In questo mio blog molto raramente affronto temi direttamente politici.
Avverto però il bisogno di esprimere la mia indignazione contro la "marchiatura" che l'Unione europea impone ai prodotti israeliani provenienti da Giudea e Samaria (la cosiddetta West Bank o Cisgiordania).
Anche ammesso che si tratti di territori occupati e non contesi, quali realmente sono; anche trascurando il fatto che a pagarne le maggiori conseguenze saranno i dipendenti palestinesi delle aziende boicottate; anche considerando che il danno economico per Israele sarà minimo, in quanto le esportazioni provenienti da queste aree sono solo l'1% dell'export israeliano, resta la vergogna di una Unione europea che applica questa misura solo ad Israele.
Sono 200 le aree disputate, e ancora di più i territori occupati: perché non "marchiare" anche i prodotti del Sahara ex spagnolo occupato dal Marocco? o di Cipro Nord, occupato dalla Turchia? del Tibet sotto occupazione cinese? per non parlare dei paesi in cui i diritti civili sono negati a donne, omosessuali, stranieri, minoranze religiose o etniche (Arabia Saudita, Iran, ecc. ecc.)? O Libano, Kuwait e altri paesi "fratelli" che negano i diritti dei palestinesi e praticano nei loro confronti una vera apartheid?
Intanto, come misura concreta di sostegno ai lavoratori (israeliani e palestinesi; ebrei, cristiani, musulmani e drusi) di queste aree, voglio proporvi e invitarvi ad acquistare gli ottimi vini del Golan.
A Roma e Milano è possibile farlo nei negozi kasher, per chi invece ha difficoltà a raggiungerli, è possibile fare acquisti su questo sito, che offre sconti e assicura la consegna in 48 ore:
Calabria judaica - Sud ebraico
Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione
Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; attraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; attraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.
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giovedì 12 novembre 2015
L a Bibbia e le sue traduzioni - Le versioni antiche
Nel quadro delle iniziative del Centro di Studi Ebraici
dell'Università Orientale di Napoli,
si svolgerà, dal 19 novembre 2015 al 21 gennaio 2016,
il primo seminario dedicato al tema
"La Bibbia e le sue traduzioni", a cura della professoressa Dora Hartman,
dedicato alle versioni antiche.
dell'Università Orientale di Napoli,
si svolgerà, dal 19 novembre 2015 al 21 gennaio 2016,
il primo seminario dedicato al tema
"La Bibbia e le sue traduzioni", a cura della professoressa Dora Hartman,
dedicato alle versioni antiche.
"Mio cognato Mastrovaknich" a Ferramonti di Tarsia, kibbutz calabrese
Purtroppo ho saputo tardi dell’evento, e quindi ne posso
parlare solo ora che è finito. Un vero peccato, perché mi sembra uno spettacolo davvero
molto interessante.
"Mio cognato Mastrovaknich" a Ferramonti di Tarsia, kibbutz calabrese
"Mio cognato Mastrovaknich" a Ferramonti di Tarsia, kibbutz calabrese
di
Eva Catizone, 9 novembre 2015
Mio
cognato Mastrovaknich. Preziosa produzione calabrese da un testo di Ciro Lenti, per la regia di Adriana Toman. Una quasi rarità, a differenza del
cinema, la regia teatrale d’una donna in un mondo a prevalenza maschile: il
teatro dove, come per i direttori d’orchestra o gli aviatori, la presenza
femminile solitamente si limita all’essere attrici. E un tema di straordinaria
attualità: la paura, se non il terrore della diversità. Nei giorni del
protagonismo mediatico delle imbarazzanti frasi del presidente della Fgci Tavecchio contro ebrei e gay, in Calabria, a
Cosenza, prima al Piccolo Teatro dell’Unical poi nella location da teatro sperimentale dell’Acquario, la
storia d’una detenzione nel campo d’internamento
di Ferramonti.
1943, Mastrovaknich è un professore polacco (nei suoi panni Paolo Mauro, brillante attore di Rossosimona), un intellettuale gay che per fuggire alle persecuzioni naziste si fa internare nel campo di Ferramonti, per lui prigione di salvezza. Qui s’imbatte in Uccio (Marco Silani), un giovane fabbro del luogo condannato per reati comuni e rinchiuso per errore nella baracca degli omosessuali. Un qui pro quo da cui scaturiranno situazioni grottesche per i pregiudizi di Uccio, di cultura rurale.
