Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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domenica 6 maggio 2018

Cosenza, 16 aprile 2018: dialogo ebraico-cristianoo


Incontro per il dialogo tra Ebrei e Cristiani
Cosenza, 16 aprile 2018
Convegno sul tema "Tu sei il mio rifugio"

Di Domenica Sorrenti

Il dialogo interreligioso tra Ebrei e Cristiani di varie denominazioni è oramai avviato.
Grande è stato il lavoro per tessere questo riavvicinamento dopo secoli e secoli di progressiva estraneazione e polemica. Numerosi sono stati gli impegni per la ricerca dei tanti punti di convergenza, di una maggiore reciproca conoscenza.
Le tappe salienti di questo dialogo attivo da più di cinquant’anni hanno visto credenti delle due fedi impegnati nella ricerca di amicizia e nella riscoperta di valori condivisi in considerazione del fatto che il Cristianesimo è nato dall’Ebraismo e dal comune fondamento nella stessa tradizione biblica.
Un grande lavoro è stato fatto ancor prima dall’ebreo laico Jules Isaac, professore di storia, ispettore generale del Ministero dell’Educazione francese, rimosso dal suo ufficio ed espulso dal mondo della scuola a causa delle leggi razziali promulgate dal Governo di Vichy
nel 1940. A motivo di diversi eventi tragici susseguitisi a danno suo e della sua famiglia fu spinto a scavare nelle radici religiose dell’antisemitismo europeo. Studiò il Nuovo Testamento e, nel suo libro “Gesù ed Israele”, mise in evidenza la falsità storica dei pregiudizi, in particolare quello del popolo deicida alla base dell’antigiudaismo cristiano, e riuscì a “dimostrare che l’insegnamento del disprezzo degli ebrei nelle chiese è un
tradimento della lettera e dello spirito dei Vangeli”.
Il messaggio di Jules Isaac venne accolto da un gruppo di teologi e di studiosi di varie confessioni, e lo scopo della sua vita divenne far conoscere Gesù agli Ebrei ed Israele ai Cristiani, con la speranza di ottenere una necessaria grande riforma del pensiero cristiano.
Nell’incontro di Seelisberg nell’agosto del 1947, in una conferenza interconfessionale vennero indicati i dieci punti che ancor oggi rappresentano la carta fondamentale del dialogo ebraico-cristiano.
Nel 1948 si costituì il primo gruppo dell’associazione Amitié Judéo-chrétienne ed in seguito questa esperienza non andò perduta ma pose le basi per la costituzione dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana di Firenze a cui aderirono numerose personalità e venne appoggiata anche da Giorgio La Pira, sindaco della città toscana. Altri gruppi si costituirono abbracciando le diverse confessioni cristiane.
Nel 1959, Giovanni XXIII ordinò la cancellazione dell’aggettivo che qualificava “perfidi” gli Ebrei nella preghiera “Pro Judaeis” che veniva recitata durante la liturgia solenne del Venerdì Santo. Questo spinse Isaac, direttore dell’Associazione, a chiedere udienza a papa Giovanni XXIII, ottenendola anche grazie alla comune amicizia con Maria Vingiani.
L’incontro, dopo la consegna del dossier “Della necessità di una riforma dell’insegnamento cristiano nei confronti d’Israele”, portò alla revisione dei principi teologici sui quali si è basata per secoli l’ostilità tra le due religioni.
La dichiarazione “Nostra Aetate”, promulgata il 28 Ottobre 1965 dal Concilio Vaticano II sotto il pontificato di Paolo VI, ha inglobato i dieci punti di Seelisberg, raccogliendo la sfida di rinnovare l’atteggiamento e la dottrina della Chiesa verso gli Ebrei. La stessa è
considerata una pietra miliare per aver segnato una svolta profonda nell’atteggiamento della chiesa cattolica verso le religioni, in particolar modo nei rapporti e negli atteggiamenti verso il popolo ebraico, permettendo ai gruppi di dialogo di prendere forza e di presentarsi alla luce del sole.
Nell’aprile del 1986 i rappresentanti di questi gruppi furono in prima fila durante la storica visita di papa Giovanni Paolo II che venne accolto dal rabbino capo Elio Toaff al Tempio Maggiore di Roma.
Il 28 settembre del 1989, la Commissione Ecumenica della Conferenza Episcopale Italiana, presieduta dal vescovo di Livorno Alberto Ablondi, istituì la giornata appositamente dedicata alla conoscenza del popolo ebraico, da celebrarsi il 17 gennaio di ogni anno, alla vigilia della settimana riservata alla preghiera per l’unità dei cristiani, volendo significare che il dialogo tra ebrei e cristiani è una premessa necessaria e imprescindibile per il dialogo ecumenico.
È da sottolineare che “Nostra Aetate”, nel 1993, ha aperto la via all’instaurarsi di piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele; relazioni testimoniate più tardi dal viaggio di papa Giovanni Paolo II in Israele nel 2000, principio di una nuova era per i rapporti tra cattolici ed ebrei.
Al Muro Occidentale di Gerusalemme, Giovanni Paolo II ha recitato questa preghiera: “Dio dei nostri padri Tu hai scelto Abramo e la sua discendenza per portare il Tuo nome alle nazioni. Noi siamo profondamente rattristati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno causato molte sofferenze a questi tuoi figli e mentre chiediamo il tuo perdono, vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’Alleanza”.
