Come abbiamo
visto nel precedente post LINK accanto alla festa di Purim celebrata da tutti
gli ebrei, esistono innumerevoli Purim locali, particolare ed anche famigliari.
Diamo un’occhiata
a qualcuno di questi Purim che ci riguardano più da vicino: Oria, Siracusa e Roma.
Il Purim di Oria
Da Chabad Roma
La storia si svolge nel Salento, all’epoca denominato Calabria.
Oria (BR): la Porta degli EbreiImmagine da Wikipedia
Nella città di Oria in Calabria - regione nota agli ebrei per i
suoi etroghìm (Cedri) - viveva circa un millennio fa una cospicua famiglia
ebraica, che diede per molti anni rabbini e capi alla locale
Forse non ci sarebbe giunta alcuna notizia di questa famiglia e di
questa comunità, se per fortuna un suo discendente non si fosse preso la briga
di narrarne la storia in un libro. L'autore si chiama Ahimaàz ben Paltièl e
scrisse le sue cronache nel 4814 (1054). Queste raccontano la storia degli eminenti
antenati dell'autore per otto generazioni, a cominciare da Rabbì Shefatià: tra
gli altri, di Rabbl Hananèl, suo fratello, di Rabbì Amittai (figlio di
Shefatià), di Rabbì Paltièl (nipote di Shefatià) e di Rabbì Shemuèl (figlio di
Paltièl).
L'autore era un pronipote del menzionato Rabbì Hananèl, che è
l’eroe dell'interessante episodio qui riportato.
Rabbì Hananèl era un grande maestro della Torà, molto rispettato
non solo dalla comunità ebraica, di cui egli era il capo, ma anche dai non
ebrei. Lo stesso Governatore della provincia trattava Rabbì Hananèl con molto
riguardo c lo stimava molto. Egli faceva spesso visita al Rabbino o lo invitava
nella propria residenza per discutere con lui questioni di religione. Il
Governatore nutriva la segreta speranza che un giorno o l'altro egli avrebbe
potuto in qualche modo persuadere o obbligare Rabbì Hananèl a riconoscere la
superiorità della religione cristiana. Ma in tutte le discussioni il
Governatore aveva di solito la peggio e le sue speranze venivano ogni volta
deluse. Ma non per questo egli vi voleva rinunciare. Rabbì Hananèl, d'altro
canto, faceva di tutto per evitare questi incontri e queste discussioni, che
gli portavano via del tempo prezioso; ma non poteva troncarli, perché il
Governatore era un personaggio molto potente, da cui dipendevano le sorti della
comunità ebraica.
Avvenne così che durante una di queste discussioni il Governatore
affrontò l'argomento del calendario ebraico. Egli chiese al Rabbino se era in
grado di calcolare e di dirgli quando sarebbe caduto il prossimo molàd il
momento in cui la nuova luna appariva nel cielo. Il Governatore si era già
preso la pena di calcolarlo per conto proprio, poiché egli era un provetto
matematico ed astronomo.
Mancavano ancora parecchi giorni per il molàd ed il Rabbino non
aveva ancora avuto il tempo di determinarlo (non c'erano naturalmente calendari
stampati, a quell'epoca) Rabbì Hananèl fece un rapido calcolo e, senza poterne
controllare il risultato, disse l'ora ed il minuto del prossimo molàd .
Il Governatore fu ben felice di vedere che questa volta Rabbì
Hananèl era incorso in una svista e che il suo calcolo era errato. Era
l'occasione che il Governatore aveva sempre attesa.
Mio caro Rabbino, egli disse, finalmente vi ho colto una volta in
errore ed ora vi sfido ad una scommessa. Se sarà dimostrato che io ho ragione,
dovrete riconoscere pubblicamente che la mia religione è la vera e che essa è
superiore alla vostra. D'altro canto, se risulterà che voi avete ragione vi
farò dono di un bel cavallo del valore di trecento monete d'oro, oppure, se lo
preferite, riceverete in sua vece il danaro in contanti .