Fuori dalla Calabria pochi sanno
che in un piccolo paese 40 km a nord di Cosenza, a Ferramonti di Tarsia,
lungo la valle del Crati, ci fu un campo d’internamento per ebrei realizzato
nel 1940 dal regime fascista. Certo non fu il lager di Ravensbrück, a
nord di Berlino, in cui l’orrore nazista si declinò in una shoah femminile:
l’unico campo destinato a sole donne cui la scrittrice/giornalista Sarah
Helm ha recentemente dedicato, parafrasando Primo Levi, il suo If
this is a Woman, che nella traduzione italiana per Newton Compton è
diventato, parafrasando Wenders, Il cielo sopra l’inferno. Ma fu
comunque il campo di concentramento per ebrei più grande costruito in Italia,
il primo ad essere liberato e l’ultimo ad essere chiuso.Per lo storico ebreo
inglese Jonathan Steinberg “il più grande kibbutz del continente europeo”
dove vennero rinchiusi ebrei, apolidi, slavi, medici (tra cui il candidato
Nobel David Mel), atleti, pittori, musicisti come Oscar Klein, fra i più
importanti trombettisti jazz e swing al mondo. Non un campo di sterminio ma un
luogo di prigionia che conservò tracce d’umanità con una presenza di oltre
2mila persone; non un inferno di viventi come rende bene il testo di
Lenti. Qui le famiglie non venivano divise al loro ingresso come nei campi
nazisti e tuttavia, come in tutti i campi di concentramento, ognuno aveva un
segno distintivo: per gli ebrei la stella gialla, un triangolo rosa per gli
omosessuali di sesso maschile. Uno sterminio omesso dalla comunicazione
storico-istituzionale, un argomento invisibile per anni di cui non s’è parlato,
che questa pièce mette garbatamente in scena.
Del resto, non s’è parlato
neanche di Pasolini per tanto tempo. Ci sono voluti 40 anni dalla morte su
quella spiaggia del litorale romano per affrontare serenamente (e neanche)
l’argomento. Sensibilità della regista e professionalità fanno sì che
protagonisti siano i sentimenti: la solidarietà, il senso della famiglia nei
dialoghi, l’altruismo di Uccio nel finale.
Non solo uno spettacolo teatrale Mio
cognato Mastrovaknich. Un modo diverso di coniugare arte & sociale
giacché qui s’è verificata una felice intesa tra associazioni. La produzione
nasce dall’incontro tra l’asso culturale Arciere in collaborazione con la
Fondazione Lilli Funaro, nel nome d’una dolce ragazza cosentina dallo sguardo
sorridente andata via troppo presto, impegnata a valorizzare i giovani
calabresi nel campo artistico e della ricerca che devolverà l’incasso a
sostegno della lotta contro il cancro. Uno spettacolo, patrocinato da Arcigay
Calabria e apprezzato dalla collettività Lgbtqi, promosso nella sua serata
cosentina da What Women Want, la Calabria vista dalle donne, vivace think
tank spontaneamente nato in rete che si spende per l’impegno delle energie
femminili, calabresi e non.
Lo spaccato d’una Calabria ricca
di risorse, talenti, creatività, generosità verso l’Altro, non racchiusa nella
propria nicchia ma capace di tessere reti, costruire connessioni sentimentali
tra individui e territorio. E l’augurio che questa produzione possa varcare i
confini regionali per meritati palcoscenici nazionali capaci di far capire,
altrove, che la Calabria è decisamente altro.
giovedì 15 ottobre 2015
Noach 5776
Parashat Noach: BeReshit (Genesi) 6,9-11,32
Haftarah:Isaia 54,1-10 (sef);
Isaia 54,1-55,5 (it)
Isaia 54,1-55,5 (it)
Da Chabad.org
Da Anousim Italia
Noach
in breve Genesi
6:9-11:32
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I compagni di viaggio, il corvo e la
colomba
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È interessante soffermarsi anche sul linguaggio
e sullo stile del midrash
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Nonostante il fatto che Noach era un
uomo giusto, egli esce dall’arca con una ferita
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Il ritorno al mondo della realtà può
sembrare una discesa verso un livello inferiore
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Sono le parole delle nostre tefillòt e
della Torà che studiamo, che sono inalzate al di sopra delle acque
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Non ha visto il cartello? Vuole fare
l’eroe? – o passare immediatamente all’azione e tentare di salvarlo?