Nel 2002, con la costituzione del Comitato bilaterale tra il Gran Rabbinato di Israele e la Santa Sede, che prevede conferenze annuali ed alternate a Roma e a Gerusalemme, si è aperta una nuova pagina: durante gli incontri non si parla delle differenze dottrinali ma vengono indagati i vari aspetti delle sfide contemporanee con rispettive e sincere condivisioni dei valori fondamentali, permettendo alla fraternità di uscirne rafforzata.
Papa Benedetto XVI ha voluto ribadire che nessun ebreo può essere ritenuto responsabile della crocifissione di Gesù, se non coloro che al tempo vi hanno partecipato personalmente. Con “Nostra Aetate”, alla luce delle scritture cristiane, si può affermare che l’elezione divina d’Israele chiamata dono di Dio non è stata mai revocata, perché i doni e la chiamata di Dio sono senza pentimento e, inoltre, nel medesimo testo c’è l’ingiunzione di non presentare gli Ebrei come rifiutati o maledetti da Dio.
Papa Francesco, nella sua Esortazione Apostolica, “Evangelii Gaudium” afferma che Dio continua a lavorare con il Popolo dell’Antica Alleanza e a far fiorire tesori di saggezza dal suo incontro con la Parola Divina. Ha riconosciuto l’esistenza di una nuova pervasiva forma di antisemitismo quando ha detto ad una delegazione del World Jewish Congress: “Attaccare gli Ebrei è antisemitismo, ma anche gli attacchi diretti allo Stato di Israele sono antisemitismo. Vi può essere disaccordo politico tra governi o su questioni politiche, ma lo Stato d’Israele ha ogni diritto di esistere in sicurezza e prosperità”.
Durante una visita in sinagoga, lo stesso papa Francesco ha affermato: “da nemici ed estranei siamo diventati amici e fratelli. È mia speranza, che la mutua comprensione ed il rispetto tra le nostre due comunità continuino a crescere. Stiamo entrando in un’era di crescente mutuo rispetto e solidarietà tra i membri delle nostre rispettive fedi”.
Con queste premesse, nel 2018 si è arrivati alla XXIX giornata di dialogo tra Ebrei e Cristiani, incontri che si sono svolti in diverse località italiane. Lunedì 16 Aprile, alle ore 17:00, a Cosenza, presso il Chiostro di San Domenico, per il secondo anno consecutivo, si è svolto un convegno, organizzato dalla Commissione Diocesana per il Dialogo e l’Ecumenismo locale e dal dottor Roque Pugliese, consigliere della Comunità Ebraica di Napoli, referente per la Calabria, avente come tema “Tu sei il mio rifugio”.
L’incontro è stato moderato con grande saggezza da Pia Maria Grazia Morimanno la quale ha portato i saluti della Commissione ad una platea attenta e numerosa ed ha ripercorso le tappe salienti del dialogo intrapreso con i fratelli ebrei.
Dopo l’intervento della moderatrice, il Dottor Roque Pugliese, intervenuto per la parte istituzionale, ha portato i saluti del presidente della Comunità di Napoli, Lydia Schapirer e si è dichiarato estremamente soddisfatto dei rapporti di amicizia, comprensione e dialogo che si sono istaurati già da diverso tempo con la comunità di Cosenza, aperta all’accoglienza, al rispetto ed alla comprensione.
Il tema della giornata prevedeva l’approfondimento del libro delle Lamentazioni, scritto dal profeta Geremia ed il commento della prima parte è toccato a don Dario De Paola, biblista, responsabile dell’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo ed il Dialogo, il quale ha saputo magistralmente indagare, approfondire ed esporre il contenuto dell’opera riguardante il dolore per la distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi nel 586 a.C., in grande sintonia con il pensiero ebraico.
La seconda parte è stata presentata dal rabbino Gadi Piperno, responsabile del progetto UCEI per il Meridione il quale, partendo dalla parola con cui inizia il libro, Ekhà?, (Come mai?), ha spiegato, vocabolo per vocabolo, quanto il pianto per la distruzione sia collegato al dramma iniziale, al peccato dell’uomo che ha causato l’allontanamento da Dio, quell’uomo che lo stesso Dio cerca di riavvicinare a sé, mentre alla fine il libro si conclude con una preghiera, una richiesta di restaurazione: “Facci ritornare a te e noi ritorneremo, ristabilisci i nostri giorni come in passato”…
Le conclusioni della serata di approfondimento sono state affidate all’arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi Cosenza-Bisignano, monsignor Francesco Nolè che ha saputo ben condensare i corposi interventi dei relatori ed ha osservato come il lamento del popolo in cattività, diventato preghiera, sia andato oltre la punizione, mentre viene riconosciuto che solo in Dio si acquieta l’anima dell’uomo, quell’uomo che da Dio è stato creato e che a lui ritorna, confessando le proprie colpe e le proprie debolezze. L’arcivescovo ha voluto ribadire che da soli non si può fare nulla ma che tutto è possibile con fraternità, semplicità e amicizia.
E dopo queste parole rav Piperno ha voluto aggiungere un suo ulteriore pensiero: “l’idea di prendere un passo della scrittura, di approfondirla insieme, cristiani ed ebrei, è straordinaria perché serve ad individuare gli elementi che accomunano, che fanno parte delle nostre radici e rappresentano un messaggio di pace, una volontà di arricchimento per cui serve collaborare insieme affinché il mondo possa essere migliorato”.
A tutti oggi è richiesto un contributo per curare le ferite non ancora rimarginate, per superare pregiudizi e stereotipi e nessuna differenza dottrinale deve impedire il miglioramento delle vite di figli di Abramo.

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