Calabria judaica ~ Sud ebraico Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione
Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé. La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu. Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta. Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne). Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; attraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.
Prosegue la pubblicazione degli
interventi (per il momento si tratta dell’ultimo) che sono stati svolti all’incontro del 3
dicembre a Reggio presso l’ITIS Pellaro - Vallauri
"LA
FEDE NELLA LUCE"
Libertà d’espressione e festa delle luci
Avv. Antonino Bizzintino
Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Reggio
Calabria
La
Festa
delle Luci, Chanukkah,
origina dalla battaglia dei Maccabei contro i Seleucidi per la riconsacrazione
del Tempio di Gerusalemme.
Questa
battaglia contro l’idolatria è oggi più che mai simbolo di ogni lotta contro la
prevaricazione dell’uomo sull’uomo nonché contro ogni forma di oscurantismo. È
simbolicamente la Festa della libertà di pensiero.
Potrebbe
sembrare strano che la festa della libertà di pensiero tragga origine da una
battaglia a scopo religioso specie perché oggi si tende ad associare alla
religione o alla religiosità più in generale una connotazione negativa e
oscurantista. Chi
si ferma, infatti, alla percezione della realtà esclusivamente sensoriale non
può comprendere appieno la portata di questo straordinario messaggio di libertà
che questa ricorrenza porta con sé. Una libertà che è strettamente legata anche
all’identità, all’attaccamento alle proprie origini e alla difesa delle stesse.
Un’identità,
quell’ebraica messa costantemente alla prova dalla storia, braccata dalle
persecuzioni e dai pregiudizi, ma straordinariamente viva e salda.
Questa
vitalità è mantenuta accesa dallo studio costante della Parola, che non ha mai
cessato di operare neppure al tempo delle persecuzioni. Al tempo
dell’occupazione greca, i bambini continuavano a studiare la Torah in segreto
e, quando temevano di essere scoperti, giocavano alla trottola per ingannare i
loro persecutori.
Lo
studio della Torah, la difesa delle
proprie radici e della propria cultura non cessa neppure ai tempi della
persecuzione nazista.
Oggi
assistiamo, specie nel mondo occidentale a un costante depauperamento del
valore delle nostre radici. L’identità è vista quasi come un disvalore, come un
qualcosa addirittura di cui vergognarsi. Dovremmo invece cogliere in pieno il
senso di questa Festa e trasporlo alla realtà in cui viviamo. A prescindere dal
proprio credo di appartenenza è fondamentale preservare la propria identità e
tutelarla sempre, con coraggio e convinzione.
La
“fede nella luce” è quella fede nei
propri valori d’identità e libertà che sempre camminano di pari passo e sempre
saranno lo scudo delle nostre coscienze.
Bell’intervento svolto dall’avvocato Anna Golotta dell’Associazione
Virginia Holper Monis all’incontro che si è tenuto presso l’ITIS Panella –
Vallauri in occasione della festa di Chanukkah, con tema “Libertà di
espressione e Festa delle Luci
Gli
spunti di riflessione che questo tema offre sono notevolissimi ed essere
sintetici non è affatto semplice. Ad ogni modo, la mia riflessione muoverà
dall’articolo 21 della Costituzione Italiana.
L’articolo
21 sancisce uno dei principi cardine della nostra architettura costituzionale,
statuendo che tutti hanno il diritto di esprimere liberamente il proprio
pensiero.
A
primo acchitto, soprattutto al giorno d’oggi, questo diritto sembrerebbe essere
cosa scontata, specie per i più giovani che, fruendo dei social network si
trovano costantemente ad esprimere il loro pensiero difronte a milioni di
individui. In realtà, l’articolo 21 è tra le norme della Costituzione forse
quella più sofferta, quella che più di tutte partecipa delle sofferenze di
tutti i dissidenti del regime fascista (di ogni colore politico), di tutti i
perseguitati politici, di tutti quegli uomini e quelle donne che hanno
strenuamente combattuto per riconsegnare agli italiani uno Stato libero e
democratico postergando ai valori di libertà, uguaglianza e democrazia la loro
stessa vita.
A
tale proposito, il mio pensiero va a due donne, due luci immortali di libertà.
La prima è una giovane intellettuale olandese, Hetty Hillesum, la
seconda una giovanissima maestra italiana, Rita Rosani.
Queste
donne straordinarie, entrambe ebree, vivono in prima persona l’esperienza delle
leggi razziali, della persecuzione e (solo la prima) della deportazione.
Sono
due donne accomunate da un destino infelice cui loro stesse decideranno
volontariamente di consegnarsi, la prima per condividere appieno la sorte del
suo popolo, internandosi volontariamente nel campo di concentramento di
Westerbork, e la seconda cadendo in battaglia durante un accerchiamento di
alcuni uomini della Guardia Nazionale Repubblicana.
Entrambe
queste donne ci lasciano un messaggio di libertà importantissimo.
Hetty Hillesum, nei suoi scritti Diario e Lettere (pubblicati
solo nel 1982) ci lascia una importantissima eredità . Un’eredità costituita da
un messaggio di amore e di perdono rivolto a Tutti. Hetty impara l’amore (che alcuni
definiranno “altruismo radicale”) lì
dove l’Uomo muore con tutta la sua dignità. Dove l’Essere è negato, dove ai
nomi sono sostituiti numeri, dove il male sembra avere trovato la sua più
pratica ed efficiente applicazione. Ebbene, proprio lì, Hetty restituisce a
tutti gli internati che incontra una dignità. Di ogni storia che incontrerà ne
darà testimonianza affinchè uomini popolino un’ Europa finalmente libera e
democratica; quell’Europa dei Popoli
sognata a Ventotene, conoscano per non ripetere e soprattutto imparino a
costruire una società fondata sull’amore e sul perdono dove non c’è più spazio
per l’odio. E quest’Europa, Hetty la sogna, la spera, la immagina sapendo perfettamente
di non poterla vedere, sapendo perfettamente che ad attenderla ci sarà invece
la morte. Ciononostante, non si arrende, scrive, si assicura che il suo
messaggio non si perda, si continua ad emozionare vedendo sbocciare un
germoglio d’erba dal fango. Fino alla fine, fino a quando non lascerà “il campo cantando” per andare a morire,
Hetty dispenserà bellezza e speranza e lascerà a noi il compito di fare fiorire
le sue parole.
