Giorno della Memoria:
la storia sconosciuta del Campo di Ferramonti
di Guido Minciotti - 27 gennaio 2015
Giugno 1940. Calabria, provincia di
Cosenza. Ferramonti di Tarsia: qui nasce il primo e più grande campo di
internamento per ebrei stranieri d'Italia.
È una storia poco conosciuta quella del
campo in cui transitano, nei cinque anni e mezzo in cui rimane attivo, circa
quattromila cittadini ebrei: l'Italia è appena entrata in guerra e i cittadini
ebrei, anche se appartenenti a nazioni alleate dell'Italia, sono considerati
nemici e devono essere arrestati e internati.
Anche se il campo di Ferramonti viene
liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, sono in molti a restare a
viverci anche negli anni a seguire. Dal punto di vista cronologico, è il primo
campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l'ultimo ad essere
formalmente chiuso.
A Ferramonti gli ebrei sono raccolti e
internati, ma non uccisi o deportati. All'interno del campo la vita non è
facile, ma è comunque ben lontana da quella cui sono costretti gli ebrei
imprigionati nei campi di concentramento tedeschi. È sì un luogo di prigionia,
ma non di violenza né di coercizione, dove si può sopravvivere in relativa
sicurezza e salute e senza la preoccupazione di essere deportati.
Saranno in totale 38 gli ebrei (e 5 i non
ebrei) a perdere la vita durante il periodo trascorso a Ferramonti, dove in
totale passano circa quattromila ebrei provenienti da tutta Europa. Per uno
degli strani scherzi che il destino a volte riserva, gli unici internati a
morire sotto i colpi di mitragliatrice sono quelli uccisi da un aereo alleato,
che sorvolando il campo lo scambia per un sito militare ostile e fa fuoco sugli
occupanti, colpendo a morte quattro persone e ferendone altre 16.
L'organizzazione del campo funziona:
bambini e ragazzi vanno a scuola (dall'asilo alle superiori) e viene istituita
anche una scuola talmudica, gli internati si autogestiscono nelle attività, si
lavora e si fa vita sociale, persino teatro. Si pratica la religione nelle tre
sinagoghe. Ci sono la mensa e lo spaccio e gli internati ricevono un sussidio
statale: dopo poco tempo anche i numerosi professionisti sono costretti a
ricorrervi per provvedere al sostentamento delle proprie famiglie. C'è
l'assistenza sanitaria, molto importante considerate le condizioni di Ferramonti:
le baracche sorgono su un'area malarica, scarseggia l'acqua potabile e il cibo
è carente. Grazie all'elevato numero di medici tra gli internati, si arriva ad
avviare un ambulatorio e un primo soccorso, attivo giorno e notte.
Tra le baracche del campo di Ferramonti,
dal 24 al 29 gennaio 2015, sono previsti una serie di appuntamenti.
Organizzata per la prima volta dal comune
di Tarsia, la Giornata si articola con diverse attività che vanno dagli
incontri con i testimoni alle mostre documentarie, dalle visite alle scuole
alle presentazioni di cortometraggi, pieces teatrali e volumi che trattano la
realtà del campo.
In particolare il 27 gennaio 2015, in
occasione del Giorno della Memoria, la giornata inizia con la cerimonia
religiosa in ricordo dei morti al campo di Ferramonti, celebrata dal Rav. Moshe
Lazar, rabbino della sinagoga Angelo Mordecai Donati di Milano. Viene anche
presentato
il libro “Il Kaddish a Ferramonti - Le anime ritrovate” di Enrico Tromba,
Antonio Sorrenti e Stefano Nicola Sinicropi (Ed. Prometeo).
Si possono incontrare i testimoni Haim
Farkash - allora bambino, è uno degli ultimi sopravvissuti tra i profughi del
Pentcho, il battello fluviale con 500 ebrei dell'Europa dell'est che dopo anni
di peripezie sono arrivati a Ferramonti nel 1942 - e Dina Smadar, oggi artista
internazionale e figlia di una coppia che ha viaggiato sul Pentcho.
Proiezione del documentario “Ferramonti,
il campo sospeso” e incontro con il regista Cristian Calabretta , mostre
fotografiche e documentali.