Rabbì Hananèl fu assai contrariato, ma il Governatore lo mise alle
strette ed egli non poteva opporsi a colui che reggeva la provincia senza
provocare le sue ire. Il Governatore ordinò immediatamente che i termini della
scommessa fossero registrati ufficialmente in tribunale davanti al giudice ed
ai magistrati.
Rabbì Hananèl torno a casa profondamente preoccupato, si ritirò
subito nella sua stanza e senza lasciar trascorrere un minuto cominciò a
rivedere i suoi calcoli; e con sua grande costernazione si accorse che aveva
proprio commesso un errore e che il calcolo del Governatore era invece il
giusto.
Egli chiamò i capi della comunità ad una riunione solenne, e
raccontò loro della terribile minaccia che si addensava sopra il suo capo e
sopra la comunità tutta. Chi poteva sapere a quali estremi sarebbe giunto il
Governatore nello sfruttare la sua “vittoria”? Rabbì Hananèl chiese ai capi
della comunità di unirsi a lui nel proclamare un pubblico digiuno per pregare
tutti assieme Idd-o e chiederGli misericordia in quell'ora di pericolo.
Naturalmente, l'intera comunità aderì con tutto il cuore. In verità, solo un
miracolo poteva salvare gli ebrei da quella situazione disperata ed essi
digiunarono e pregarono come mai in vita loro.
Venne la notte, nella quale la luna nuova doveva comparire.
Giubilante il Governatore salì sul tetto del suo castello per vedere la luna
nuova salire in cielo. Egli aveva dislocato anche degli osservatori in diverse
parti della città per avere dei testimoni che aveva vinto la scommessa col
Rabbino.
Anche Rabbì Hananèl salì sul tetto della sua casa e col cuore
infranto c le lacrime agli occhi si rivolse piangendo all Onnipotente pcr chiederGli
un miracolo.
Era una notte serena. Non c’era un alito di vento ed il cielo era
tempestato di stelle. Si avvicinava il momento in cui la luna nuova doveva
spuntare e Rabbi Hananèl, gli occhi fissi al ciclo e l’animo tutto concentrato
nella preghiera confidava nel Signore. Tutti gli ebrei della città pregavano
altrettanto ardemente che si verificassc un miracolo al l'ultimo momento.
D'improvviso cominciarono a raccogliersi nel cielo nere nubi che
nascevano dal nulla. In un momento tutto il ciclo fu completamente coperto da
un'impenetrabile nuvola oscura.
D-o aveva esaudito la preghiera di Rabbi Hananèl e di tutta la
comunità ebraica. La notte seguente la sottile e delicata falce della luna
nuova apparve in un cielo sereno e senza nubi!
Il giorno dopo Rabbl Hananèl andò secondo gli accordi presi, a fare
visita al Governatore ed a sentire ciò che aveva da dirgli. Egli trovò presso
di lui una adunanza imponente, perché tutte le più importanti personalità del
paese erano state invitate a sentire il verdetto e ad assistere al trionfo del
Governatore.
Ora, tutti erano impazienti di ascoltare ciò che il Governatore
avrebbe detto. Questi si rivolse al Rabbino con le seguenti parole:
“Stimato Rabbino Hananèl! Sapete meglio di me che questa volta
avevo ragione io e che avrei dovuto vincere la scommessa fatta tra di noi. Ma
il vostro D-o deve avervi aiutati. Non era mai successo finora, e probabilmente
non succederà mai più, che in questa stagione ci fosse da queste parti la più
piccola nuvola in cielo. Tuttavia nel momento in cui la luna doveva comparire,
il vostro D-o ha coperto il cielo di nubi e mi manca perciò la prova di aver
vinto realmente la nostra scommessa. Secondo i termini del nostro accordo che è
stato debitamente registrato dai nostri degni magistrati, non posso fare altro
che versarvi quanto pattuito. Ecco qui il danaro. Sono convinto che farete un
buon uso di queste trecento monete d'oro".