Rita Rosani è invece una maestra italiana Medaglia d’oro al valor militare che, vittima delle leggi razziali, dopo l’ 8 Settembre decide di essere parte attiva della Resistenza. Fonda la Banda Aquila della quale è l’unico membro donna. La sua base è una baita sul monte Comun. Rita è una donna forte, risoluta, coraggiosa. Fortemente “Ebrea”, non rinuncia a distribuire le azzime durante la festività di Pesach. Quelle azzime diventano più che mai emblema di libertà e baluardo d’identità. Durante l’accerchiamento da parte della Guardia Nazionale Repubblicana, i suoi compagni la invitano a mettersi in salvo e lei rispondendo loro: “Vuialtri g’avi voia de scherzare!” (voi avete voglia di scherzare!”), si getta invece in prima fila nella mischia. Sarà colpita a morte con un colpo alla testa.
I
messaggi che queste due donne straordinarie hanno lasciato a noi sono oggi più
che mai attuali. Questo perché nonostante siano passati oltre settant’anni dall’abbattimento
dei cancelli di Aushwitz, si assiste costantemente a rigurgiti di odio
antisemita, di violenza verbale , di prevaricazione , di umiliazione del più
debole.
Oggi
il diritto di manifestazione del pensiero è più che usato, abusato, deviato. E
se da una parte l’odio trova terreno fertile nell’indifferenza, le idee di chi
è morto per lasciarci la Libertà rischiano di perdere il loro valore e di
essere pericolosamente dimenticate.
Facciamoci
perciò tutti testimoni di Libertà e restiamo saldi nel principio che nessun
uomo possa più prevaricare su un altro uomo.
La
Festa delle luci o Miracolo di Chanukkah in Calabria
Ringrazio Domenica Sorrenti per questo articolo riassuntivo
delle iniziative che si sono svolte in Calabria nei giorni scorsi in occasione
della festa di Chanukkah, aventi come tema “Libertà di espressione e Festa
delle Luci”
Ben
cinque località e sei luoghi diversi hanno preso parte alle manifestazioni per
la ricorrenza di Chanukkah o Festa delle Luci che si svolge ogni anno dal 25
del mese di Kislev al 2 o 3 del mese di Tevet, a seconda della durata del mese
precedente, seguendo il calendario ebraico, mentre secondo il calendario
gregoriano la ricorrenza quest’anno è caduta dal 3 al 10 del mese di dicembre.
In
Calabria, la celebrazione della Festa delle Luci si è svolta a Cetraro, a
Reggio Calabria, a Soriano Calabro, e, come sempre, presso l’ex Campo di Internamento
di Ferramonti di Tarsia e nella città di Cosenza.
In
questo 2018, la celebrazione dei festeggiamenti è stata molto partecipata,
grazie al coinvolgimento degli alunni di quattro Istituti Scolastici di Istruzione
Superiore ed ha permesso ad una popolazione molto giovane di venire informata
su un avvenimento che oltre ad avere un fondamento biblico, ha un grande valore
storico, sociale e culturale perché rappresenta la vittoria di un piccolo
numero di persone su una moltitudine che lo vuole sovrastare, serve da
incoraggiamento a tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore il bene
comune e vuole essere una festa di pace per tutte le genti.
Si
accende la chanukkiah, il candelabro ad otto bracci con un lume posto al centro
detto shamash, “servitore”, utilizzato per accendere gli altri lumi, per
ricordare il miracolo avvenuto nel 165 a.C, in occasione della vittoria dei
Maccabei contro le armate di Antioco IV Epifane di Siria. Il crudele monarca
aveva conquistato tutto il territorio della Giudea ed aveva condotto una
violenta persecuzione contro la religione ebraica arrivando a profanarne la
parte più sacra, il Tempio di Gerusalemme, con l’introduzione della statua di
Zeus e l’adorazione agli dei pagani, secondo i riti della cultura ellenistica.
Giuda
il Maccabeo non si piegò all’imposizione del culto pagano, mantenne fede
nell’unico Dio della Torah, si unì ad un piccolo numero di persone e capeggiò
una rivolta riuscendo ad avere la meglio sui Siri che vennero sconfitti e
scacciati definitivamente dal territorio di Giuda.
Ottenuta
la liberazione dagli invasori, bisognava provvedere alla riconsacrazione del Tempio,
infatti Chanukkah significa proprio consacrazione, dedicazione; si cercò
dell’olio consacrato per accendere la Menorah, il candelabro a sette bracci che
vi ardeva in modo perenne. Frugando dappertutto si trovò unicamente una piccola
ampolla di olio puro recante la certificazione del sacerdote. Venne acceso il
candelabro e l’olio, sufficiente per un solo giorno, durò per otto giorni
consecutivi, il tempo necessario per approvvigionarne del nuovo.
Per
ricordare questo avvenimento straordinario viene acceso ogni anno il candelabro
a otto bracci in ognuna delle otto sere di Chanukkah. Si inizia quindi la sera
del 24 del mese di Kislev accendendo il primo lume che continuerà a bruciare
fin quando tutte le lampade verranno accese.
Il
primo lume è stato acceso la sera del 2 dicembre a Cetraro, dove si è svolto un
importante convegno interreligioso ad 80 anni dalle Leggi Razziali avente come
tema un aforisma di Primo Levi: “È successo ma può succedere ancora”.