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Rav Yirmia bar Elazar insegna che
c’erano tre gruppi, ognuno dei quali aveva progetti diversi per la torre
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Gli anni migliori sono quelli
dell’infanzia e della prima gioventù, quando non sentiamo ancora il peso
delle responsabilità che incombono sugli adulti
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Se non vogliamo affogare nelle grandi
acque del mondo, l'unico modo è entrare nella Tevà
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Se l’immagine riflessa del viso non è
pulita, significa che il nostro stesso viso non è pulito
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Andrebbe compreso il motivo per cui
potendo interpretare le parole 'nelle sue generazioni' a favore di Noach,
alcuni saggi ne suggeriscono l’interpretazione in un modo che dipinge Noach
come una persona imperfetta
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Sapreste condurre la vostra arca a buon
porto? Potremmo essere tentati ad alzare le braccia dallo scoraggiamento, a
rifiutare di partecipare alla ricostruzione di un mondo nel quale certe
ingiustizie e certe iniquità sono insopportabili
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Ciò che minaccia lo spirito raramente è
palese e, alle volte, non è nemmeno avvertibile, è un male insidioso
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L’alluvione biblica rappresentava la
metamorfosi essenziale alla realizzazione dell’obiettivo della Creazione
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Ibn Ezra cita anche un’altra opinione
secondo la quale avrei costruito più di un'Arca, ovvero un'intera flotta
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Solo chi ha subito il danno può
raddrizzare la situazione; solo chi ha sofferto in prima persona ha il
diritto di perdonare
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Da Anousim Italia
Parashat Noach, Rav Pierpaolo Pinchas Punturello
È
famoso il confronto che fa Rashi tra Noè ed Abramo giocando con le parole del
versetto che presenta Noè come “giusto nella sua generazione” ( Genesi 6, 9)
cosa che può essere interpretata a suo favore, come giusto nonostante la
corruzione della sua generazione pre-diluvio o giusto relativamente alla sua generazione,
poiché se Noè fosse vissuto ai tempi di Abramo non sarebbe stato considerato
giusto.
Per
avallare questa seconda ipotesi, la grande commentatrice Nechama Leibovitz
propone un confronto tra i versetti in Genesi 6, 9 che ci descrivono Noè che
“procedeva con Dio” ed i versetti in Genesi 17, 1 che ci raccontano che Abramo
procedeva davanti a Dio, “Procedi davanti a me” dice l’Eterno a nostro padre
Abramo.
In
genere i commentatori si fermano a questo confronto, definendo in maniera
chiara che Noè è il padre dell’umanità dopo il nuovo inizio post diluvio,
mentre Abramo, colui che procede davanti a Dio, ha avuto il merito di essere il
padre del popolo ebraico. Eppure in questo procedere davanti a Dio, l’ebraismo
offre al mondo una riflessione profonda.
La
storia dei popoli che si sono arrogati il diritto di essere portavoce della
volontà divina è piena di richiami al fatto che Dio fosse con loro ed in nome
di questa certezza sono stati perpetuati massacri di uomini, donne e bambini.
Lo
hanno detto i Crociati, i missionari in Sud America ed in Africa, lo hanno
detto i bianchi americani incontrando i nativi pellerossa, lo hanno detto i
cosacchi durante i pogrom, lo hanno detto i nazisti (“Gott mit uns”), lo hanno detto i fascisti di Salò ed oggi lo
affermano in molto mondo islamico estremista.
Dio
è con me, quindi posso fare tutto, perché lo faccio in nome di Dio. Il
messaggio della Torà è significativamente diverso. Nostro padre Abramo non
aveva Dio con lui, procedeva davanti a Dio, ovvero portava il messaggio di Dio
prima di ogni altra cosa, preparando il terreno morale, spirituale ed etico
affinché Dio venisse compreso ed accettato. Perché se si ha la pretesa che Dio
sia con noi, perdiamo di vista il senso della nostra responsabilità umana
nell’agire per Dio e davanti a Dio, perdiamo il senso di una giustizia
condivisa, del rispetto reciproco e ci arrocchiamo, pericolosamente armati,
sull’idea che tutto ci è permesso, perché Lui è con noi.
Ma
la realtà della Torà dice all’uomo che si riconosce in quanto figlio di Abramo
che lui deve essere davanti a Dio, ambasciatore di Dio, con Dio che lo benedice
alle spalle e che guarda al suo giusto operato, non lo assolve dal compiere il
male. Perché il male non può mai avere l’idea di Dio come propria
giustificazione.
Da Torah.it
♫ L’haftarà di Noah con Berachot cantata da Rav Nello Pavoncello
Dopo averci descritto come avvenne
la creazione del mondo per opera di Dio, la Bibbia si volge subito alle vicende
dell'uomo, di quell'uomo che, essendo scopo principale della creazione, avrebbe
dovuto imprimere ad essa il suggello della sua nobiltà. E qui comincia subito
il dramma della vita umana: l'uomo che era stato creato da Dio perché
coltivasse e conservasse le delizie del giardino terrestre, l'uomo che era
stato creato per il bene e per il culto delle cose belle e vere, si allontana
presto dalla sua originaria destinazione e cade facilmente nella colpa e nel
peccato.