Rabbì Hananèl diede un sospiro di sollievo. Si affrettò a portare
la buona notizia agli altri ebrei, che si rallegrarono al pari di lui. Subito
dopo, Rabbi Hananèl consegnò il denaro ai capi della Comunità perché fosse
distribuito ai poveri ed ai bisognosi. Dopo tutto si trattava di danaro che il
Governatore aveva preso agli ebrei, gravandoli di forti tasse, cui facevano
fronte con le più grandi difficoltà.
Rabbì Hananèl ed i capi della comunità indissero una giomata di
preghiere di ringraziamento all Onnipotentc. Tutti gli ebrei si raccolsero nel
Bet ha-Midrash per ringraziare il Signorc di aver tramutato la loro tristezza
in gioia e la loro ora più oscura in luminosa allegrezza.
Come sono strane le vie del Signore!
Egli aveva rischiarato il loro animo, radunando oscure nubi nel
cielo! Fu come un altro Purim per gli ebrei di Oria, che furono salvati dal
loro Amàn particolare proprio come nei giorni di Mordechai ed Estèr, quando
l'Onnipotente salvò gli ebrei di Persia da Amàn e fece fallire i suoi piani. Ed
invero, per molti anni i riconoscenti ebrei di Oria ricordarono questo giorno
di salvezza miracolosa come il Purim di Oria .
Importante fu nei secoli il Purim di Siracusa
Il mikweh di Siracusa Immagine da
Moked
[…] La celebrazione prevede la lettura pubblica di una meghillà,
ovvero un rotolo di pergamena scritta in cui viene narrato l’evento che si
vuole ricordare. Inoltre possono esservi preghiere particolari e veri e propri
poemi commemorativi come Kina Glossa, quello che vi proponiamo in dialetto di
Giànnina e che racconta l’avvenimento di Siracusa seguendo la diegesi narrativa
della Meghillat Saragusanos.
Il Purim di Siracusa, nato in Sicilia nel XIV, ebbe diffusione,
dopo l’editto di espulsione del 1492, fra gli Ebrei Siciliani fuggiti
dall’isola che trovarono rifugio in oriente e in particolare a Salonicco e
Giànnina, nei territori dell’impero Ottomano. Qui gli Ebrei si organizzarono in
comunità chiamate, in giudeo-spagnolo, Kal dall’ebraico Quahal. A Salonicco
esistevano ben tre comunità provenienti dalla Sicilia: Sicilia Vecchia, Sicilia
Nuova e Bet-Aharon. Dagli appartenenti a quest’ultima comunità, in particolare
con la famiglia Saragusi, si mantenne la tradizione di festeggiare il nostro
Purim, anche quando il rito Siciliano andava perdendosi, soppiantato da quello
sefardita.
Si hanno testimonianze della celebrazione della festa fino
all’inizio del XX secolo. La sera si leggeva la Meghillat Saragusanos e la
giornata successiva si trascorreva in festeggiamenti. Dopo l’olocausto e la
dispersione delle famiglie Saragusi scomparve inesorabilmente la memoria della
festa del Purim di Siracusa, pur trovandosi alcune tracce, quale Purim di
Saragozza in Francia e in Israele. Per molto tempo infatti gli studiosi hanno
ritenuto che questo speciale Purim si riferisse alla città di Saragozza,
equivocando sul nome del Re Saragosanos e sulla lingua, il giudeo spagnolo
ovvero il ladino, portato dagli ebrei fuggiti dalla Spagna e che
progressivamente si impose come lingua dominante.
Si deve per primo allo studioso David Simonsen, nel 1910, la
legittima e documentata restituzione agli Ebrei siciliani e a Siracusa di
questo Purim. La tesi fu poi condivisa da altri studiosi fra i quali ricordiamo
Yosef Mejuhas, Cecil Roth fino al Dott. Dario Burgaretta. Oggi il mondo
accademico riconosce, senza ombra di dubbio alcuna, l’appartenenza di questo
Purim alla storia della nostra città.