Dopo
oltre 500 anni dalla cacciata degli ebrei, è stato riacceso il candelabro con
una splendida cerimonia officiata da Rav Umberto Piperno, alla presenza di
Roque Pugliese, infaticabile referente calabrese per la Comunità Ebraica di
Napoli, a cui vanno le congratulazioni per tutte le iniziative messe in
cantiere per la riscoperta delle radici e la valorizzazione della cultura
ebraica.
Un
convegno di spessore sul tema dominante delle manifestazioni, “Libertà di
espressione e la Festa delle Luci”, è stato organizzato presso l’ITIS
Panella-Vallauri con la partecipazione degli studenti dell’Istituto Tecnico
Economico Raffaele Piria/Ferraris da Empoli di Reggio Calabria e dell’Istituto
d’Istruzione Superiore Severi-Guerrisi di Gioia Tauro/Palmi.
Dirigenti,
insegnanti e ricercatori, tra cui Tonino Nucera, Clara Elisabeth Baez, Vincenza
Triolo, Patrizia Spadafora, Giuseppe Tagarelli, Nino Bizzintino, Anna Golotta, si
sono prodigati per mantenere viva la memoria sugli orrori del passato, visto
che i testimoni oculari sono rimasti in pochi e per dare una formazione a
trecentosessanta gradi agli studenti.
Negli
incontri è stato sottolineato come la festa debba essere considerata una “festa
di pace per tutti gli uomini”, concetto più volte affermato da Rav Piperno,
sempre affettuosamente presente nelle diverse ricorrenze in Calabria.
Pensiero
ripreso dal sindaco Falcomatà della Città Metropolitana che ha presieduto
l’incontro nella Galleria di Palazzo San Giorgio, affiancato dall’assessore
all’Istruzione Anna Nucera e da Franco Arcidiaco, delegato alla Cultura.
All’incontro
moderato con grande “savoir faire” da Daniela Scuncia, hanno partecipato, con
intenso coinvolgimento emotivo, i rappresentanti delle varie confessioni
religiose; non è mancata la presenza del protopapa della chiesa Greco-ortodossa,
padre Daniele Castrizio, di don Valerio Chiovaro della Parrocchia Cattolica dei
Greci, di Ester Labate per i Cristiani Battisti, di Pino Canale per i Cristiani
Valdesi, di Gigliola Pedullà, presidente del Sae, di Simona Stillitano,
segretaria del Gris, ma anche dei rappresentanti di diverse Associazioni
Culturali impegnati ad approfondire percorsi storici unitamente ai ricercatori
dell’ISN/CNR, i quali testimoniano, con i loro studi, dell’antica presenza ebraica
sul territorio calabrese.
L’accensione
del secondo lume, celebrata con grazia da Rav Piperno, è avvenuta anche alla
presenza del sindaco di Zambrone, Corrado L’Andolina, professionista di grande
cultura e caratura morale che, per l’occasione, è stato invitato ad unirsi al
coro dei partecipanti.
Per
la ricorrenza, a tutti gli intervenuti è stata consegnata una copia della
lucerna ebraica con impressa la Menorah di Leucopetra, simbolo di luce e di
vita, ritrovata a Motta San Giovanni ed abilmente riprodotta in terracotta dai
maestri artigiani di Seminara, con l’intenzione di dare un riconoscimento a
quanti si sono distinti nel campo culturale, lavorando per il dialogo e la
comprensione delle diverse entità spirituali con apertura mentale e rispetto, ma
anche come testimonianza delle antiche radici ebraiche della Calabria e per
ricostruire un legame ideologico tra passato, presente e futuro.
L’incontro
si è concluso con dolci delicatezze preparate dagli allievi dell’Istituto
Alberghiero Euclide di Condofuri, località prossima a Bova Marina dove sono
stati ritrovati i resti della seconda sinagoga più antica dopo quella di Ostia
Antica, la più vecchia dell’Occidente.
Gli
studenti, grazie all’impegno profuso dalla dirigente scolastica e dal
responsabile del progetto, hanno dapprima approfondito il valore della cucina
kasher e poi preparato i dolci tipici di questa festività coniugando le antiche
ricette con i nostri dolci locali, un esempio di buona scuola che guarda al
territorio con un occhio al futuro riconoscendo il proprio passato in un
processo di crescita complessivo.
Grande
enfasi è stato dato al tema del convegno “Le nostre radici ebraiche tra
filosofia e storia” svoltosi presso il liceo Scientifico N. Machiavelli di
Soriano Calabro, nella mattinata del 4 dicembre ed organizzato dalla dirigente
scolastica Licia Bevilacqua grandemente convinta che “Le radici ebraiche sono
un nostro substrato culturale di cui spesso non ci rendiamo conto”.
Gli
studenti del Liceo si sono impegnati ad approfondire Marcel Proust, “A la
recherche du temps perdu”, e la “mela di Kant” coniugando letteratura e cibo
con approfondimenti culturali ed hanno raggiunto interessanti percorsi
formativi ludosofici.
Nell’ex
Campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia, ora Museo Internazionale della
Shoah, anche quest’anno si è svolta la cerimonia dell’accensione dei lumi alla
presenza del sindaco Roberto Ameruso, delle Autorità Militari e Civili tra cui
l’Onorevole Franco Sergio, molto sensibile alle tematiche attinenti la cultura
ebraica.
Tra
le splendide fontane di via Arabia, a Cosenza si è concluso il 4 dicembre, il
ciclo dei festeggiamenti per la Festa delle Luci.
Questa
città è, tra le località calabresi, quella più attenta al dialogo tra le fedi e
vanta un’apertura mentale ed una disponibilità che meritano apprezzamenti in
quanto in tanti hanno raggiunto la consapevolezza che esiste un ebraismo
sotterraneo che sta per venire fuori.
Oggi
è urgente far comprendere che la convivenza delle diverse culture non nasce dalla
sopraffazione di un gruppo, di un’etnia, di una popolazione, ma
dall’accettazione e dal rispetto dell’altro, dalla coesistenza pacifica di
visioni diverse del mondo.
