuore per diventare una
parte dell’esercito del popolo.” La persona che non può separarsi dai pensieri
circa la sua persona non può lottare come dovrebbe. La forza più potente si
relaziona con uno stesso istinto di sopravvivenza. Senza dubbio si richiede che
il combattente sia disposto a sacrificare la propria vita, le proprie
aspirazioni personali, le sue proprietà ed anche le sue relazioni familiari, di
fronte all’obbiettivo di diventare una parte dell’esercito del popolo.
Generalmente,
un esercito popolare si basa su due elementi centrali: le unità speciali, fatte
generalmente da volontari ed il resto del popolo. Lo sviluppo dei figli di
Israele del deserto non è volontario ma è un obbligo imposto dal governo.
L’esercito che si forma con l’inizio della vita del popolo di Israele nel
deserto, è un esercito popolare. Non si tratta di un esercito di mercenari, ma
di tutto il popolo. La caratteristica speciale di questo esercito è che per la
prima volta nasce un esercito del popolo, un esercito di tutto il popolo, di
tutti gli uomini tra i venti ed i sessanta anni di età. Tutti dovevano servire
in modo ugualitario.
Dal sito Morasha riporto questa
riflessione molto bella di rav Shlomo Riskin, che lega questa prima parashah del libro
di Bamidbar (Numeri) alla vicina festa di Shavuot (Pentecoste)
Traduzione a cura di DGB
Efrat, Israele - Per quanto posso ricordare,
l'ebraismo ortodosso è stato sempre percepito dalla maggior parte del mondo -
perfino dal mondo ortodosso stesso - come uno stile di vita conservatore,
protetto, antiquato, che non desidera assumersi dei rischi per affrontare
nuove sfide e che preferisce ritrarsi nel proprio guscio come una tartaruga.
Un commento midrashico alla parashà
di questa settimana, Bamidbar, sottolinea un aspetto genealogico riguardante
Nahshon, principe della tribù di Giuda, il quale rifiuta l'idea che un
esistenza conservatrice e priva di rischi sia un valore autentico della Torà.
Questo valore non può certo essere trovato in Nahshon , noto come l'uomo
coraggioso che ha rischiato la propria vita gettandosi nel Mar Rosso, quando
gli Ebrei fuggiaschi vi ci si trovarono, inseguiti dai carri egiziani; è stato
infatti solo dopo che egli ha dimostrato la sua forza d'animo e il suo coraggio
che il Signore ha fatto il passo successivo e compiuto il grande miracolo
della divisione del mare.
Il Midrash (riportato anche in B.T.
Bava Batra 91a) evidenzia il fatto che il coraggioso Nahshon aveva quattro
figli tra cui Elimelech, marito di Naomi, e Shalmon, padre di Boaz; Nahshon
pertanto era padre e zio di due importanti personaggi del Libro di Ruth che
leggiamo a Shavuot. Noi effettivamente non siamo soliti pensare al Libro di
Ruth come al 'libro di rischi ', ma ritengo che nel presentare un tale
genealogia, il Midrash voglia non solo sottolineare l'attitudine al rischio
che caratterizza questi discendenti di Nahshon, ma anche precisare quali tipi
di rischi sono considerati favorevolmente dalla Torà e quali no .
Il fatto è che il coraggio e l'attitudine
al rischio - oppure no - può essere comunque visto come un tema di fondo
dell'intero libro di Bamidbar. Il quarto libro della Torà riporta la storia
dei quaranta anni in cui gli Ebrei vagarono nel deserto. All'inizio del libro
non sappiamo ancora che il popolo sarebbe stato punito e costretto a vagare
per quaranta anni, ma alla fine è chiaro che il popolo ebraico aveva fallito
la sua prima importante prova. Quando le spie ritornarono con un rapporto
spaventoso sulla Terra Promessa e sulla possibilità di conquistarla [Numeri
13-14], gli Ebrei dimostrarono una totale mancanza di decisione, fede e
coraggio. Essi gemettero, tremarono, supplicarono di non continuare la
missione. A quanto pare si erano abituati alla vita salva e sicura nel deserto
- la manna che costituiva la loro razione quotidiana di cibo, una nuvola di
giorno e una colonna di fuoco la notte per dirigere il loro viaggio - per
rischiare l'ignoto rappresentato dalla conquista e dall'insediamento in
Israele.