Ecco in sintesi l’evento, così come viene narrato dalla nostra
meghillat: Ai tempi del re Saragusanos era usanza che, quando questi visitava
il quartiere ebraico della città, abitato da più di 5000 uomini adulti, le
guide e i capi spirituali della comunità, i maggiorenti, si recassero in
processione verso il re, portando, in segno di sottomissione e rispetto, i
rotoli della Torah. Tale abitudine fu seguita per i primi 12 anni del regno del
re Saragusanos, ma nel 13° anno gli Ebrei decisero, per rispetto nei riguardi
della Torah, di presentare al re solo le custodie vuote dei rotoli. Avvenne
però che un Ebreo converso, Haim Sami, col nuovo nome di battesimo Marcos,
denunciò il fatto al re, con la speranza di poter entrare nelle sue grazie. Il
re decise di assicurarsi personalmente di quanto il delatore gli aveva
raccontato passando all’improvviso nel quartiere ebraico l’indomani, il 17 del
mese di Shevat, con l’intenzione di uccidere, nel caso di una conferma delle
accuse, tutti gli Ebrei della città. Ma nella notte il profeta Elia apparve al
custode della Sinagoga avvertendolo della minaccia incombente. Così i rotoli
della Torah furono riposti nelle custodie, e quando l’indomani il re chiese di
vederli, questi gli furono mostrati.
Il delatore, risultata falsa e menzognera l’accusa di lesa maestà,
fu punito dal re con la pena capitale, mentre gli Ebrei beneficiarono del
favore e della benevolenza del re.
Meghillat
Saragusanus
(non so se sia questa la versione del canto citata nel testo)
Al tempo del re Saragusanos, re forte e
potente, si trovavano sotto il suo dominio circa cinquecento Israeliti, tutti
dotti e saggi capi d’Israele, senza contare i giovani e i ragazzi, le donne, i
figli e i bambini, e formavano dodici comunità con altrettante Sinagoghe
costruite con pietra intagliata e colonne di marmo, di perfetta bellezza,
ricoperto di crisolito. Era usanza e regola presso quei Giudei che, al
passaggio del re attraverso la piazza dei Giudei, portassero fuori tre rotoli
della Torah per ogni comunità-Sinagoga, trentasei rotoli avvolti in panni
ricamati e in teche d’argento e d’oro, con Melograni e Pomi d’argento e oro e
ornamenti d’argento in cima ai rotoli e benedicessero il re a gran voce, mentre
tutto il popolo rispondeva dopo di loro Amen.
Un giorno si radunarono i dodici rabbini degli
Israeliti e i loro 24 dayyanim dissero: “Noi non facciamo cosa buona uscendo
con la legge del nostro D-o, il D-o vivente e Re eterno, al cospetto di un
pagano idolatra”.
Si consultarono e stabilirono concordi di
predisporre tre teche vuote per ogni comunità-Sinagoga, avvolte nei loro Manti
e con i loro Melograni e di uscire con esse al cospetto del re. L’usanza era
infatti che il rabbino della comunità reggesse la Torah assieme ai suoi
dayyanim.
Nessuno dunque era a conoscenza di questa
decisione, eccetto i rabbini e i dayyanim e così fecero fino al XII anno del
regno del re Saragusanos.
In quei giorni accadde che un uomo di nome Haim
Sami - che il suo nome sia cancellato - persona di litigi e di discordie,
persona malvagia e iniqua, si convertì al cristianesimo. Quest’uomo era ben
voluto al palazzo reale poiché in passato, in quanto israelita, aveva servito
alla porta del re. Allora il re Saragusanos rese potente Haim Sami - sia
cancellato il suo nome - cui aveva posto il nome di Marcos e pose il suo seggio
fra quelli dei ministri che erano con lui nel palazzo reale. Un giorno il re
Saragusanos uscì con i suoi familiari e tutto il suo seguito, assieme ai
ministri e ai governatori, per compiere, come si sua abitudine, dei giri a suo
piacimento, e passò dentro la città. Per caso si trovò a passare anche per la
piazza dei Giudei. Allora i Giudei corsero a riferire ai capi delle comunità e
ai loro rabbini. “Ecco il re sta passando per la piazza dei Giudei”. Allora i
rabbini delle comunità-Sinagoghe e i loro dayyanim si levarono, con tutta la
gente che era con loro e uscirono, come d’abitudine, con le teche coperte con
panni ricamati, salutando il re ad alta voce, mentre tutti rispondevano “amen”
e il re proseguì il suo cammino. Giunta la sera, mentre il re sedeva sul suo
trono regale, con vesti reali di porpora viola e rossa e di lino bianco, e una
grande corona d’oro, adornata con pietre preziose in testa, i suoi ministri e
consiglieri e sapienti dissero: “Quale gloria oggi per il re Saragusanos, più
di ogni altro sulla terra, agli occhi degli Ebrei, mentre essi uscivano al
cospetto del re, i capi dei loro giudici e tutti gli Israeliti con i rotoli
della Torah per prostrarsi al re e omaggiarlo”.