Una
società più giusta si costruisce con il dialogo e con il rispetto reciproco, oggi
è necessario lottare fortemente contro gli stereotipi e contro i pregiudizi.
Albert Einstein in un aforisma afferma: “Èmolto più facile rompere un atomo che un pregiudizio”.
Ripartire
dalla propria identità per indagare il passato e conoscere i fatti storici, per
approfondire usi e costumi, per ricercare nel nostro DNA di calabresi quei geni
che testimoniano di un passato glorioso, serve per riappropriarsi dei valori
millenari della nostra cultura, mantenendo nel cuore la Parola che viene da
Sion, da Gerusalemme, madre di tutte le religioni, come ponte verso un futuro
di cooperazione.
È
urgente far partire dalla Calabria un messaggio di fiducia e di speranza che prenda
il volo ed arrivi al mondo intero in un clima sempre più intenso di amicizia,
di fratellanza nel rispetto dei valori e dei diritti umani.
Sono molto contento di pubblicare questo testo, l’intervento che il
giornalista Tonino Nocera, che ringrazio di cuore per avercelo messo a
disposizione, ha svolto nel corso dell’incontro del 3 dicembre a Reggio, presso
l’ITIS Panella - Vallauri, nel ciclo di iniziative su “Libertà di espressione e
Festa delle Luci” che si è svolta dal 2 al 4 dicembre in varie località della
Calabria.
LE LORO STORIE: LA NOSTRA STORIA
Libertà d’espressione e festa delle luci
“Dei miei colleghi presenti uno solo, anzi
non collega, superiore, il preside Oreste Dito, di San Giovanni in Fiore,
calabro-albanese che stava conducendo uno studio sugli Ebrei nel Mezzodì
d’Italia”. Queste parole tratte da I miei
conti con la scuola. Cronaca scolastica italiana del secolo XX di Augusto
Monti (piemontese di Monastero Bormida, Asti e docente nella nostra città nel 1911/1912)
presentano Oreste Dito - che con il suo La storia calabrese e la dimora degli ebreiin Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI - segnò
una tappa fondamentale negli studi storici sull’ebraismo calabrese. Illuminando
il nostro passato. Perché raccontare vuol dire tramandare ai posteri quanto
accaduto; ordinare; dare un senso agli eventi: fare luce.
Parlerò di ebrei e non che con la parola
hanno acceso un lume. Come Benedetto
Musolino, patriota risorgimentale di Pizzo Calabro definitogeneroso
figlio della Calabria o illustre figlio della forte Calabria. Con il suo Gerusalemme ed il popolo ebreo –
ultimato a Genova il 10 maggio 1851, 45 anni prima che Teodoro Herzl
pubblicasse Lo stato ebraico – propose
la nascita dello stato d’Israele.
Israele visitato nel 1961 da Mario La Cava:
inviato al processo Eichmann del Corriere
Mercantile, quotidiano di Matera. In seguito, lo scrittore - nato a
Bovalino sul mar Jonio: là dove sorge il sole - scrisse Viaggio
in Israele: uno straordinario affresco del giovane stato. La Cava ama
Haifa: le sue spiagge e il suo mare gli ricordano la nostra Calabria.
E che dire dei manoscritti ebraici?
A Reggio Elasa Parnas copiò il commento medico di Averroè di un’opera di
Aristotele. A Cosenza Perez b. Shemuel copiò il commentò di David Qimmhi a Ezechiele
e ai profeti minori. Altri furono realizzati a Strongoli e Crotone. Manoscritti
oggi custoditi a Parigi, Oxford, Vaticano, Milano, Roma e che gettano una luce
sulla Calabria ebraica.
Dal mare Jonio arrivò nel 1935 il Sara Primo. Navigando da Zante a Malta:
si arenò sulla spiaggia di Bianco. L’equipaggio era costituito da giovani
marinai ebrei che si addestravano all’arte della navigazione presso la
scuola marittima di Civitavecchia. Provenivano dalla Polonia e costituirono il
primo nucleo della marina d’Israele. La loro storia è narrata da Leone Carpi in
Come e dove rinacque la Marina d’Israele.
Leggendolo, apprendiamo, inoltre, che un gruppo di marinai guidato da Abram Blass
Mejer, polacco di Lublino, raggiunse in treno Reggio per acquistare viveri.
Primo Levi ne La Tregua racconta
la storia di due calabresi: Vincenzo, un giovane pastore epilettico e Cantarella,
un marinaio che faceva il fabbro febbraio. Così li descrive Levi: “Cantarella
era un marinaio calabrese di altissima statura e di magrezza ascetica,
taciturno e misantropo”; “Vincenzo era un ragazzo difficile: un pastore
calabrese finito in Germania chissà come…. Era nomade nell’anima, inquieto”.
Vincenzo soffriva di epilessia e appena avvertiva i sintomi che preannunciavano
una crisi: si allontanava.
Ma a 80 anni dalle infami leggi razziali un
documento custodito dall’Archivio Segreto Vaticano riguarda la nostra città. Una
lettera – datata 2 Agosto 1938 - inviata al Papa: contieneuna missiva spedita a Mussolini con cui un gruppo di reggini si
scaglia contro il crescente clima antisemita. C’è un duro, durissimo
attacco a Mussolini e una profezia “Sarai abbandonato da tutti… Verrà il giorno
non lontano nel quale chiamerai e nessuno ti ascolterà” La lettera è firmata i
veri fascisti dell’Italia novella. Erano veramente un gruppo o forse fu un solo
uomo che si nascose dietro al gruppo? Chissà! Non lo sapremo mai.
Gustav Brenner, ebreo viennese. In fuga dal nazismo raggiunse Milano, dove fu
arrestato e poi internato a Ferramonti. Dopo la liberazione rimase a Cosenza
dando vita all’omonima casa editrice.