La Bibbia ci descrive come questa
caduta avvenga quasi per un lento e fatale abbandono alle passioni, agli
istinti e alle seduzioni, sì da coinvolgere a poco a poco tutta l'umanità di
allora; anzi col progressivo aumentare di questa, aumentano le colpe, colpe di
violenza, di rapina e di depravazione, sicché l'uomo, questo tipo d'uomo,
creato da Dio, scende al più basso livello della vita morale e Iddio, che non
riconosce più in lui l'opera delle Sue mani, ma che anzi vede in lui il
distruttore dei fini della creazione, giudica quest'umanità peccatrice degna
della totale distruzione. La storia del mondo si apre così - dopo poche
generazioni col racconto delle colpe degli uomini e delle conseguenti sanzioni
punitrici, cioè con quelle linee e con quei motivi che saranno destinati a
rimanere come i più costanti nella vita del genere umano, attraverso i secoli,
fino ad oggi. Certo quell'umanità così lontana e remota da noi, doveva essere
molto diversa da questa nostra per caratteristiche fisiche, per condizioni
climatiche, per diversità di ambienti, per attitudine di vita; e, forse, anche
in queste diverse condizioni sta la ragione della straordinaria diversità del
castigo che doveva colpire quei lontani capostipiti del genere umano; ma in
mezzo a tante diversità, una cosa resta immutata ed eguale per gli uomini di
ora e di allora: la tendenza al peccare, la facilità, direi, dì lasciarsi
travolgere nella colpa fino alle più fatali conseguenze.
È questo aspetto che dà subito ai
racconti biblici un'impronta di umanità e di attualità che ce li rende vicini e
ce ne fà sentire l'eterno valore.
E dunque, con sì funesti presagi e
con una colorazione così pessimistica che si inaugura il racconto delle vicende
umane sulla terra? No. A chi legga con attenzione la Bibbia, a chi sappia
approfondirne il senso, questa impressione sembrerà senza dubbio affrettata e
inconsistente. Insieme al primo annuncio della prossima distruzione
dell'umanità, v'è anche quello della sua salvezza; la storia del diluvio si
apre con quella di Noè: il diluvio questo grande immenso uragano distruttore è
anzi annunciato per primo a Noè. Si direbbe che in tutto il triste succedersi
degli avvenimenti che porteranno al diluvio, è piuttosto la figura di Noè e il
fatto della sua salvezza che si impongono sul primo piano del racconto, più
ancora del cataclisma destinato a travolgere la terra peccatrice. E questo
sembra lo scopo della Torà quando inizia la Parashà del diluvio con le parole:
"Noè era un uomo giusto, integro egli era in mezzo alla sua
generazione" (Genesi VI, 9).
Noè è e resterà il prototipo del
giusto anche per le età successive, e "il giusto è sostegno del
mondo" (Proverbi X, 25).
L'umanità è punita, ma l'umanità
sarà salva per quel giusto; qui siamo dinanzi all'umanità senz'altro
appellativo, e pure qui sono già affermati in pieno quei principi, quelle
verità che l'Ebraismo più tardi proclamerà non come sue ma come patrimonio di tutti
gli uomini. Che il giusto, a qualunque terra o qualunque popolo appartenga, abbia
il suo gran peso nell'economia morale del mondo, è una verità che l'Ebraismo
non si stancherà mai di ripetere; e questa stessa verità viene qui non solo
enunciata teoricamente, ma, ciò che vale assai più, viene applicata
praticamente rispetto alla Divina universale giustizia. Noè è lo
"Zaddiq" per i meriti del quale l'umanità è degna di rinascere, è
l'uomo che può far rifiorire una nuova semenza di vita, è l'uomo che può anzi
che dovrà far rinascere la vita su nuove basi; da lui, dallo
"Zaddiq"avrà origine una nuova umanità. Non importa se i più grandi
cataclismi distruttori si abbatteranno sull'umanità peccatrice: il diluvio
universale o qualsiasi altro castigo potranno cancellare dalla faccia della
terra gli uomini e le genti che hanno violato la legge di Dio, ma anche in
mezzo alle più fitte tenebre, un raggio di luce potrà ancora illuminare il
mondo.
Da esso come dalla luce del primo
giorno potrà rinascere la nuova vita e la nuova umanità; quel raggio - segno
visibile dello spirito - potrà sempre accrescersi e dilatarsi fino a solcare
l'intero Cielo e abbracciare la sottostante terra, come l'arco iridescente
della divina promessa che risplende luminoso sulle fatiche e sugli affanni
degli uomini.
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