Ma il perfido Marcos, rispondendo al re e ai
suoi ministri disse: “Guai a questi miserabili Giudei per questa azione! Sia
noto infatti al re che le teche sono vuote e dentro non vi è nulla; essi
infatti agiscono con l’inganno.
Non appena il re ebbe udito ciò, i suoi ministri,
i suoi saggi e i suoi consiglieri si adirarono molto, e anche il re si infuriò
e la sua collera ardeva dentro di lui. Allora egli interrogò i saggi esperti di
legge e i giureconsulti, poiché questa era l’usanza del re e disse: “Quale
sentenza infliggere a questi peccatori che hanno tramato grandemente e
impudicamente una congiura per ingannare il re?”. Risposero i suoi saggi: “Una
sentenza di morte meritano questi uomini”.
Se al re piace sia scritto e sia sigillato con
l’anello del re: al mattino usciremo e passeremo all’improvviso dalla piazza
dei Giudei e, appena usciranno incontro al re con i rotoli della Legge apriremo
le casse e vedremo se le parole di Marcos sono veritiere; in questo caso
l’esercito del re si solleverà contro di loro, tutti con la spada in pugno,
addestrati alla guerra, ognuno con la spada al suo fianco e li uccideranno
tutti insieme all’interno della loro comunità; daremo alle fiamme la loro
Sinagoga e prenderemo per noi come schiave e serve i loro bambini e le loro
donne, mentre tutto il bottino sarà versato nel tesoro del re. La cosa piacque
agli occhi del re e dei ministri; fu scritto dunque il decreto e fu sigillato
con l’anello del re.
Quella notte fu agitato il sonno di Efraym
Baruk, lo shammash della Sinagoga che si trovava nella città di Siracusa.
Questi era un uomo anziano e rispettato, integro e retto, timorato di D-o e
lontano dal male, che adorava D-o con cuore integro, con gioia e con timore. Ed
ecco che un uomo venerando, con lunghi capelli e una cintura di cuoio ai fianchi,
un uomo preposto a tutte le buone novelle, il cui aspetto è simile all’aspetto
di un uomo di D-o, assai terribile, il cui nome Elyahu, il profeta Elyahu sia
ricordato in bene, lo svegliò dal sonno e gli disse: “Perché dormi? Alzati
subito, affrettati e non fermarti! Va al Tempio e riempi le teche vuote con i
rotoli della Torah, poi torna e rimettiti a letto in pace, ma trattieniti e
guardati dal dire ad alcuno di questa visione, poiché, se invece lo dirai,
certamente morirai e il tuo sangue ricadrà sul tuo capo!”.
Allora Efraym si alzò e, preso da un gran
terrore fece così come gli aveva ordinato il messaggero, poi tornò e si rimise
a letto e il suo sonno fu tranquillo. Nel frattempo la stessa apparizione e la
stessa visione che aveva avuto Efraym le avevano avute anche tutti gli
shammashim delle dodici comunità, la stessa notte, allo stesso momento, ma non
lo dissero a nessuno, secondo quanto era stato loro ordinato dal messaggero e
ognuno pensava che soltanto lui avesse avuto quella apparizione e quella
visione e la cose li riempiva di meraviglia.