Angelo Fortunato Formiggini, ebreo di Modena, editore e scrittore: uso lo pseudonimo
Formajin da Modna. Si suicidò - dopo la promulgazione delle Leggi Razziali - lanciandosi,
il 29 Novembre 1938, dalla Ghirlandina, la torre del Duomo di Modena.
Infine, per ultimo ma non ultimo, il
giornalista Vincenzo Morello - nato a Bagnara Calabra e noto come
Rastignac - sostenne l’innocenza del capitano Dreyfus.
Questi, cari, ragazzi, sono solo alcune
storie che a una prima superficiale lettura potrebbero apparire come storie d’altri
che non ci riguardano. In realtà sono la nostra storia: la storia d’Italia. I" - "TAL" -
"YA" in
ebraico: Isola della Rugiada Divina. Così come costituiscono storia i
tanti ebrei dei quali ignoriamo i nomi che durante le varie - e purtroppo
frequenti espulsioni – salvarono e custodirono i testi sacri: facendoli
giungere sino a noi. Proseguendo la millenaria e ininterrotta tradizione
ebraica: non spegnendo la sua luce. Talvolta – anzi quasi sempre – mi chiedono
perché mi occupo di ebraismo: non lo so. All’inizio sono stato attratto dall’umorismo
ebraico. Posso soltanto citare un aspetto, tra i tanti dell’ebraismo, che mi hanno
colpito. L’attenzione e la cura riservate allo studio e alla conoscenza. Lo
cito volentieri proprio perché siamo in una scuola. Gli ebrei non hanno mai
conosciuto l’analfabetismo.
Ma forse, la risposta al mio amore per
l’ebraismo è un’altra: chiara, semplice, immediata ed è contenuta nei versi di Hannah
Szenes
Martedì
4 dicembre si è svolto a Reggio l’incontro “Nasha Golda: Golda nostra”,
dedicato a Golda Meir, Premier di Israele, nel 40° della scomparsa (8 dicembre
1978), che ha inaugurato un ciclo di incontri sul tema “Le donne e la storia”.
Ringrazio
Tonino Nocera, che ha gentilmente messo a nostra disposizione il testo del suo
intervento, che ha aperto col video di un dialogo tra Barbra Streisand (che
canta anche lo HaTikvah, l’inno nazionale d’Israele) e Golda Meir.
(si può leggere la notizia dell'incontro su StrettoWEB)
Shalom! Abbiamo aperto con questo dialogo
tra due donne straordinarie che hanno qualcosa in comune: oltre essere ebree.
Barbara Streisand è stata la protagonista
di un film Yentl, tratto da un
racconto di Isaac Singer. È la storia di una ragazza che si finge uomo per
poter studiare in una Yeshivah (scuola
rabbinica).
David Ben Gurion pare che dicesse di Golda
Meir: “È l’unico uomo del mio governo”. Golda osserva che per una donna essere
considerata un uomo dovrebbe essere un complimento e si chiede: vale anche il
contrario? È un elogio dire a un uomo che sembra una donna? In realtà è un modo
per dire: essere uomo è meglio che essere donna. Questo per sottolineare le
differenze di genere: oggi come ieri, quando era ancora più difficile per una
donna affermarsi. Eppure Golda riuscì! Come?
Forse il segreto è racchiuso in queste sue
parole: “Nulla nella nostra vita semplicemente accade. Basta credere in qualcosa
e possedere l’energia necessaria per lottare e affrontare gli ostacoli, perché
si riesca a superarli”. Golda, inoltre, spiega che per un popolo (e anche per
un individuo, aggiungo) ci sono due modi per far fronte ai problemi o meglio
uno solo. Abbandonarsi al lamento (amo definirlo triulismo) o reagire. Lei
reagì!
Nata a Kiev, cresce a Pinsk come Golda
Mabovitch. La famiglia non era particolarmente religiosa, ma l’ebraismo – come
dimostra la sua vita – è qualcosa che va oltre la religione.
Le precarie condizioni economiche e
l’antisemitismo furono la cornice della sua infanzia. Per quegli anni non prova
alcuna nostalgia: ricordando il padre inchiodare le assi alla porta di casa per
difendere la famiglia da un pogrom. Gli ebrei russi hanno un solo modo per
cambiare vita: emigrare in America la Goldene
Medineh la Terra dell’Oro come veniva chiamata in yiddish. Perciò il padre
varca l’Oceano: poi tocca al resto della famiglia. In treno per Vienna, Anversa
e, infine, quattordici giorni di nave verso il Nuovo Mondo: destinazione
Milwaukee.
La città aveva una storia interessante,
dopo il 1848 - Primavera dei Popoli - divenne meta d’esilio per numerosi
liberali e intellettuali tedeschi. Anche qui anni duri. I primi tempi Golda e la
famiglia vivono in una sola camera. Golda studia e aiuta la madre nella
gestione di un negozio, dove si reca a piedi: i soldi dell’autobus risparmiati
saranno utilizzati per l’acquisto di un cappotto. Intanto, la sorella Sheyna
sposa Shamai contro il volere dei genitori. Scrive Golda: “Ma Shamai non solo
amava Sheyna: la capiva”. Per sposarsi i due giovani si trasferiscono a Denver,
dove poi saranno raggiunti dalla giovane Golda. Ma la convivenza con la sorella
non è facile perciò va a vivere da sola contando solo sulla fortuna del matto. Intanto,
conosce Morris Meyerson che così descrive a un’amica: “Non è bellissimo, ma ha
una bellissima anima”.
Morris la convince a tornare a Milwaukee per
riprendere gli studi. La Grande Guerra irrompe nella sua vita: trasformando la propria
casa in un comando di tappa per tutti i giovani ebrei che vogliono arruolarsi
nella Legione Ebraica. Un ruolo sarà svolto dal B’nai B’rith (I Figli del
Patto) associazione ebraica paramassonica cui il padre appartiene. Intanto a Milwaukee
giunge David Ben Gurion: il Garibaldi d’Israele. Golda incontra il sionismo, inizia
a sentir parlare di Tel Aviv e si convince che il suo posto è in Israele. Finita
la Prima Guerra Mondiale e convinto Morris (che nel frattempo aveva sposato): compiono
l’Aliyah. Un lungo viaggio. Nave sino a Napoli; treno per Brindisi; nave sino ad
Alessandria d’Egitto e, infine, treno per Tel Aviv. Anche qui vita dura:
piccolo appartamento senza energia elettrica e bagno.