Durante la manifestazione di martedì 27
gennaio, ai morti del campo verranno dedicati gli Alberi della Memoria, offerti
dal Comune di Cittanova, città che ospita già un suo Giardino dei Giusti e che
in questa maniera rafforza un sodalizio, non solo ideale, ma anche pratico.
Dal Sole24Ore
Il kaddish a Ferramonti.
Le anime ritrovate
di Guido Minciotti - 27 gennaio 2015
Immagine da Prometeo Edizioni
di Enrico Tromba, Antonio Sorrenti
e
Stefano Nicola Sinicropi
Libreria della Shoah
Centro
internazionale di studi giudaici
Edizioni Prometeo, 25 euro
Per informazioni e acquisto 338 1334856
Quella di Ferramonti di Tarsia è una
storia che merita di essere raccontata. Pressoché sconosciuta, offre un punto
di vista originale sulla realtà tragica della Shoah e dei campi di
concentramento ma soprattutto onora la memoria di chi a Ferramonti è scomparso.
A raccontarla è “Kaddish a Ferramonti -
Le anime ritrovate” di Enrico Tromba, Antonio Sorrenti e Stefano Nicola
Sinicropi. Il volume - inserito nella collana Libreria della Shoah del Centro
internazionale di studi giudaici - adempie in toto al significato di kaddish:
preghiera per i morti, garanzia di continuità spirituale.
Siamo nel giugno del 1940, l'Italia è
appena entrata in guerra. I cittadini ebrei, anche se appartenenti a nazioni a
noi alleate, sono considerati nemici e devono essere arrestati e internati. Il
campo di Ferramonti, nel comune di Tarsia in provincia di Cosenza, è il primo e
più grande in Italia dei luoghi di internamento per ebrei aperti dal regime
fascista. Viene poi liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, ma sono
molti a restare a Ferramonti anche negli anni successivi e il campo chiude alla
fine del 1945. Dal punto di vista cronologico, è il primo campo di concentramento
per ebrei ad essere liberato e anche l'ultimo ad essere formalmente chiuso.
A Ferramonti gli ebrei sono raccolti e
internati ma non uccisi o deportati. La vita, come scrive Riccardo Di Segni
nella prefazione “non era brillante, era piena di difficoltà, ma ben lontana
dagli orrori della Germania nazista. In questi campi fino alla loro chiusura la
gente visse e sopravvisse…”. Il libro riconosce 38 nominativi di ebrei (e 5 di
non ebrei) che hanno perso la vita durante il periodo trascorso a Ferramonti,
dove in totale passano circa quattromila ebrei provenienti da tutta Europa.
Il volume descrive l'organizzazione
all'interno del campo: bambini e ragazzi vanno a scuola (dall'asilo alle
superiori) e viene istituita anche una scuola talmudica, gli internati si
autogestiscono nelle attività, si lavora, si fa vita sociale, persino teatro.
C'è l'assistenza sanitaria, molto importante considerate le condizioni di
Ferramonti: le baracche sorgono su un'area malarica, scarseggia l'acqua
potabile e il cibo è carente. Grazie all'elevato numero di medici tra gli
internati, si arriva ad avviare un ambulatorio e un primo soccorso, attivo
giorno e notte. E' un luogo di prigionia ma non di violenza né di coercizione,
dove si può sopravvivere senza la preoccupazione di essere deportati.
Dal punto di vista strutturale il libro è
ben congegnato: una prima parte contestualizza il periodo storico e racconta
della struttura e dell'organizzazione del campo, mentre la seconda è documentale,
fatta di schede personali narrate e una discreta mole di documenti originali:
fogli di internamento, schede sanitarie, richieste di espatrio, comunicazioni
telegrafiche, nascite, decessi. Di particolare interesse l'accesso degli autori
all'archivio della Prefettura di Cosenza e all'archivio storico di Roma Eur,
che ha consentito la pubblicazione di materiale inedito. Ancora un omaggio alla
memoria.
Le immagini di Ferramonti sono tratte dal Sole24Ore:
Giorno della Memoria: la storia sconosciuta del Campo di Ferramonti
di Guido Minciotti - 27 gennaio 2015