La Torà tuttavia vuole che gli
Ebrei si comportino con coraggio, che facciano la prima mossa, coraggiosa e
magari pericolosa, concomitante con l'indipendenza e la responsabilità.
Nahshon alla riva del Mar Rosso brilla come l'antitesi alla codarda
generazione del deserto. Grazie alla sua fede e audacia, il popolo fu salvato.
Il Gaon di Vilna, infatti, sottolinea che la Torà descrive gli Ebrei che
entrarono inizialmente " in mezzo al mare all' asciutto " (Esodo
14:22), e dopo " all'asciutto in mezzo al mare" (ibid. 29). La
descrizione iniziale si riferisce a Nahshon e ai suoi seguaci, che rischiarono
le loro vite gettandosi nell'acqua turbolenta; D-o ha fatto un miracolo per
loro, dividendo le acque per ottenere terra asciutta e servendosene come un
muro (homà) sulla loro destra e sinistra. La seconda descrizione si riferisce
al resto degli ebrei che entrarono solo dopo che apparve la terra asciutta;per
loro le acque diventarono un muro - ma questa volta scritto senza la lettera
'vav' e può anche leggersi hemà, che significa rabbia.
La notevole capacità di Nahshon di
prendersi dei rischi - in contrasto con la maggior parte della generazione del
deserto- è stata trasmessa ai suoi figli e nipoti. Il Libro di Ruth, infatti,
termina con i nomi di dieci generazioni da Peretz (figlio di Giudà) al Re
David, e Nahshon appare proprio nel centro, la figura centrale tra l'età dei
patriarchi e la generazione del futuro messia del popolo ebraico. Ma mentre
Nahshon e Boaz sono lodati per la loro attitudine al rischio, Elimelech sembra
venir ripreso per la sua.
Quando una carestia terribile
discese su Betlemme in Giuda, la patria di Elimelech, egli fece i bagagli e
con la sua famiglia decise di iniziare una nuova vita nella terra di Moab.
Indubbiamente, questo gesto dimostrò il coraggio di Elimelech, la capacità di
rischiare l'ignoto in uno ambiente estraneo. Ma la sua motivazione era
l'avidità; egli rifiutava di condividere il suo patrimonio con uomini morenti
di fame e desiderava lasciare la sua patria e le sue radici ancestrali per
amor di ricchezza. Da qui la tragedia. Elimelech morì e i suoi figli-
logicamente- sposarono donne moabite. La sua progenie morì anch'essa , facendo
sì che Elimelech da un punto di vista ebraico abbia seminato e raccolto a Moab
solo l'oblio.
Boaz, invece, non lascia Betlemme
durante la carestia. E quando gli si presenta la possibilità di compiere un
atto d'amore e gentilezza per Naomi e di redimere la terra di Elimelech - così
come di sposare la straniera- convertita Ruth - Boaz lo fa, si assume
l'obbligo finanziario e prende su di sé il rischio sociale implicato nel
matrimonio. E il discendente da questa unione risulta essere nientemeno che Re
David, da cui parte la futura discendenza messianica.
Il rischio di Elimelech era basato
sull'avidità e implicava l'abbandono della sua terra e della sua
tradizione;finisce con la sua morte e distruzione. Il rischio di Boaz si
basava sull'amore e sull' affetto ed ebbe come risultato la redenzione. La
dialettica Elimelech - Boaz è il tema perenne del mondo ebraico. Il rischio è
positivo e perfino obbligatorio dal punto di vista ebraico. La domanda che ci
dobbiamo porre è la sua motivazione, perché è questa che determina il
risultato.
Shabbat Shalom!