Ancora lo stato d’Israele non era nato ma
prendevano già forma le prime strutture embrionali che avrebbero costituito
l’ossatura del nuovo stato. Una convinzione pervade Golda: non essere stati
invitati da nessuno a compiere l’Aliyah e non aver ricevuto alcuna promessa per
il futuro li aveva rafforzati nella determinazione della scelta compiuta. Con
il marito Morris decidono di trasferirsi nel kibbutz Merhavia (ampi spazi di Dio): ma la vita è durissima. I bambini
vivono, mangiano, studiano assieme. La giornata comincia andando nei campi alle
quattro del mattino perché poi il caldo rende impossibile lavorare. Ma la
malattia del marito (tra l’altro Morris non ama la vita del kibbutz) li fa
trasferire a Gerusalemme, dove nasceranno i figli: Sarah e Menahem. Gerusalemme
punto di riferimento per l’ebraismo.
Salmo 137:5-7
Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
Gerusalemme sempre unita: tranne per 19
anni, dal 1948 al 1967, quando Ha Kotel, il Muro - finito nella zona giordana -
è inaccessibile agli ebrei. A Gerusalemme Golda comincia a lavorare presso il
Consiglio femminile del lavoro del partito laburista. Inizia anche a viaggiare
per incontrare le comunità ebraiche – in particolare quelle statunitensi – e
rappresenta il partito laburista a vari incontri internazionali. Intanto: la
sinistra ombra di Hitler fa capolino. Per sfuggire alle sue politiche
antisemite aumenta l’Aliyah. Golda partecipa, come osservatore, alla Conferenza
d’Evian organizzata dal Presidente Franklin Delano Roosevelt per dare una
risposta ai profughi ebrei in fuga dalle persecuzioni.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Ben
Gurion pronuncia la famosa frase: “Combatteremo Hitler come se non esistesse
alcun Libro Bianco, e combatteremo il Libro Bianco come se non esistesse
Hitler”. Golda continua la sua vita di dirigente politico e, soprattutto, di
madre. Seguendo una strategia: spingersi oltre quello che ha fatto il giorno
prima e che riteneva fosse il massimo.
Incontra Enzo Sereni, una straordinaria
figura di sionista, figlio del medico di Casa Savoia, compie l’Aliyah ed entra
nell’Haganah. Paracadutato nell’Europa occupata, è fatto prigioniero: morirà a
Dachau. Intanto, tra scontri con gli arabi e repressione inglese, si avvicina
la nascita dello stato d’Israele.
Il 29 Novembre 1947 l’Assemblea delle
Nazioni Unite vota la nascita di due stati: uno ebraico e l’altro arabo. Trentatré
stati a favore (tra cui Stati Uniti), tredici contrari e dieci astenuti,
compreso il Regno Unito. Golda parte per gli Stati Uniti con l’obiettivo di
raccogliere fondi per armare il nuovo stato. Il 14 Maggio 1948 è proclamato lo
stato d’Israele. Immediatamente gli eserciti di cinque paesi arabi lo attaccano
con un obiettivo: distruggerlo e buttare a mare gli ebrei. Nonostante le parole
di Ben Gurion nella Dichiarazione d’Indipendenza: “Noi stendiamo la mano, in
segno di pace e di buon vicinato, a tutti gli stati che ci circondano e alle
loro popolazioni, e li invitiamo a cooperare con reciproco giovamento con lo
stato ebraico indipendente entro i suoi confini. Lo stato d’Israele è pronto a
dare il proprio contributo in uno sforzo congiunto per il progresso dell’intero
Medio Oriente”. Gli USA sono i primi a riconoscere Israele, il Guatemala è il secondo
stato.
La Guerra d’Indipendenza termina il 24
Febbraio 1949: seimila israeliani sono caduti per difendere il diritto
all’esistenza d’Israele. Golda è nominata ambasciatore a Mosca: resta per sette
mesi. Toccante l’incontro con gli ebrei russi. Durante una funzione presso la
Grande Sinagoga di Mosca è acclamata al grido di Nasha Golda, Golda nostra.
Torna in patria per diventare Ministro del Lavoro. Un compito immane: creare
lavoro in uno stato appena nato. Vara, pertanto, un imponente piano di lavori
pubblici in particolare: costruzione di strade e abitazioni, rimboschimento.
Inizia a confrontarsi con il mondo
religioso israeliano. Probabile candidata laburista a sindaco di Tel Aviv è
bocciata da un esponente di un partito religioso. Ma un’altra sfida l’attende:
il Ministero degli Esteri. Secondo Ministro degli Esteri nella storia dello
stato. Si avvicina la guerra del 1956 e spiega “Anche se nessuno voleva farlo:
noi abbiamo riconosciuto i sintomi”. Anche questa volta massima segretezza e
Golda spiega come sia duro mantenere un doveroso segreto di stato.
Golda, Ministro degli Esteri, inaugura una
stagione di feconde relazioni in Africa. A queste nazioni Israele offre
supporto tecnologico - principalmente in campo agricolo - e valori come
giustizia sociale e lotta alla povertà. In Liberia Golda è nominata gran capo
della tribù dei Gola e iniziata ai misteri tribali: non rivelò mai cosa accadde
nella capanna. In Ghana, partecipando a una conferenza dei paesi africani, è
attaccata dal rappresentante algerino perché Israele acquista armi dalla
Francia di De Gaulle.