La mattina del diciassettesimo giorno
dell’undicesimo mese, il mese di Shevat, il tredicesimo anno del re Saragusanos
cioè l’anno 1352 dalla distruzione del secondo Tempio, cioè l’anno 5180 dalla
creazione, si levò il re Saragusanos, assieme a tutti i suoi ministri e
comandanti, ai suoi consiglieri e ai suoi saggi e passò inaspettatamente
attraverso la piazza dei Giudei, mentre il malvagio Marcos procedeva alla sua
destra e l’esercito del re li seguiva, tutti armati, con ogni tipo di arma da
guerra, circa trecento uomini dei cristiani, tutti con la spada in pugno, per
fare ai Giudei tutto ciò che volevano. Mentre essi passavano nella piazza dei
Giudei, questi si affrettavano a riferirlo ai rabbini, ai Giudei, e ai
dayyanim, e in fretta presero le teche per andare a omaggiare il re, come
d’abitudine, e il re disse loro: “Voglio vedere la Legge di Mosè, uomo di D-o,
con la quale mi benedite il Suo nome!”.
Appena i rabbini i dayyanim e tutto il popolo
udirono le parole del re, il cuore mancò loro e si sciolse come acqua dalla
paura, essi iniziarono a tremare interrogandosi l’un l’altro: “Che cosa ci ha
fatto D-o?”; ma essi non sapevano che cosa aveva fatto in realtà il D-o dei
loro Padri. Allora i ministri del re si affrettarono a prendere una teca, la
aprirono e trovarono scritto in campo alla pagina:
Ma anche allora, quando saranno in terra
nemica, io non li rigetterò, né li disprezzerò fino al punto di annientarli e
di rompere la mia alleanza con loro, perché Io sono il Signore, il loro D-o.
Lo lessero al cospetto del re, poi presero
un’altra teca e la aprirono: anche questa era piena con la Legge di D-o e così
anche una terza teca e così tutte.
Quando il re e i suoi ministri videro tutte le
teche piene con la Legge di D-o, il re li benedisse e rimise loro il testatico
per tre anni e li dispensò dal tributo. Allora anche essi se ne andarono in
pace e il re ordinò che impiccassero Marcos il malvagio sul palo con il quale
egli aveva tramato di fare del male ai Giudei; il suo cadavere fu gettato
nell’immondizia finché i cani mangiarono la sua carne, le sue ossa furono date
alle fiamme e l’ira del re si placò. Così periscano tutti i nostri nemici, o
Signore.
Per questo i Giudei che si trovavano nella
città di Siracusa presero la decisione e l’impegno, per sé e per i loro
discendenti, di festeggiare il giorno 17 del mese di Scevat, ogni anno essi i
loro figli e i figli dei loro figli, per sempre, come giorno di gioia e di
letizia, un giorno di festa scambiandosi cibi a vicenda e facendo elargizioni
ai poveri, e per i Giudei fu grande luce, letizia, esultanza e onore, poiché il
malvagio Marcos aveva pensato di sterminare i Giudei, ma la sua malvagia
macchinazione era ricaduta sul suo capo ed egli era stato impiccato sul palo e
il suo cadavere era stato dato in pasto agli animali della terra.
Così periscano tutti i nostri nemici o Signore.
Poiché colui che ha pietà di loro li ha guidati
e compirà con noi la scrittura, poiché è scritto:
Anche se i tuoi esiliati si trovassero sotto
l’estremo lembo del cielo, di là il Signore, tuo D-o, ti radunerà e di là ti
prenderà; ed è detto: Il Signore ha riscattato Giacobbe, lo ha liberato dalla
mano di chi era più forte di lui e allora la vergine si rallegrerà con la
danza, si allieteranno insieme il giovane e il vecchio. Muterò il loro lutto in
letizia, li consolerò e li farò gioire dopo il loro dolore. E’ detto inoltre:
Poiché ogni arma preparata contro di te rimarrà senza effetto e condannerai
ogni lingua che si alzerà contro di te in giudizio. Questa è la sorte dei
servizi del Signore, quanto spetta a loro da parte mia. Oracolo del Signore. E
i riscattati del Signore ritorneranno e verranno in Sion con esultanza;
felicità perenne sarà sul loro capo; giubilo e felicità li seguiranno; svaniranno
afflizione e sospiri.
Maledetto
Marcos, Benedetto Efraym
Maledetti
tutti i malvagi, Benedetto tutto Israele
Infine, l’unico di questi tre Purim che viene ancora
ricordato e, in qualche misura, celebrato, il cosiddetto Mo’ed di piombo degli ebrei romani.
1793 cronaca di un miracolo e di uno scampato pericolo per gli ebrei romaniGiacomo Kahn da Shalom.it
Oggi ricorre
per la Comunità ebraica di Roma l’anniversario di un piccolo ma straordinario
miracolo: un improvviso e forte acquazzone che consentì di spegnere un incendio
appiccato dal popolino romano che intendeva mettere a fuoco il ghetto di Roma.
Un gesto violento e temerario con il quale la plebe voleva respingere i venti
di libertà e lo spirito egualitario che arrivavano da oltralpe.
I fatti sono
noti e sono stati raccontati in un saggio pubblicato alcuni anni fa da
Giancarlo Spizzichino che sulla scorta di nuovi documenti rintracciati
nell’archivio della comunità ebraica romana fornisce una visione a tutto tondo
di cosa avvenne.
Il 13
gennaio 1793 Nicolas Hugo de Basville, diplomatico francese di transito a Roma,
vestito con la coccarda tricolore simbolo della rivoluzione, viene assassinato
dalla plebaglia a Palazzo Palombara in centro. E’ diffusa l’idea che anche in
ghetto vengono conservate coccarde tricolori e che sia un covo di
rivoluzionari.
14 gennaio.
Un gruppo di trasteverini, monticiani e regolani, si dirigono verso il ghetto
con le fascine per appiccarvi il fuoco, ma vengono convinti a desistere da due
frati. Lo stesso giorno a mezzanotte i manifestanti ci riprovano e rapiscono
Salomone di Segni con la minaccia “o muori o fatti cristiano” (permarrà 40
giorni presso la casa de’ Catecumeni dove le pressioni non fecero effetto).
Terzo tentativo di dare fuoco alle porte del ghetto, respinto dalle guardie
papaline. Alle 23 della notte una pioggia battente fa desistere i facinorosi.
Il ghetto rimane chiuso e sorvegliato per otto giorni, senza la possibilità per
i capifamiglia di recarsi fuori a svolgere quei piccoli lavori da cui traevano
il sostentamento, aggravando la povertà di tutti quei nuclei - la stragrande
maggioranza - che ricevevano il sussidio dalla comunità.
La
drammatica situazione economica degli ebrei romani fu alleviata da ben nove
Università Israelitiche, rispondendo alla struggente richiesta d’aiuto rivolta
loro dai fattori Tranquillo Del Monte, Isaia di Castro e Samuele Moro,
fornirono aiuti economici.
Superato il
brutto momento la comunità si interrogò: si poteva vedere l’azione di Dio nella
salvezza inaspettata giunta dalla pioggia che aveva spento il fuoco e gli animi
dei più facinorosi?
Nel solco di
una tradizione millenaria, a Roma venne istituita la celebrazione del Moed di
piombo (dal colore del cielo scuro come il piombo, ndr.) a cura della
confraternita Ezra’ bezarod - che possedeva tanto di statuto, sede e dotazione
economica - i cui membri si riunivano nella scola siciliana e recitavano uno
speciale formulario di inni e invocazioni composte per l’occasione da David
Bondì’ e stampato a cura di Yaaqov Caivano.
Con il
trascorrere del tempo questa ricorrenza e un po’ caduta nell’oblio. Ma da
alcuni anni un gruppo, riunito intorno ai frequentatori del tempio di via
Monteverde, ha deciso di recuperare i significati e la storia di questo
miracoloso evento.
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