Replica: “I nostri vicini stanno per
distruggerci con armi ricevute gratuitamente dall’Unione Sovietica e per somme
irrisorie da altri paesi. L’unico paese al mondo disposto, in cambio di valuta
pregiata, e molta, a venderci una parte delle armi di cui abbiamo bisogno per
difenderci è la Francia. Io non condivido il vostro odio per De Gaulle, ma
consentitemi di dire la verità, anche se vi dispiace sentirla: De Gaulle
potrebbe essere il diavolo in persona, ma io riterrei ugualmente doveroso da
parte del mio governo, acquistare armi dall’unica fonte disponibile. E ora
permettetemi di porvi una domanda: se voi vi trovaste nella nostra stessa
posizione, che fareste?”.
Grazie a questi viaggi molte bambine
africane saranno chiamate Golda. In Rhodesia, dinanzi alla richiesta della
polizia: “whites only”; non accetta di essere separata dai leader africani. Un
incontro straordinario è quello con il Negus d’Etiopia, Hailè Selassiè –
discendente, secondo la leggenda, di Re Salomone e della Regina di Saba – esule
per un anno a Gerusalemme durante l’occupazione italiana. Le relazioni con
molti paesi africani vengono meno con la Guerra dei Sei Giorni. Oggi Israele è
tornata in Africa: accolta a braccia aperte.
Complicato il rapporto con la Cina per cui
chiede aiuto a Pietro Nenni. Alcuni esponenti politici cinesi commentarono che
se ogni popolo di tre milioni di abitanti si metteva in testa di creare uno
stato sarebbe stato un male per il mondo. Ottimi rapporti anche con Giappone e
Birmania. Singolare un episodio, durante una visita in Israele di U Nu, Primo
Ministro Birmano, Ben Gurion gli fa vedere con orgoglio gli alberi piantati
lungo la strada da Tel Aviv a Gerusalemme. Un terreno roccioso dove era
difficile farli attecchire ma la “dura cervice” israeliana non si arresta
dinanzi a nulla. U Nu allerta Ben Gurion invitandolo a vigilare perché quegli
alberi sarebbero cresciuti. Per lui, birmano, il problema è controllare l’espansione
della foresta. Per Ben Gurion, israeliano, il problema è l’opposto: favorire la
crescita dei boschi.
Incontrando il primo Ambasciatore della
Repubblica Federale Tedesca in Israele, Golda spiega che non può aspettarsi
un’accoglienza calorosa. Lui, Rolf Pauls, risponde che ne è consapevole e
appena arrivato ha reso omaggio al Yad Vashem. Farà in modo che quella tappa
sia un obbligo per ciascun tedesco che si recherà in Israele. Vi è poi il
processo Eichmann. Sarà impiccato. Il poeta Bialik dirà che neppure il diavolo
in persona potrebbe escogitare una punizione adeguata per chi si è reso
responsabile dell’uccisione anche di un solo bambino.
Nel parlare al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU sulla vicenda Eichmann dichiara: “E costituisce forse una minaccia
alla pace il fatto che Eichmann sia stato tradotto in giudizio proprio da
coloro alla cui totale distruzione fisica aveva dedicato tutte le sue energie, ancorché
le modalità del suo arresto abbiano violato le leggi argentine? O la minaccia
alla pace non risiedeva piuttosto nell’ essere Eichmann libero, impunito, in
grado di diffondere a una nuova generazione il veleno della sua anima malvagia?“.
In un altro discorso all’Onu afferma: “Eppure, Israele esiste, cresce, si
sviluppa, progredisce. Noi siamo un antico, tenace popolo e, come ha dimostrato
la nostra storia, non è facile distruggerci. Dove siamo: rimarremo”. Poi con
tono profetico “Israele esisterà e progredirà anche senza la pace, ma è certo
che un futuro di pace, sarebbe meglio sia per Israele che per i suoi vicini”.
Dopo gli anni al Ministero degli Esteri,
girando il mondo, Golda pensa di fermarsi. Ma un’altra guerra è all’orizzonte:
quella dei Sei Giorni. Ancora una volta lo stesso obiettivo: distruggere
Israele. Ancora una volta Israele vince non avendo alternative: vincere o
scomparire. Gerusalemme è riunificata e quando i paracadutisti israeliani raggiungono
il Muro Occidentale trasmettono un messaggio destinato a restare nella storia e
a infiammare i cuori: “Il Monte del Tempio è nelle nostre mani”. Pare che Moshe
Dayan commentò: “Ora che facciamo di tutto questo Vaticano?”.
I luoghi di culto sono aperti ai fedeli di
tutte le religioni e la spianata delle Moschee data in gestione ai mussulmani. Dopo
la guerra vinta: ennesima offerta di pace di Israele, ancora una volta respinta
al mittente. Con la conferenza di Khartoum sono pronunciati i tre famigerati
no: no alla pace con Israele, no al riconoscimento dello stato di Israele, no a
trattative.
Golda compie settant’anni e il destino le
riserva un altro incarico: Primo Ministro per cinque anni. Un ulteriore
aggravio di lavoro con maggiori limitazioni della propria vita privata per
motivi di sicurezza. Tra le prime indicazioni, Golda chiede di essere
informata, anche nel cuore della notte, dell’esito delle operazioni militari e
in particolare di eventuali perdite. Gli alti ufficiali rispondono che
l’avrebbero informata al mattino: svegliarla sarebbe stato inutile. Ma per lei è
una sofferenza sapere che giovani israeliani rischiano la vita: mentre lei dorme.
Importante in quegli anni la visita a
Washington al Presidente Richard Nixon per rinsaldare le relazioni d’amicizia
tra le due nazioni. Durante una conferenza stampa alla domanda se Israele,
messa alle strette, avrebbe fatto ricorso alle armi nucleari. Risponde che
Israele non se la sarebbe cavata troppo male con le armi convenzionali. Da Primo
Ministro non viene meno la sua attenzione alla giustizia sociale e si impegna
nella costruzione di alloggi e scuole. Intanto si verificano eventi terribili
come il massacrodegli atleti
israeliani alle Olimpiadi di Monaco.
Ricevuta in udienza da Paolo VI, all’osservazione
del Papa sulla durezza del comportamento israeliano verso gli arabi replica che
il suo primo ricordo è l’attesa di un pogrom a Kiev e che gli ebrei conoscono
il vero significato della parola durezza. Conferma, inoltre, che tutte le fedi
sono e saranno rispettate a Gerusalemme: capitale d’Israele.
Infine, la guerra dello Yom Kippur. All’inizio
solo un piccolo gruppo di giovani soldati si oppone agli aggressori. Poi,
lentamente, Tzahl riprende l’offensiva. Il presidente Nixon lancia un imponente
ponte aereo con C-5 Galaxis. Gli israeliani varcano il Canale di Suez
costituendo una testa di ponte: accerchiando parte dell’esercito egiziano e giungendo
a un centinaio di chilometri da Il Cairo. Alla Knesset Golda ringrazia gli
Stati Uniti d’America e il presidente Nixon per l’aiuto fornito. Ma vi sono
anche altre incombenze come l’incontro con i familiari dei soldati dispersi.
L’esercito israeliano non abbandona mai: morti, feriti e dispersi.
Per portare la pace si mobilita Henry
Kissinger. Golda ebbe con lui rapporti altalenanti ma riconobbe sempre la
statura dell’uomo e le sue qualità. Per Kissinger “Golda Meir era un
personaggio originale. Acuta, simile a una forza della natura, si sentiva la
madre del suo popolo”. Comincia così la diplomazia della navetta con il
Segretario di Stato fare la spola tra le capitali del Medio Oriente. Golda esprime
però tutta la sua indignazione nei confronti degli europei e in particolare dei
socialisti, i quali, per il petrolio, avevano voltato le spalle a Israele.
L’11 Novembre 1973 al chilometro 101 della
strada Il Cairo-Suez è firmato un accordo tra Egitto e Israele. Alla fine della
guerra del Kippur Golda dà le dimissioni e torna a casa.
Per lei essere ebreo ha significato sentirsi
fiera di appartenere a un popolo che ha mantenuto la propria identità per
duemila anni: nonostante le sofferenze e i torti subiti. È consapevole che la
nascita dello stato d’Israele ha mutato per sempre la storia ebraica. Kissinger
scrive nelle sue memorie che in Israele si diceva che Golda soffriva di tanti
di quei disturbi da far sì che a qualsiasi studente di medicina israeliano così
fortunato da visitarla venisse conferita automaticamente la laurea. Aggiunge di
aver provato una profonda tenerezza per Golda. Aveva mantenuto unito il paese
durante crisi terribili; talora sfidandone l’unico amico. Golda dedica a
Kissinger parole affettuose, premettendo che gli israeliani non amano servirsi
di parole che possono sembrare soltanto parole. “Desidero, inoltre,
ringraziarla per la sua pazienza. La saggezza è una dote che ci viene concessa
o meno. Si nasce possedendo oppure no e per questo non si ha alcun merito
particolare. Non è così invece per quanto concerne la sua pazienza, nei
confronti di entrambe le parti, e il lavoro che ha svolto”.
Golda Meir rilasciò a Oriana Fallaci
un’interessante intervista (quattro incontri per un totale di sei ore di
registrazione) che ebbe una strana sorte. In albergo, a Roma, alla Fallaci furono
rubate le bobine. Comunicato l’evento a Golda ottiene una seconda intervista.
La Fallaci sospettò che il furto fosse opera di agenti libici. Per Oriana Fallaci
i tratti caratteristici di Golda Meir erano “una semplicità disarmante, una
modestia irritante, una saggezza che viene dall’aver sgobbato tutta la vita:
nei dolori, i disagi, i travagli che non lasciano tempo al superfluo”. Golda
vive sola. Una ragazza va a riassettare casa. Ma se organizza una cena è lei a
cucinare e sistemare tutto dopo. Accanita fumatrice (sessanta sigarette al
giorno). Nel corso dell’intervista definisce Pietro Nenni uno degli individui
migliori che oggi esistano al mondo. Confessa che per rilassarsi riordina
scaffali. Evidenzia che dare la vita è il privilegio che gli uomini hanno sulle
donne e che per avere successo una donna deve essere molto più brava di un
uomo. Tra l’altro, lei per essere quello che è ha pagato un prezzo altissimo:
il proprio matrimonio. Pur essendo un grande amore: troppi interessi diversi.
Enuncia anche il suo punto di riferimento. “Credo in Israele: punto e basta”. E
riguardo all’età “La vecchiaia è come un aereo che vola nella tempesta. Una
volta che ci sei dentro, non puoi farci più nulla. Non si ferma un aereo, non
si ferma una tempesta, non si ferma il tempo. Quindi tanto vale pigliarsela
calma, con saggezza”. Sulla morte spera non di perdere la lucidità della mente
e di morire con la mente chiara.
Golda Meir è stata interpretata da Ingrid
Bergman nella serie tv Una donna chiamata
Golda. William Gibson scrisse una pièce teatrale Il balcone di Golda interpretato in America da Anne Bancroft e in
Italia da Paola Gassman. Emerge una Golda divisa tra la vita privata e il suo
ruolo pubblico. Costretta a prendere decisioni impegnative e talvolta a scendere
a compromessi con i propri principi come dice nel film Munich con riferimento all’Operazione Ira di Dio. Ricordo, infine l’imitazione di Alighiero Noschese.
Cari amici, mi avvio alla conclusione. Non
è stata, e non voleva essere, un’analisi storica su Golda Meir. Ma solo un mio
personale omaggio a una protagonista della Storia. L’ho chiamata sempre Golda
in segno di affetto; del profondo affetto che nutro nei suoi confronti. Condividendo
il suo sentirsi, come scrisse Kissinger, la madre del suo popolo.